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  • Associazione nazionale assegnatari
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  • Associazione nazionale assegnatari
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  • [La storia dell'associazione è tratta da: Francesco Albanese, "Gli anni '50 nelle campagne della riforma fondiaria: carte dell'associazionismo agricolo fra gli assegnatari" in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi" n. 17/18, 1995-1996, pp. 327-334.] "Fra la fine del 1951 ed i primi mesi del 1952 si chiudeva quel ciclo di lotte contadine iniziato nell'ultimo anno di guerra e si apriva l'epoca della riforma fondiaria. Attraverso il meccanismo degli espropri e delle assegnazioni di terra, gli enti della riforma avevano incominciato a provvedere alle opere di trasformazione ed alla costruzione delle infrastrutture essenziali. Soprattutto era il momento della costituzione e dell'avvio delle cooperative "coatte"- termine usato dalla sinistra dell'epoca per indicare che la legge imponeva agli assegnatari di farne parte onde usufruire dell'assistenza tecnica ed economico-finanziaria. In qualche modo era così iniziata, in alcune zone arretrate dell'Italia agricola, un'azione di ammodernamento e di rinnovamento delle strutture produttive, anche se i beneficiari della riforma, gli assegnatari, si trovavano in una situazione alquanto ibrida: pur avendo tutti gli oneri dei proprietari, di fatto non lo erano ancora, con il rischio di tornare alla loro condizione originaria. Fino a poco tempo prima braccianti o contadini poveri, legati quindi ad un'economia di sussistenza, ora, immessi in un'economia di mercato, dovevano fare i conti non solo con gli enti di riforma, ma misurarsi anche con le vicende della produzione e dei prezzi, problemi inerenti al loro nuovo ruolo. Per questa categoria "emergente" si ponevano dunque sul tappeto una serie di rivendicazioni specifiche e quindi la necessità, per la sinistra, di elaborare strumenti organizzativi più appropriati, dal momento che nessuna delle organizzazioni allora esistenti era attrezzata, professionalmente e tecnicamente, per rispondere specificamente a quelle esigenze. Il tema dell'organizzazione degli assegnatari va, d'altro canto, considerato alla luce del dibattito, già in corso nella stessa sinistra, sulle forme di aggregazione autonoma dei contadini coltivatori. La riflessione, e quindi l'autocritica, era stata avviata nel 1948, all'indomani dei risultati elettorali del 18 aprile, deludenti soprattutto là dove esistevano cospicue forze non bracciantili (1). Grazie ad una battaglia politica, anche aspra, condotta nel Pci e nel Psi da Ruggero Grieco e da Rodolfo Morandi, fra la fine degli anni '40 e gli inizi degli anni '50, erano state sperimentate per i lavoratori indipendenti dell'agricoltura nuove formule organizzative, come l'Associazione nazionale dei coltivatori diretti, aderente alla Confederterra ma non alla Cgil, e l'Associazione dei contadini del Mezzogiorno d'Italia (Acmi), autonoma da entrambe (2). Per quanto riguarda gli assegnatari sin dal dicembre 1951 Grieco raccomanda di organizzarli, subito, non appena fatte le assegnazioni di terra, in proprie associazioni di categoria. Queste associazioni - aveva detto intervenendo alla riunione della commissione agraria nazionale del Pci nel dicembre 1951 - debbono essere da noi costituite, subito, non appena fatte le assegnazioni. Non ci deve essere per i contadini soluzione fra la loro organizzazione anteriore nella lega dei braccianti e dei mezzadri o dei coltivatori diretti, e la nuova organizzazione. Date una importanza preminente a questo passaggio (3). La direttiva di lavoro è di non respingere frontalmente le leggi di riforma, contro cui la sinistra aveva votato, bensì di organizzare e di sviluppare il movimento per migliorare e modificare, nel corso stesso della loro attuazione, i provvedimenti governativi, ritenuti insufficienti e non collegati ad un disegno complessivo di riforma agraria. Quest'obiettivo - che non ha precedenti nella storia del movimento operaio e contadino occidentale - non viene pienamente attuato. Se