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  • Andrea Costa
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  • Andrea Costa
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  • Andrea Costa
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  • Nasce a Imola il 29 novembre 1851 da Pietro e Rosa Tozzi in una famiglia cattolica praticante e di modeste condizioni. Il giorno successivo è battezzato nella cattedrale di S. Cassiano con i nomi di Andrea, Antonio e Baldassarre e suo padrino è Orso Orsini. Frequenta le scuole elementari gestite da un sacerdote e negli anni scolastici 1866-1867 e 1867-1868 frequenta la scuola tecnica comunale con Gaetano Darchini, Luigi Sassi e Angelo Negri. Negli anni scolastici 1868-1869 e 1869-1870 frequenta il liceo come uditore per le lezioni di letteratura italiana e latina. Il 15 dicembre 1870 si iscrive alla facoltà di filosofia e belle lettere dell'Università di Bologna come "studente libero" non avendo la possibilità di pagare le regolari tasse di ammissione e per mantenersi si impiega come scrivano in un'agenzia di assicurazioni imolese. Lì un impiegato, Paolo Renzi, lo associa, o almeno lo avvicina, all'Internazionale. A Imola e a Bologna compie il suo noviziato, nell'atmosfera che presto si accenderà degli entusiasmi per la Comune, e nel contatto con Carducci, che lo predilige fra i suoi allievi.<br />Frequenta i popolani garibaldini bolognesi e con i più audaci, senza passare attraverso l'esperienza mazziniana, partecipa al Fascio operaio, che da Bologna si diffonde in Romagna, nelle Marche, in Toscana, con contenuti socialisti. Incontra Bakunin e l'anarchia. Nel 1872 tocca a lui, poco più che ventenne, commemorare l'internazionalista Francesco Piccinini, il cui assassinio in oscure circostanze fu come il primo segnale della rottura aperta fra repubblicani e internazionalisti. Non solo egli ha ormai pienamente aderito all'Internazionale, ma ne è divenuto uno dei dirigenti e degli organizzatori più attivi nella regione. L'inizio di un'ampia diffusione dell'internazionalismo in Romagna coincide con l'emergere alla testa del movimento, in luogo dei garibaldini Erminio Pescatori e Celso Ceretti, di Costa e di Lodovico Nabruzzi.<br />Il congresso di Bologna degli internazionalisti emiliani e romagnoli si esprime in favore delle posizioni di Bakunin, mentre si allacciano contatti con il gruppo napoletano di Carlo Cafiero e da parte di Costa e di altri giovani si oppone un netto rifiuto al tentativo di unificazione delle forze democratiche, avviato da Garibaldi e sostenuto principalmente dall'internazionalista garibaldino Ceretti. Intensissima è l'attività sviluppata da Costa a partire da questo momento: segretario del congresso costitutivo della Federazione italiana dell'Internazionale presieduto da Cafiero (Rimini, maggio 1872) e come tale tra i protagonisti del distacco dal consiglio generale dell'Internazionale guidato da Marx e da Engels, Costa viene eletto segretario della commissione di corrispondenza della Federazione, si dedica a un'infaticabile opera di propaganda e di organizzazione di tipo cospirativo, e nel mese di settembre partecipa al congresso "antiautoritario" di Saint-Imier, al termine del quale si trattiene qualche tempo in Svizzera con Bakunin. Organizza, agli inizi del 1873, il congresso della Federazione italiana e, arrestato, dichiara fieramente di appartenere all'Internazionale, di condividerne i fini e di essere pronto ad affrontarne le conseguenze. Rilasciato il 20 luglio 1873 è presente alla fondazione della Federazione romagnola dell'Internazionale; poco dopo partecipa a quella della Federazione umbro-marchigiana (che anche in seguito ne avrebbe subito l'influenza: a Iesi e a Fabriano, tra l'altro, Costa pubblica la prima serie del periodico «Il Martello»). Nel settembre 1873 è a Ginevra e partecipa al VI Congresso (bakuninista) dell'Internazionale; eletto alla presidenza, Costa ha una parte di rilievo, sottolineando come prioritaria l'esigenza dell'azione rispetto ai problemi teorici, e opponendosi vivacemente alle tendenze "operaistiche" presenti nell'Internazionale, all'interno della quale non dovevano esserci secondo lui "distinzioni classistiche". Il 1874, anno di grave crisi economica, contrassegnato da un diffuso stato di esasperazione popolare e da numerose agitazioni specie contro la tassa sul macinato, è prescelto dagli internazionalisti italiani per l'attuazione del loro primo tentativo insurrezionale. Costa è il principale organizzatore del moto, che avrebbe dovuto avere come epicentro Bologna e vedere la partecipazione di Bakunin in persona. Ma, non adeguatamente organizzato, privo dell'atteso appoggio popolare, e preventivamente controllato dalla polizia, il tentativo fallisce miseramente: Costa viene arrestato ancor prima dell'inizio e la sparuta colonna degli internazionalisti romagnoli in marcia su Bologna al comando di Antonio Cornacchia viene catturata senza colpo ferire, mentre Bakunin riesce a dileguarsi, in incognito come era giunto. Il fallimento del moto, seguito da numerosi arresti e persecuzioni poliziesche, provoca la paralisi del movimento internazionalista; Costa rimane in carcere per diciannove mesi, in attesa del processo che viene celebrato solo nel marzo 1876. Accusati di aver costituito una "associazione di malfattori", egli e i suoi compagni riescono a suscitare nel corso del processo un forte moto di simpatia nell'opinione pubblica; grazie al loro contegno, alle testimonianze di personalità come Carducci e Aurelio Saffi e alla brillante difesa dell'avvocato democratico Giuseppe Ceneri, vengono infine assolti. L'assoluzione di Costa e dei suoi compagni crea le condizioni per una ripresa del movimento, favorita anche dal clima politico contrassegnato dalla caduta della Destra. Nel 1877 Costa non disapprova apertamente il moto di San Lupo guidato da Cafiero, Errico Malatesta e Pietro Cesare Ceccarelli, ma non vi prende parte. Inizia una nuova ondata di persecuzioni che si abbatte sul movimento internazionalista, disgregandone l'organizzazione. Il 5 agosto 1877 nasce a Bologna da Violetta Dall'Alpi il figlio Andreino (1877-1937) e subito dopo Costa si rifugia in Svizzera per sfuggire all'arresto. Il periodo che si apre ora è denso di avvenimenti destinati a pesare in modo determinante sulla vita di Costa ed è stato a ragione considerato decisivo per la sua evoluzione politica. Primo tra questi è l'incontro in Svizzera con la giovane rivoluzionaria russa Anna Kuliscioff, alla quale Costa rimane legato affettivamente fino al 1885. Dallo loro relazione nasce a Imola l'8 dicembre 1881 Andreana, detta Andreina (1881-1959). Tra le cause dell'evoluzione politica di Costa determinante è il contatto con l'ambiente del socialismo internazionale. In quest'ambito deve essere sottolineata l'importanza del suo soggiorno in Francia a partire dalla fine del 1877 e dei suoi contatti con il socialismo francese (in particolare con Jules Guesde). Arrestato e incarcerato a Parigi (marzo 1878), ha modo di operare in carcere un approfondito ripensamento; dopo la sua liberazione (giugno 1879) allaccia rapporti con l'evoluzionista Benoît Malon, che grande parte aveva avuto nel distacco delle organizzazioni italiane dal bakuninismo. Questi in breve, gli antecedenti essenziali di quella che è stata chiamata la "svolta" di Costa: il 27 luglio 1879, su «La Plebe» di Enrico Bignami, la sua lettera "Ai miei amici di Romagna" apre una nuova fase nella storia del socialismo italiano. Nel clima politico dell'inizio degli anni Ottanta, caratterizzato da numerose agitazioni per l'allargamento del suffragio, si adopera - con l'azione e con gli organi di stampa da lui stesso fondati in questo periodo: la «Rivista internazionale del socialismo» e l'«Avanti!» - per far passare i propri nuovi orientamenti nel movimento socialista. Favorevole alla partecipazione alle competizioni elettorali, Costa non giunge d'un colpo alla determinazione di entrare in parlamento, bensì dopo che tale questione sarà risolta positivamente alla conferenza dei socialisti romagnoli del 26 febbraio 1882. Eletto nel mese di ottobre alla Camera nel collegio di Ravenna, presta, primo deputato socialista, il suo giuramento e inizia un'attività parlamentare intensa, caratterizzata da una intransigenza sul terreno dei principi, ma al tempo stesso da una spregiudicata politica di alleanza con l'estrema sinistra borghese per l'attuazione di una legislazione sociale in Italia. Triumviro del Fascio della democrazia assieme a Giovanni Bovio