sul piano politico-parlamentare l'approvazione al Senato nell'ottobre 1953 dell'ordine del giorno Medici-Grieco è un importante riconoscimento che le leggi, dal punto di vista dell'applicazione, andavano rettificate, nei comprensori di riforma l'iniziativa della sinistra stenta invece a decollare. Nel corso del 1952-1953 - è vero - sorgono, ad opera di quadri bracciantili, mezzadrili o delle federazioni locali, le prime associazioni di assegnatari (4), ma i successi conseguiti riguardano solo obiettivi parziali e a carattere locale. L'esperienza calabrese - più volte addotta come modello - era rimasta isolata: qui, infatti, il movimento riuscì ad ottenere un allargamento degli espropri, ma non a caso, la Calabria era stata all'avanguardia nelle lotte per la terra degli anni 1949-1950 e questo patrimonio non era andato disperso. A spiegare in parte quel ritardo certo contribuiva l'atteggiamento di "attesa", si "smobilitazione", di opposizione "negativa e passiva", assunto da molti quadri, anche dirigenti, nei confronti delle leggi di riforma, convinti com'erano che quei provvedimenti non avrebbero granché migliorato le condizioni dei contadini. In realtà l'intervento riformatore del governo mutava i classici termini di riferimento della lotta politica, portando allo scoperto la contraddizione che si annidava all'interno dello schieramento di sinistra. Tale contraddizione, già emersa poco tempo prima nel dibattito sulla composizione dei comitati per la terra, riguarda l'impegno non univoco del sindacato nello spingere fino in fondo le lotte per la conquista della terra, e di individuare, attorno a quest'obiettivo, una politica delle alleanze adeguata. L'accesso alla terra non costituiva allora l'obiettivo generale dell'intero movimento sindacale, nonostante tutte le dichiarazioni di principio. Non dappertutto le organizzazioni dei braccianti e dei mezzadri si muovevano sul problema terra, e non dappertutto sull'obiettivo riforma agraria. Nella Valle padana, come in Puglia, la lotta era per il lavoro e l'occupazione, nelle regioni della mezzadria per la riforma dei patti agrari. L'insufficiente ed incompleta azione, quindi, delle organizzazioni sindacali nelle zone di riforma rischiava di lasciare indifeso l'assegnatario. L'orientamento prevalente - come avrebbe denunciato il segretario dell'Associazione degli assegnatari di Ravenna in occasione del primo congresso provinciale - era che l'assegnatario, avendo risolto il proprio problema, quello della terra, "non ha più nulla a che fare con gli altri lavoratori" (5). Lo stesso Grieco, in un intervento del 1953, metteva in guardia: Non è possibile che un ex bracciante, che adesso è in una posizione ancora equivoca, fluida, venga abbandonato dalle organizzazioni dalle quali deriva; è chiaro che queste organizzazioni debbono aiutarlo, assisterlo, altrimenti corriamo il rischio di farlo irretire dagli avversari. Si trattava, per le forze sindacali, non solo di perdere il contatto con i propri ex organizzati, ma soprattutto di impostare e perseguire rapporti positivi con le strutture che cominciavano ad interessarsi degli assegnatari in quanto produttori agricoli. Queste incomprensioni e resistenze del resto non erano casuali, ma si legavano alla difficoltà per il movimento contadino, e per tutta la sinistra, di mettere a punto una linea di politica agraria che tenesse conto non solo degli strati proletari o semiproletari delle campagne, ma anche dei ceti intermedi autonomi aventi come prima risorsa il lavoro, ma che impiegano anche capitali. Solo a fine 1953, in due riunioni congiunte (6), il Pci e il Psi, tramite le rispettive commissioni agrarie,decisero di elaborare una piattaforma rivendicativa omogenea e di creare una struttura autonoma e nazionale con il compito di coordinare e di rappresentare le diverse associazioni di assegnatari che, via via, si erano costituite grazie all'iniziativa dal basso. La svolta si concretizza nel 1954: il 16 febbraio, in occasione di una conferenza nazionale (7), tenuta a Roma, viene nominato un Comitato nazionale. L'obiettivo è di puntare all'unità della categoria - non si deve infatti dimenticare