e Felice Cavallotti, Costa si spinge su questa via al di là di quanto molti dei suoi stessi compagni avrebbero desiderato, suscitando numerose critiche anche nel campo socialista. Della sua attività parlamentare (continuamente interrotta da arresti e periodi di esilio tra una elezione e l'altra) oltre a una presa di posizione in favore della gestione delle ferrovie da parte dello Stato e altre vicende diversamente significative, un aspetto va sottolineato per la sua rilevanza politica, anche ai fini dell'intero sviluppo del socialismo italiano: l'opposizione intransigente alle conquiste coloniali. Il grido di Costa non solo trova una larga risonanza immediata, ma diviene allora e nei decenni successivi la parola d'ordine del proletariato italiano contro l'imperialismo e la guerra. Infaticabile fu la campagna anticolonialista che, a partire da questo momento, Costa viene sviluppando nel parlamento e nel paese, e senza dubbio a lui si deve in misura preminente se l'opposizione alle imprese coloniali diviene patrimonio del proletariato italiano. Intanto, coerentemente con le proprie premesse, Costa non esaurisce nell'attività parlamentare il proprio campo d'azione, dedicandosi fin dal 1880 all'obiettivo di costituire un partito rivoluzionario in cui si raccolgano tutte le tendenze del movimento operaio italiano. Prima tappa di questo tentativo è, nell'agosto 1881, il convegno di Rimini delle organizzazioni a lui vicine, dal quale nasce il Partito socialista rivoluzionario italiano (ciò che formalmente accadde al congresso di Forlì del 1884), ma, nonostante i suoi sforzi, esso rimane sempre di fatto una forza politica a base poco più che regionale. Costa scrive nel 1880 il <em>Sogno</em>, una visione utopistica della sua Imola, redenta in futuro dal socialismo; pubblicato e ripubblicato in opuscolo, il <em>Sogno</em> esprime una volta di più le attese e le speranze di liberazione del rivoluzionario proprio alle soglie di un'attività pratica condotta anche attraverso le istituzioni, quasi a sottolineare la non estraneità dei due momenti dell'impegno sociale: quello immediato, della resistenza, del sollievo ai più deboli, della ricerca del lavoro per i braccianti disoccupati, e quello ideale dell'avvenire. Negli anni '80 si collocano i ripetuti contatti allacciati da Costa con gli operaisti milanesi, e il progressivo avvicinamento tra il suo partito e il Partito operaio italiano, di cui, da parte dei romagnoli, una tappa importante è rappresentata dal congresso di Mantova del 1886. A questo scopo, Costa abbandona l'alleanza con la sinistra borghese nel Fascio della democrazia (motivo di dissenso con gli operaisti). Il tentativo costiano di promuovere l'unificazione delle forze operaie e socialiste italiane (compresi gli anarchici) non è destinato a sortire effetti concreti, ma la scelta di Mantova come sede del congresso del suo partito non è solo frutto di un tentativo di avvicinamento al Partito operaio italiano; Mantova è anche il centro di un forte movimento contadino di ispirazione socialista che due anni prima aveva dato vita al grande moto di "La boje!". Costa si dedica allo sviluppo del movimento cooperativo e di resistenza nelle campagne, legato in particolare ai braccianti di Ravenna. La fisionomia popolare del socialismo romagnolo derivava in gran parte dalla presenza di una cospicua componente bracciantile e contadina. L'immagine più fedele ed essenziale di Costa come capo rivoluzionario si trova nei documenti che ci parlano della sua partecipazione alle lotte, fra i braccianti di Ravenna, i risaioli del Bolognese; del modo come egli concepiva i doveri dell'eletto del popolo, come egli sapeva interpretare la sostanza nuova del legame che unisce il capo socialista alle masse. In questo legame di concorde intelligenza e di fedeltà sarà la radice del suo prestigio e del suo successo; qui è anche, principalmente, la misura del valore della sua opera. Dal punto di vista di questo rapporto di massa, infine (ma nel quadro debbono aggiungersi l'attiva presenza di Costa a Roma nelle lotte contro la disoccupazione e per lo sviluppo delle organizzazioni degli operai edili della capitale), deve essere anche vista per una buona parte la stessa politica amministrativa di Costa: la parola d'ordine "Impadroniamoci dei comuni!" ebbe infatti alla sua origine anche i primi successi cooperativi ed elettorali dei lavoratori nell'Emilia-Romagna. L'interesse verso le amministrazioni locali, e in particolare i comuni, è uno degli aspetti più importanti e originali verso i quali Costa indirizza l'attività del Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Il limitato suffragio, non solo politico ma anche amministrativo, sancito dalle leggi unificatrici, aveva contribuito alla affermazione di criteri rigorosamente astensionistici anche in questo campo. Dopo la "svolta" e in misura ancora maggiore dopo la sua elezione alla Camera del 1882, Costa comincia a promuovere in Romagna una vasta agitazione che congiungeva la critica della gestione moderata dei comuni, particolarmente in fatto di lavori pubblici, istruzione, opere pie ecc., con la rivendicazione di una nuova legge comunale e provinciale che avesse alla propria base un suffragio più largamente esteso ai ceti popolari. Il comune era per Costa, come per numerosi altri socialisti italiani che avevano attraversato le sue stesse esperienze, "la" comune, e cioè la possibilità, certo utopisticamente ma fortemente e sinceramente sentita, di trasformare e ristrutturare dal basso la società, investendola nella sua cellula più elementare e vicina, per aggredire in essa i rapporti socialmente e politicamente dominanti. Nell'ottobre 1889 la coalizione democratica vince le elezioni amministrative locali a Imola e Costa è eletto per la prima volta consigliere comunale e provinciale. Ricopre la carica di assessore comunale dal 1889 al 1893 ed è eletto sindaco nel novembre 1893 e nel giugno 1897 (carica a cui rinuncia in entrambe le occasioni). Sul finire degli anni Ottanta lo sviluppo del movimento operaio poneva ormai inderogabilmente sul tappeto il problema della creazione di un partito socialista. Era questo appunto l'obiettivo che Costa si era prefisso e che fino al 1886 aveva perseguito con parziali successi, eppure il congresso di Ravenna del Partito socialista rivoluzionario italiano (1890) mostrò che il socialismo romagnolo era ormai entrato in una fase di ripiegamento.<br /><br />Dalla metà degli anni Ottanta inizia la sua relazione con l'imolese Enrica Astorri (1853-1939) da cui nascono Andreano (1885-1886), Annita (1888-1918), Andreina (1890-1973) e Bice (1897-1976). Dopo essere stato il più prestigioso dirigente dell'Internazionale in Italia, il protagonista di una svolta decisiva nella storia del movimento operaio, quale quella del 1879, quindi il primo deputato socialista e il capo del primo partito socialista operante nel paese, Costa svolge un ruolo di fatto marginale nelle vicende della nascita del Partito dei lavoratori italiani. Al congresso di Genova del 1892 Costa e i suoi seguaci non condivisero la definitiva rottura operata nei confronti degli anarchici, e non aderirono al nuovo partito, pur non differenziandosi politicamente in maniera rilevante dalle posizioni del gruppo turatiano. Non molto tempo dopo, comunque, anche i romagnoli si sarebbero uniti al partito, che essi per primi avevano auspicato, ma che da altri era stato creato, e a partire da quel momento Costa partecipa attivamente alla vita e alle lotte del Partito socialista italiano, pur senza svolgere un ruolo di effettiva direzione. In prima fila nelle memorabili battaglie ostruzionistiche del 1899, chiamato alla presidenza di tutti i successivi congressi, più volte relatore su questioni di grande importanza, membro della direzione, al congresso nazionale del 1904 egli non esprime alcun voto tra le tendenze che si fronteggiano, giudicando irrimediabilmente compromessa l'unità del partito. Questo suo atteggiamento, sommato al suo glorioso passato che ne faceva una figura ormai leggendaria, fece sì che egli venisse onorato come padre del socialismo italiano. Partecipa e interviene nel 1907 al congresso di Stoccarda della II Internazionale, e nel 1909 viene eletto vice presidente di quella Camera, nella quale per primo aveva portato, 25 anni prima, la parola dei lavoratori, e che tante volte aveva votato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Il 2 gennaio 1906 sposa a Nizza Maria Angela Cicognani di Faenza. Muore all'ospedale di Imola il 19 gennaio 1910.
dc:date
  • 29 novembre 1851 - 19 gennaio 1910
ha qualificazioni relazioni Cpf
ha date esistenza
ha statusProvenienza
abstract
  • Nasce a Imola il 29 novembre 1851 da Pietro e Rosa Tozzi in una famiglia cattolica praticante e di modeste condizioni. Il giorno successivo è battezzato nella cattedrale di S. Cassiano con i nomi di Andrea, Antonio e Baldassarre e suo padrino è Orso Orsini. Frequenta le scuole elementari gestite da un sacerdote e negli anni scolastici 1866-1867 e 1867-1868 frequenta la scuola tecnica comunale con Gaetano Darchini, Luigi Sassi e Angelo Negri. Negli anni scolastici 1868-1869 e 1869-1870 frequenta il liceo come uditore per le lezioni di letteratura italiana e latina. Il 15 dicembre 1870 si iscrive alla facoltà di filosofia e belle lettere dell'Università di Bologna come "studente libero" non avendo la possibilità di pagare le regolari tasse di ammissione e per mantenersi si impiega come scrivano in un'agenzia di assicurazioni imolese. Lì un impiegato, Paolo Renzi, lo associa, o almeno lo avvicina, all'Internazionale. A Imola e a Bologna compie il suo noviziato, nell'atmosfera che presto si accenderà degli entusiasmi per la Comune, e nel contatto con Carducci, che lo predilige fra i suoi allievi.<br />Frequenta i popolani garibaldini bolognesi e con i più audaci, senza passare attraverso l'esperienza mazziniana, partecipa al Fascio operaio, che da Bologna si diffonde in Romagna, nelle Marche, in Toscana, con contenuti socialisti. Incontra Bakunin e l'anarchia. Nel 1872 tocca a lui, poco più che ventenne, commemorare l'internazionalista Francesco Piccinini, il cui assassinio in oscure circostanze fu come il primo segnale della rottura aperta fra repubblicani e internazionalisti. Non solo egli ha ormai pienamente aderito all'Internazionale, ma ne è divenuto uno dei dirigenti e degli organizzatori più attivi nella regione. L'inizio di un'ampia diffusione dell'internazionalismo in Romagna coincide con l'emergere alla testa del movimento, in luogo dei garibaldini Erminio Pescatori e Celso Ceretti, di Costa e di Lodovico Nabruzzi.<br />Il congresso di Bologna degli internazionalisti emiliani e romagnoli si esprime in favore delle posizioni di Bakunin, mentre si allacciano contatti con il gruppo napoletano di Carlo Cafiero e da parte di Costa e di altri giovani si oppone un netto rifiuto al tentativo di unificazione delle forze democratiche, avviato da Garibaldi e sostenuto principalmente dall'internazionalista garibaldino Ceretti. Intensissima è l'attività sviluppata da Costa a partire da questo momento: segretario del congresso costitutivo della Federazione italiana dell'Internazionale presieduto da Cafiero (Rimini, maggio 1872) e come tale tra i protagonisti del distacco dal consiglio generale dell'Internazionale guidato da Marx e da Engels, Costa viene eletto segretario della commissione di corrispondenza della Federazione, si dedica a un'infaticabile opera di propaganda e di organizzazione di tipo cospirativo, e nel mese di settembre partecipa al congresso "antiautoritario" di Saint-Imier, al termine del quale si trattiene qualche tempo in Svizzera con Bakunin. Organizza, agli inizi del 1873, il congresso della Federazione italiana e, arrestato, dichiara fieramente di appartenere all'Internazionale, di condividerne i fini e di essere pronto ad affrontarne le conseguenze. Rilasciato il 20 luglio 1873 è presente alla fondazione della Federazione romagnola dell'Internazionale; poco dopo partecipa a quella della Federazione umbro-marchigiana (che anche in seguito ne avrebbe subito l'influenza: a Iesi e a Fabriano, tra l'altro, Costa pubblica la prima serie del periodico «Il Martello»). Nel settembre 1873 è a Ginevra e partecipa al VI Congresso (bakuninista) dell'Internazionale; eletto alla presidenza, Costa ha una parte di rilievo, sottolineando come prioritaria l'esigenza dell'azione rispetto ai problemi teorici, e opponendosi vivacemente alle tendenze "operaistiche" presenti nell'Internazionale, all'interno della quale non dovevano esserci secondo lui "distinzioni classistiche". Il 1874, anno di grave crisi economica, contrassegnato da un diffuso stato di esasperazione popolare e da numerose agitazioni specie contro la tassa sul macinato, è prescelto