che la riforma operativa in ambiti socio-economici diversissimi fra loro - e di coinvolgere il movimento contadino nel suo insieme (8). La spinta, tuttavia, deriva anche dall'intento di non lasciarsi scavalcare da analoghe iniziative messe in piedi dalla Coldiretti - organizzazione egemone nelle campagne - nonché dagli stessi enti di riforma (9). Nel 1956, in occasione del primo (ed unico) congresso, svolto a Grosseto il 14-15 aprile, il Comitato si trasforma quindi in Associazione nazionale (10). Ma intanto era incominciata una nuova stagione dell'organizzazione contadina: quella della costruzione dell'Alleanza nazionale dei contadini, cui il Comitato aveva aderito nel maggio 1955 e nella quale confluì nel 1962, insieme alle altre associazioni dei coltivatori orientate a sinistra, quando l'Alleanza da federativa si tramuta in organizzazione unitaria (11). L'Alleanza continuò ad occuparsi degli assegnatari della riforma, ma solo come un lavoro specializzato all'interno dell'organizzazione (12). Il Comitato prima e l'Associazione dopo, svolsero un'attività che possiamo definire di tipo sindacale (13). In realtà gli assegnatari in gran parte avevano coscienza del loro nuovo ruolo, ma trovandosi ancora in una posizione subordinata, volevano che la propria organizzazione fungesse da tramite tra loro e la controparte diretta, l'ente di riforma, allo scopo di impadronirsi di tutti gli strumenti necessari per agire da contadini autonomi. Era l'ente, ad esempio, a decidere gli orientamenti produttivi e ad eseguire i piani di trasformazione, cui l'assegnatario doveva sottostare; era l'ente ad acquistare il bestiame e ad assegnarlo per sorteggio; era l'ente a promuovere e gestire in modo clientelare le cooperative (14); era ancora l'ente a fornire l'assistenza previdenziale, sanitaria, religiosa e ad organizzare corsi d'istruzione popolare e professionale. Memorabili poi le battaglie fra gli stessi enti, che imponevano di abitare in campagna in case coloniche prive di servizi e chi invece, come nel centro-sud, aveva da sempre vissuto nei borghi rurali, magari nella miseria, ma a contatto con gli amici (15). Dietro a questo fatto v'era l'incapacità di costruire un reale rapporto uomo-terra, sicché quando quel legame si allenterà del tutto a causa di profondi mutamenti economici e sociali, migliaia di poderi saranno abbandonati. Quel disegno di politica agraria e fondiaria sarebbe stato infatti travolto dalle nuove condizioni determinate dall'industrializzazione, dall'esodo, dall'ingresso nel mercato comune. Lo sforzo costante, da parte dell'Associazione degli assegnatari - che si riflette nelle carte a noi pervenute - fu di tentare di ricomporre quel rapporto, aderendo alle singole realtà, diverse da comprensorio a comprensorio, e cercando di fornire risposte a questioni ben precise, riguardanti conti, concimi, sementi, mezzi tecnici, prezzi, scelte produttive, ordinamenti colturali. Una serie di questioni che il movimento sindacale nel suo complesso aveva fino ad allora scarsamente valutato, e su cui l'Associazione dovette invece quotidianamente misurarsi, coinvolgendo - forse non a sufficienza - anche le forze della cultura. Significativa, a questo proposito, una relazione dell'Associazione degli assegnatari di Cassano, in provincia di Cosenza, nella quale si invitano i quadri a prendere contatto con i contadini dei "feudi", per individuarne le esigenze irrigue, e a costituire un comitato di tecnici e di intellettuali per redarre un piano particolareggiato di bonifica e per pubblicizzarlo adeguatamente. Che gli assegnatari si aspettassero un aiuto ben preciso per superare questo momento di crescita, si può constatare dal fatto che ove la sinistra, abbandonando lo sterile atteggiamento di denuncia, prese una posizione positiva e rispondente alle esigenze locali nei confronti della cooperazione obbligatoria, questa riuscì a diventare davvero uno strumento di partecipazione democratici (16). In alcuni casi, infatti, venne conquistata la direzione delle cooperative da parte dei rappresentanti delle forze di sinistra. E questo nonostante il boicottaggio degli enti di riforma che ritardavano la costituzione delle cooperative, temendo che, da strumenti di assoggettamento, si tramutassero in strumenti di aggregazione dei contadini. Il diverso ruolo assunto dall'Associazione consentì in parte di riguadagnare il terreno perduto e di ottenere una rappresentanza abbastanza estesa degli assegnatari, malgrado le intimidazioni degli enti e il dominio pressoché totale della Coldiretti nelle campagne, e nonostante i rapporti non proprio "idilliaci" con i sindacati di sinistra. In particolare la Federbraccianti si sentiva esentata dall'intervenire in difesa del contadino cui venivano assegnate le terre, avendo mutato il suo status da bracciante ad assegnatario. La scarsità delle fonti non consente, a tutt'oggi, di conoscere il numero degli organizzati dell'Associazione, tuttavia chi ha vissuto quel periodo lo ricorda come un importante momento di vita unitaria. Così, nel Delta Padano, si afferma che la locale Associazione organizza la stragrande maggioranza degli assegnatari, riuscendo ad influenzare e a portare alla lotta anche molti assegnatari aderenti alla Uil, alla Cisl ed alla Bonomiana. Oppure, nel Salernitano, all'Associazione autonoma degli assegnatari della Valle del Sele, risultarono aderenti bel l'83% degli assegnatari (17). Ma anche nel piccolo comprensorio del Molise, dove l'ente di riforma aveva organizzato - secondo una relazione del giugno 1955 - addirittura una "cintura di spionaggio" che sorvegliava ogni movimento degli assegnatari, in tutto 480, questi, nei rari e difficili contatti, non esitavano a dichiarare la propria simpatia per la locale associazione di sinistra (18). Non dappertutto, però, l'Associazione riuscì a coagulare attorno alle proprie proposte ed iniziative gli assegnatari. Là dove la riforma fondiaria non ha operato in modo tale da divenire il problema principale, dove ci sono state le quotizzazioni, e l'assegnatario ha conservato la caratteristica prevalente di prestatore d'opera, qui l'Associazione non riuscì a mettere in piedi una scrittura organizzativa autosufficiente, neanche per poter pagare i propri quadri. Là dove ci sono stati il numero, la forza, la maturità, si crearono, invece, da subito, le condizioni di carattere politico, organizzativo ed anche finanziario, per costruire delle grosse realtà, come in Maremma o nel Metapontino. E, non a caso, qui gli assegnatari hanno resistito. Non c'è dubbio dunque che la scelta, da parte delle forze più democratiche e progressiste dell'epoca, di organizzare in modo autonomo gli assegnatari e di farne i veri protagonisti della riforma, ha pesato in modo determinante per trasformarli in coltivatori autonomi, in grado di gestire liberamente le proprie scelte (19). Ed è anche vero che attraverso quell'esperienza maturò nella sinistra - sia pure con difficoltà e con ritardo - la consapevolezza del ruolo politico e sociale che gli imprenditori contadini possono svolgere a sostegno di un'agricoltura progredita ed avanzata." Note: 1) Un interessante documento del Pci, intitolato "Per un piano di lavoro in direzione dei contadini", del 1952, senza firma, ma di sicuro attribuibile a Ruggero Grieco, così afferma: "Il nostro lavoro in direzione dei contadini non data da molto tempo, essendo stato iniziato appena dopo le elezioni dell'aprile 1948, per cui è possibile affermare che, almeno sotto un certo aspetto, esso trae origine proprio dai risultati delle elezioni del 1948. Fu precisamente a seguito delle elezioni, o meglio dei risultati di esse, che il problema dei contadini si pose, nei fatti, come un problema politico immediato, appunto perchè fu nelle zone più densamente contadine, ed in particolare in quelle dove predomina la piccola proprietà coltivatrice diretta, ed anche in alcune delle zone industriali di più recente formazione particolarmente se collocate in zone di prevalente piccola proprietà, che si ebbero i risultati i più sfavorevoli per noi, tali da indicare la necessità e l'urgenza di un serio lavoro di chiarificazione, da condurre tra le masse dei coltivatori diretti e dei piccoli proprietari in particolare". Il documento è conservato presso l'archivio storico della Flai, Fondo Federbraccianti, b. 11.5 (1), fasc. 2. Sulla politica del Pci e della Cgil nei confronti dei contadini negli anni del secondo dopoguerra, vedi A. Rossi Doria, Appunti sulla politica agraria del movimento operaio nel secondo dopoguerra: il dibattito sui coltivatori diretti, "Italia contemporanea", 123, 1976, pp. 69-113 e F. De Felice, Togliatti e la costruzione del partito nuovo nel Mezzogiorno, in Togliatti e il Mezzogiorno, Roma, 1977, v. I, pp. 35-111. 