dagli internazionalisti italiani per l'attuazione del loro primo tentativo insurrezionale. Costa è il principale organizzatore del moto, che avrebbe dovuto avere come epicentro Bologna e vedere la partecipazione di Bakunin in persona. Ma, non adeguatamente organizzato, privo dell'atteso appoggio popolare, e preventivamente controllato dalla polizia, il tentativo fallisce miseramente: Costa viene arrestato ancor prima dell'inizio e la sparuta colonna degli internazionalisti romagnoli in marcia su Bologna al comando di Antonio Cornacchia viene catturata senza colpo ferire, mentre Bakunin riesce a dileguarsi, in incognito come era giunto. Il fallimento del moto, seguito da numerosi arresti e persecuzioni poliziesche, provoca la paralisi del movimento internazionalista; Costa rimane in carcere per diciannove mesi, in attesa del processo che viene celebrato solo nel marzo 1876. Accusati di aver costituito una "associazione di malfattori", egli e i suoi compagni riescono a suscitare nel corso del processo un forte moto di simpatia nell'opinione pubblica; grazie al loro contegno, alle testimonianze di personalità come Carducci e Aurelio Saffi e alla brillante difesa dell'avvocato democratico Giuseppe Ceneri, vengono infine assolti. L'assoluzione di Costa e dei suoi compagni crea le condizioni per una ripresa del movimento, favorita anche dal clima politico contrassegnato dalla caduta della Destra. Nel 1877 Costa non disapprova apertamente il moto di San Lupo guidato da Cafiero, Errico Malatesta e Pietro Cesare Ceccarelli, ma non vi prende parte. Inizia una nuova ondata di persecuzioni che si abbatte sul movimento internazionalista, disgregandone l'organizzazione. Il 5 agosto 1877 nasce a Bologna da Violetta Dall'Alpi il figlio Andreino (1877-1937) e subito dopo Costa si rifugia in Svizzera per sfuggire all'arresto. Il periodo che si apre ora è denso di avvenimenti destinati a pesare in modo determinante sulla vita di Costa ed è stato a ragione considerato decisivo per la sua evoluzione politica. Primo tra questi è l'incontro in Svizzera con la giovane rivoluzionaria russa Anna Kuliscioff, alla quale Costa rimane legato affettivamente fino al 1885. Dallo loro relazione nasce a Imola l'8 dicembre 1881 Andreana, detta Andreina (1881-1959). Tra le cause dell'evoluzione politica di Costa determinante è il contatto con l'ambiente del socialismo internazionale. In quest'ambito deve essere sottolineata l'importanza del suo soggiorno in Francia a partire dalla fine del 1877 e dei suoi contatti con il socialismo francese (in particolare con Jules Guesde). Arrestato e incarcerato a Parigi (marzo 1878), ha modo di operare in carcere un approfondito ripensamento; dopo la sua liberazione (giugno 1879) allaccia rapporti con l'evoluzionista Benoît Malon, che grande parte aveva avuto nel distacco delle organizzazioni italiane dal bakuninismo. Questi in breve, gli antecedenti essenziali di quella che è stata chiamata la "svolta" di Costa: il 27 luglio 1879, su «La Plebe» di Enrico Bignami, la sua lettera "Ai miei amici di Romagna" apre una nuova fase nella storia del socialismo italiano. Nel clima politico dell'inizio degli anni Ottanta, caratterizzato da numerose agitazioni per l'allargamento del suffragio, si adopera - con l'azione e con gli organi di stampa da lui stesso fondati in questo periodo: la «Rivista internazionale del socialismo» e l'«Avanti!» - per far passare i propri nuovi orientamenti nel movimento socialista. Favorevole alla partecipazione alle competizioni elettorali, Costa non giunge d'un colpo alla determinazione di entrare in parlamento, bensì dopo che tale questione sarà risolta positivamente alla conferenza dei socialisti romagnoli del 26 febbraio 1882. Eletto nel mese di ottobre alla Camera nel collegio di Ravenna, presta, primo deputato socialista, il suo giuramento e inizia un'attività parlamentare intensa, caratterizzata da una intransigenza sul terreno dei principi, ma al tempo stesso da una spregiudicata politica di alleanza con l'estrema sinistra borghese per l'attuazione di una legislazione sociale in Italia. Triumviro del Fascio della democrazia assieme a Giovanni Bovio e Felice Cavallotti, Costa si spinge su questa via al di là di quanto molti dei suoi stessi