2) Il 23 ottobre 1948 era stata costituita l'Associazione nazionale dei coltivatori diretti; il 9 dicembre 1951 aveva tenuto il suo congresso costitutivo l'Acmi. 3) Esperienze e prospettive nella lotta per la riforma agraria. Relazione e discorso conclusivo del compagno Ruggero Grieco alla riunione della Commissione Agraria Nazionale, 11-12 dicembre 1951, bozze di stampa, p. 36. 4) A partire dal 1952 si costituiscono via via a Grosseto il Comitato provinciale Assegnatari della terra; a Mesola (Ferrara) l'Associazione autonoma assegnatari di terra del Delta Padano; a Cosenza l'Associazione regionale assegnatari terra della Calabria; a Foggia il Sindacato autonomo degli assegnatari dell'Ente di riforma fondiaria. Queste ed altre notizie si ritrovano in Archivio centrale dello Stato (d'ora in poi Acs), Ministero interno, Gabinetto, 1953-1956, b. 177, fasc. 3494. 5) Relazione al 1° Congresso della Associazione assegnatari di Ravenna, Ravenna 15 maggio 1955, in Istituto Alcide Cervi, Archivio storico nazionale dei movimenti contadini (d'ora in poi Asnmc), Fondo Associazione nazionale assegnatari (d'ora in poi Fondo Ana), b. 1, fasc. Ravenna. 6) v. Asnmc, Fondo Pietro Grifone, b. 1, fasc. Riforma fondiaria (l'indicazione archivistica è provvisoria, essendo il fondo in corso di riordinamento). 7) Il resoconto della conferenza nazionale degli assegnatari, redatto da funzionari dell'Ente per la Maremma e il Fucino, è in Acs, Presidenza consiglio ministri, Gabinetto, 1951-1954, 3.1.1 4723/2.19. Le mozioni approvate furono pubblicate nella rivista "Riforma agraria", 3, 1954, pp. 4-5. 8) Il richiamo all'unità è una costante negli interventi dei dirigenti: si veda,ad esempio, quanto affermò Grieco alla conferenza nazionale del febbraio 1954: "Soprattutto importa organizzarsi in senso unitario. Se è necessario, si deve sacrificare qualche cosa alla "unità" (Acs, Presidenza consiglio ministri, Gabinetto, 1951-1954, cit.). 9) Così a Castellaneta (Taranto), alla fine del 1953, si era costituita l'Associazione autonoma assegnatari dell'Ente riforma, in antagonismo ad un Circolo ricreativo assegnatari sorto a cura dell'Ente riforma fondiaria nel gennaio dello stesso anno (Acs, Ministero interno, Gabinetto, 1953-1956, cit.). La Coldiretti, dal canto suo, aveva costituito, nel marzo 1953, un'apposita Federazione nazionale assegnatari terre di riforma fondiaria che tenne a Roma il suo primo convegno nel gennaio 1954 ("il Coltivatore", 23 gennaio 1954). La "bonomiana", però, non spinse mai a fondo nell'associare gli assegnatari, in quanto organizzarli significava mettersi contro gli enti di riforma, nei cui consigli di amministrazione sedevano suoi rappresentanti. Alla Coldiretti, inoltre, venne attribuita, in molti casi, la gestione dei servizi relativi all'assistenza ed alla tutela degli assegnatari (vedi O. Lanza, L'agricoltura, la Coldiretti e la Dc, in L. Morlino (a cura di), Costruire la democrazia. Gruppi e partiti in Italia, Bologna, 1991, pp. 110-111). 10) V. A. Monasterio, Per la libertà degli assegnatari, per il progresso e la civiltà nelle campagne, rapporto presentato al Congresso nazionale degli assegnatari, Grosseto, 14-15 aprile 1956, a cura dell'Associazione nazionale assegnatari, Roma, s.d. 11) All'Alleanza nazionale dei contadini aderirono, oltre al Comitato nazionale di coordinamento fra le Associazioni autonome degli assegnatari, l'Associazione nazionale coltivatori diretti, l'Acmi, l'Unione coltivatori siciliani, l'Unione dei contadini e pastori sardi e il settore cooperativo agricolo e mutue contadine della Lega nazionale cooperative (v. R. Grieco, L'Alleanza dei contadini, "L'Unità", 12 maggio 1955). Dalla nuova organizzazione, all'ultimo momento, rimasero però fuori le cooperative agricole, malgrado la loro presenza nel comitato promotore. 12) Di questa attività, diretta da Wanda Parracciani, si trova traccia in alcune buste del Fondo Alleanza nazionale dei contadini, conservato presso l'Istituto Alcide Cervi. 13) Si veda B. Celati, Da bracciante a contadini: note sugli assegnatari ferraresi dell'Ente Delta Padano, "Annali" dell'Istituto Cervi, 7, 1985, p. 296. Sull'opera dei partiti della sinistra fra gli assegnatari si veda anche L. Mazzaferro, Geografia elettorale del Delta Padano. Risultati elettorali e conseguenze politiche della riforma agraria, Bologna, 1956. 14) Gli enti considerarono le cooperative più come proprie diramazioni periferiche che come organismi autonomi. Uno studioso della riforma, Marciani, nell'evidenziare gli aspetti positivi dell'attività degli enti, affermava però che "in concreto per gli Enti è stato difficile dosare la loro ingerenza nell'attività della società, in maniera da renderla conciliabile con il ripsetto effettivo dei principi cooperativistici" (cfr. G. E. Marciani, L'esperienza di riforma agraria in Italia, Roma, 1966, p. 127). 15) e stesse forze della sinistra, tuttavia, non si limitarono ad una mera attività di contrapposizione. Emilio sereni, presidente dell'Alleanza nazionale dei contadini, in una riunione del comitato direttivo, esortò a "stabilire un contatto diretto con gli Enti, intervenendo in maniera ufficiale per discutere i vari problemi di orientamento. L'azione non sia soltanto di denuncia, ma di proposta verso gli Enti di riforma (verbale della riunione del comitato direttivo dell'Alleanza nazionale dei contadini, 29 gennaio 1958, in Asnmc, Fondo Emilio Sereni, b. Alleanza nazionale dei contadini, fasc. Organismi direttivi). 16) Nel 1952 il settore agricolo della Lega nazionale cooperative e mutue aveva persino elaborato uno statuto-tipo da contrapporre a quello degli enti di riforma; nel 1954-1955, invece, man mano che procedeva il lavoro di organizzazione, le sinistre lanciarono la parola d'ordine dell'adesione in massa alle cooperative promosse dagli enti. Si veda R. Liberale, Movimento contadino e lotte popolari in Abruzzo dal 1944 a oggi, in Campagne e movimento contadino nel Mezzogiorno d'Italia dal dopoguerra a oggi, v. I, Bari, 1979, p. 69. 17) v. Rispettivamente la relazione del luglio 1955 su "Sviluppo dell'Associazione autonoma assegnatari del Delta Padano e successi ottenuti", Asnmc, Fondo Ana, b. 1, fasc. Rovigo e la nota del luglio 1955, ibidem, b. 3, fasc. Salerno. Il prefetto di Ferrara, riferendo al ministero dell'interno sui dissidi sorti fra l'Ente di colonizzazione del Delta Padano e gli assegnatari del comune di Mesola, riguardanti le firme dei contratti definitivi di cessione dei terreni, affermava: "Acquista sempre più valore così la convinzione ormai diffusa tra gli assegnatari, compresi i pochi che non aderiscono all'associazione [quella di sinistra], che questa costituisca l'unica difesa dei loro interessi contro pretesi soprusi ed arbitri dei dirigenti" (lettera del 18 gennaio 1955, Acs, Ministero interno, Gabinetto, 1953-1956, b. 175, fasc. 3430). 18) v. La relazione sulla situazione esistente nel comprensorio di riforma del Molise, del giugno 1955, in Asnmc, Fondo Ana, b. 3, fasc. Basso Molise. 19) Sulla riforma fondiaria esiste un'amplissima bibliografia. Si vedano, in particolare, i due volumi: La riforma fondiaria: trent'anni dopo, a cura dell'Istituto nazionale di sociologia rurale, Milano, 1979; i contributi al convegno "La riforma fondiaria trent'anni dopo", in "Rivista di economia agraria", 4, 1979; P. Pezzino, La riforma agraria in Calabria. Intervento pubblico e dinamica sociale in un'area del Mezzogiorno 1950/1970, Milano, 1977; G. Massullo, La riforma agraria in P. Bevilacqua (a cura di), Storia dell'agricoltura italiana in età contemporanea, v. III, Mercati e istituzioni, Venezia, 1991, pp. 509-542; i contributi di F. Compagna e G. Giarrizzo nel volume Interpretazioni della riforma agraria, mostra "Arte e mondo contadino, 1945-1980", Regione Basilicata, Regione Piemonte e Istituto Alcide Cervi.