compagni avrebbero desiderato, suscitando numerose critiche anche nel campo socialista. Della sua attività parlamentare (continuamente interrotta da arresti e periodi di esilio tra una elezione e l'altra) oltre a una presa di posizione in favore della gestione delle ferrovie da parte dello Stato e altre vicende diversamente significative, un aspetto va sottolineato per la sua rilevanza politica, anche ai fini dell'intero sviluppo del socialismo italiano: l'opposizione intransigente alle conquiste coloniali. Il grido di Costa non solo trova una larga risonanza immediata, ma diviene allora e nei decenni successivi la parola d'ordine del proletariato italiano contro l'imperialismo e la guerra. Infaticabile fu la campagna anticolonialista che, a partire da questo momento, Costa viene sviluppando nel parlamento e nel paese, e senza dubbio a lui si deve in misura preminente se l'opposizione alle imprese coloniali diviene patrimonio del proletariato italiano. Intanto, coerentemente con le proprie premesse, Costa non esaurisce nell'attività parlamentare il proprio campo d'azione, dedicandosi fin dal 1880 all'obiettivo di costituire un partito rivoluzionario in cui si raccolgano tutte le tendenze del movimento operaio italiano. Prima tappa di questo tentativo è, nell'agosto 1881, il convegno di Rimini delle organizzazioni a lui vicine, dal quale nasce il Partito socialista rivoluzionario italiano (ciò che formalmente accadde al congresso di Forlì del 1884), ma, nonostante i suoi sforzi, esso rimane sempre di fatto una forza politica a base poco più che regionale. Costa scrive nel 1880 il <em>Sogno</em>, una visione utopistica della sua Imola, redenta in futuro dal socialismo; pubblicato e ripubblicato in opuscolo, il <em>Sogno</em> esprime una volta di più le attese e le speranze di liberazione del rivoluzionario proprio alle soglie di un'attività pratica condotta anche attraverso le istituzioni, quasi a sottolineare la non estraneità dei due momenti dell'impegno sociale: quello immediato, della resistenza, del sollievo ai più deboli, della ricerca del lavoro per i braccianti disoccupati, e quello ideale dell'avvenire. Negli anni '80 si collocano i ripetuti contatti allacciati da Costa con gli operaisti milanesi, e il progressivo avvicinamento tra il suo partito e il Partito operaio italiano, di cui, da parte dei romagnoli, una tappa importante è rappresentata dal congresso di Mantova del 1886. A questo scopo, Costa abbandona l'alleanza con la sinistra borghese nel Fascio della democrazia (motivo di dissenso con gli operaisti). Il tentativo costiano di promuovere l'unificazione delle forze operaie e socialiste italiane (compresi gli anarchici) non è destinato a sortire effetti concreti, ma la scelta di Mantova come sede del congresso del suo partito non è solo frutto di un tentativo di avvicinamento al Partito operaio italiano; Mantova è anche il centro di un forte movimento contadino di ispirazione socialista che due anni prima aveva dato vita al grande moto di "La boje!". Costa si dedica allo sviluppo del movimento cooperativo e di resistenza nelle campagne, legato in particolare ai braccianti di Ravenna. La fisionomia popolare del socialismo romagnolo derivava in gran parte dalla presenza di una cospicua componente bracciantile e contadina. L'immagine più fedele ed essenziale di Costa come capo rivoluzionario si trova nei documenti che ci parlano della sua partecipazione alle lotte, fra i braccianti di Ravenna, i risaioli del Bolognese; del modo come egli concepiva i doveri dell'eletto del popolo, come egli sapeva interpretare la sostanza nuova del legame che unisce il capo socialista alle masse. In questo legame di concorde intelligenza e di fedeltà sarà la radice del suo prestigio e del suo successo; qui è anche, principalmente, la misura del valore della sua opera. Dal punto di vista di questo rapporto di massa, infine (ma nel quadro debbono aggiungersi l'attiva presenza di Costa a Roma nelle lotte contro la disoccupazione e per lo sviluppo delle organizzazioni degli operai edili della capitale), deve essere anche vista per una buona parte la stessa politica amministrativa di Costa: la parola d'ordine "Impadroniamoci dei comuni!" ebbe infatti alla sua origine anche i primi