dc:date
  • 14 aprile 1956 - 1962
ha date esistenza
ha statusProvenienza
abstract
  • [La storia dell'associazione è tratta da: Francesco Albanese, "Gli anni '50 nelle campagne della riforma fondiaria: carte dell'associazionismo agricolo fra gli assegnatari" in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi" n. 17/18, 1995-1996, pp. 327-334.] "Fra la fine del 1951 ed i primi mesi del 1952 si chiudeva quel ciclo di lotte contadine iniziato nell'ultimo anno di guerra e si apriva l'epoca della riforma fondiaria. Attraverso il meccanismo degli espropri e delle assegnazioni di terra, gli enti della riforma avevano incominciato a provvedere alle opere di trasformazione ed alla costruzione delle infrastrutture essenziali. Soprattutto era il momento della costituzione e dell'avvio delle cooperative "coatte"- termine usato dalla sinistra dell'epoca per indicare che la legge imponeva agli assegnatari di farne parte onde usufruire dell'assistenza tecnica ed economico-finanziaria. In qualche modo era così iniziata, in alcune zone arretrate dell'Italia agricola, un'azione di ammodernamento e di rinnovamento delle strutture produttive, anche se i beneficiari della riforma, gli assegnatari, si trovavano in una situazione alquanto ibrida: pur avendo tutti gli oneri dei proprietari, di fatto non lo erano ancora, con il rischio di tornare alla loro condizione originaria. Fino a poco tempo prima braccianti o contadini poveri, legati quindi ad un'economia di sussistenza, ora, immessi in un'economia di mercato, dovevano fare i conti non solo con gli enti di riforma, ma misurarsi anche con le vicende della produzione e dei prezzi, problemi inerenti al loro nuovo ruolo. Per questa categoria "emergente" si ponevano dunque sul tappeto una serie di rivendicazioni specifiche e quindi la necessità, per la sinistra, di elaborare strumenti organizzativi più appropriati, dal momento che nessuna delle organizzazioni allora esistenti era attrezzata, professionalmente e tecnicamente, per rispondere specificamente a quelle esigenze. Il tema dell'organizzazione degli assegnatari va, d'altro canto, considerato alla luce del dibattito, già in corso nella stessa sinistra, sulle forme di aggregazione autonoma dei contadini coltivatori. La riflessione, e quindi l'autocritica, era stata avviata nel 1948, all'indomani dei risultati elettorali del 18 aprile, deludenti soprattutto là dove esistevano cospicue forze non bracciantili (1). Grazie ad una battaglia politica, anche aspra, condotta nel Pci e nel Psi da Ruggero Grieco e da Rodolfo Morandi, fra la fine degli anni '40 e gli inizi degli anni '50, erano state sperimentate per i lavoratori indipendenti dell'agricoltura nuove formule organizzative, come l'Associazione nazionale dei coltivatori diretti, aderente alla Confederterra ma non alla Cgil, e l'Associazione dei contadini del Mezzogiorno d'Italia (Acmi), autonoma da entrambe (2). Per quanto riguarda gli assegnatari sin dal dicembre 1951 Grieco raccomanda di organizzarli, subito, non appena fatte le assegnazioni di terra, in proprie associazioni di categoria. Queste associazioni - aveva detto intervenendo alla riunione della commissione agraria nazionale del Pci nel dicembre 1951 - debbono essere da noi costituite, subito, non appena fatte le assegnazioni. Non ci deve essere per i contadini soluzione fra la loro organizzazione anteriore nella lega dei braccianti e dei mezzadri o dei coltivatori diretti, e la nuova organizzazione. Date una importanza preminente a questo passaggio (3). La direttiva di lavoro è di non respingere frontalmente le leggi di riforma, contro cui la sinistra aveva votato, bensì di organizzare e di sviluppare il movimento per migliorare e modificare, nel corso stesso della loro attuazione, i provvedimenti governativi, ritenuti insufficienti e non collegati ad un disegno complessivo di riforma agraria. Quest'obiettivo - che non ha precedenti nella storia del movimento operaio e contadino occidentale - non viene pienamente attuato. Se sul piano politico-parlamentare l'approvazione al Senato nell'ottobre 1953 dell'ordine del giorno Medici-Grieco è un importante riconoscimento che le leggi, dal punto di vista dell'applicazione, andavano rettificate, nei comprensori di riforma l'iniziativa della sinistra stenta invece a decollare. Nel corso del 1952-1953 - è vero - sorgono, ad opera di quadri bracciantili, mezzadrili o delle federazioni locali, le prime associazioni di assegnatari (4), ma i successi