successi cooperativi ed elettorali dei lavoratori nell'Emilia-Romagna. L'interesse verso le amministrazioni locali, e in particolare i comuni, è uno degli aspetti più importanti e originali verso i quali Costa indirizza l'attività del Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Il limitato suffragio, non solo politico ma anche amministrativo, sancito dalle leggi unificatrici, aveva contribuito alla affermazione di criteri rigorosamente astensionistici anche in questo campo. Dopo la "svolta" e in misura ancora maggiore dopo la sua elezione alla Camera del 1882, Costa comincia a promuovere in Romagna una vasta agitazione che congiungeva la critica della gestione moderata dei comuni, particolarmente in fatto di lavori pubblici, istruzione, opere pie ecc., con la rivendicazione di una nuova legge comunale e provinciale che avesse alla propria base un suffragio più largamente esteso ai ceti popolari. Il comune era per Costa, come per numerosi altri socialisti italiani che avevano attraversato le sue stesse esperienze, "la" comune, e cioè la possibilità, certo utopisticamente ma fortemente e sinceramente sentita, di trasformare e ristrutturare dal basso la società, investendola nella sua cellula più elementare e vicina, per aggredire in essa i rapporti socialmente e politicamente dominanti. Nell'ottobre 1889 la coalizione democratica vince le elezioni amministrative locali a Imola e Costa è eletto per la prima volta consigliere comunale e provinciale. Ricopre la carica di assessore comunale dal 1889 al 1893 ed è eletto sindaco nel novembre 1893 e nel giugno 1897 (carica a cui rinuncia in entrambe le occasioni). Sul finire degli anni Ottanta lo sviluppo del movimento operaio poneva ormai inderogabilmente sul tappeto il problema della creazione di un partito socialista. Era questo appunto l'obiettivo che Costa si era prefisso e che fino al 1886 aveva perseguito con parziali successi, eppure il congresso di Ravenna del Partito socialista rivoluzionario italiano (1890) mostrò che il socialismo romagnolo era ormai entrato in una fase di ripiegamento.<br /><br />Dalla metà degli anni Ottanta inizia la sua relazione con l'imolese Enrica Astorri (1853-1939) da cui nascono Andreano (1885-1886), Annita (1888-1918), Andreina (1890-1973) e Bice (1897-1976). Dopo essere stato il più prestigioso dirigente dell'Internazionale in Italia, il protagonista di una svolta decisiva nella storia del movimento operaio, quale quella del 1879, quindi il primo deputato socialista e il capo del primo partito socialista operante nel paese, Costa svolge un ruolo di fatto marginale nelle vicende della nascita del Partito dei lavoratori italiani. Al congresso di Genova del 1892 Costa e i suoi seguaci non condivisero la definitiva rottura operata nei confronti degli anarchici, e non aderirono al nuovo partito, pur non differenziandosi politicamente in maniera rilevante dalle posizioni del gruppo turatiano. Non molto tempo dopo, comunque, anche i romagnoli si sarebbero uniti al partito, che essi per primi avevano auspicato, ma che da altri era stato creato, e a partire da quel momento Costa partecipa attivamente alla vita e alle lotte del Partito socialista italiano, pur senza svolgere un ruolo di effettiva direzione. In prima fila nelle memorabili battaglie ostruzionistiche del 1899, chiamato alla presidenza di tutti i successivi congressi, più volte relatore su questioni di grande importanza, membro della direzione, al congresso nazionale del 1904 egli non esprime alcun voto tra le tendenze che si fronteggiano, giudicando irrimediabilmente compromessa l'unità del partito. Questo suo atteggiamento, sommato al suo glorioso passato che ne faceva una figura ormai leggendaria, fece sì che egli venisse onorato come padre del socialismo italiano. Partecipa e interviene nel 1907 al congresso di Stoccarda della II Internazionale, e nel 1909 viene eletto vice presidente di quella Camera, nella quale per primo aveva portato, 25 anni prima, la parola dei lavoratori, e che tante volte aveva votato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Il 2 gennaio 1906 sposa a Nizza Maria Angela Cicognani di Faenza. Muore all'ospedale di Imola il 19 gennaio 1910.
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