conseguiti riguardano solo obiettivi parziali e a carattere locale. L'esperienza calabrese - più volte addotta come modello - era rimasta isolata: qui, infatti, il movimento riuscì ad ottenere un allargamento degli espropri, ma non a caso, la Calabria era stata all'avanguardia nelle lotte per la terra degli anni 1949-1950 e questo patrimonio non era andato disperso. A spiegare in parte quel ritardo certo contribuiva l'atteggiamento di "attesa", si "smobilitazione", di opposizione "negativa e passiva", assunto da molti quadri, anche dirigenti, nei confronti delle leggi di riforma, convinti com'erano che quei provvedimenti non avrebbero granché migliorato le condizioni dei contadini. In realtà l'intervento riformatore del governo mutava i classici termini di riferimento della lotta politica, portando allo scoperto la contraddizione che si annidava all'interno dello schieramento di sinistra. Tale contraddizione, già emersa poco tempo prima nel dibattito sulla composizione dei comitati per la terra, riguarda l'impegno non univoco del sindacato nello spingere fino in fondo le lotte per la conquista della terra, e di individuare, attorno a quest'obiettivo, una politica delle alleanze adeguata. L'accesso alla terra non costituiva allora l'obiettivo generale dell'intero movimento sindacale, nonostante tutte le dichiarazioni di principio. Non dappertutto le organizzazioni dei braccianti e dei mezzadri si muovevano sul problema terra, e non dappertutto sull'obiettivo riforma agraria. Nella Valle padana, come in Puglia, la lotta era per il lavoro e l'occupazione, nelle regioni della mezzadria per la riforma dei patti agrari. L'insufficiente ed incompleta azione, quindi, delle organizzazioni sindacali nelle zone di riforma rischiava di lasciare indifeso l'assegnatario. L'orientamento prevalente - come avrebbe denunciato il segretario dell'Associazione degli assegnatari di Ravenna in occasione del primo congresso provinciale - era che l'assegnatario, avendo risolto il proprio problema, quello della terra, "non ha più nulla a che fare con gli altri lavoratori" (5). Lo stesso Grieco, in un intervento del 1953, metteva in guardia: Non è possibile che un ex bracciante, che adesso è in una posizione ancora equivoca, fluida, venga abbandonato dalle organizzazioni dalle quali deriva; è chiaro che queste organizzazioni debbono aiutarlo, assisterlo, altrimenti corriamo il rischio di farlo irretire dagli avversari. Si trattava, per le forze sindacali, non solo di perdere il contatto con i propri ex organizzati, ma soprattutto di impostare e perseguire rapporti positivi con le strutture che cominciavano ad interessarsi degli assegnatari in quanto produttori agricoli. Queste incomprensioni e resistenze del resto non erano casuali, ma si legavano alla difficoltà per il movimento contadino, e per tutta la sinistra, di mettere a punto una linea di politica agraria che tenesse conto non solo degli strati proletari o semiproletari delle campagne, ma anche dei ceti intermedi autonomi aventi come prima risorsa il lavoro, ma che impiegano anche capitali. Solo a fine 1953, in due riunioni congiunte (6), il Pci e il Psi, tramite le rispettive commissioni agrarie,decisero di elaborare una piattaforma rivendicativa omogenea e di creare una struttura autonoma e nazionale con il compito di coordinare e di rappresentare le diverse associazioni di assegnatari che, via via, si erano costituite grazie all'iniziativa dal basso. La svolta si concretizza nel 1954: il 16 febbraio, in occasione di una conferenza nazionale (7), tenuta a Roma, viene nominato un Comitato nazionale. L'obiettivo è di puntare all'unità della categoria - non si deve infatti dimenticare che la riforma operativa in ambiti socio-economici diversissimi fra loro - e di coinvolgere il movimento contadino nel suo insieme (8). La spinta, tuttavia, deriva anche dall'intento di non lasciarsi scavalcare da analoghe iniziative messe in piedi dalla Coldiretti - organizzazione egemone nelle campagne - nonché dagli stessi enti di riforma (9). Nel 1956, in occasione del primo (ed unico) congresso, svolto a Grosseto il 14-15 aprile, il Comitato si trasforma quindi in Associazione nazionale (10). Ma intanto era incominciata una nuova stagione dell'organizzazione contadina: quella della costruzione dell'Alleanza nazionale dei contadini, cui il Comitato aveva aderito nel maggio 1955 e nella quale confluì nel 1962, insieme alle altre associazioni dei coltivatori orientate a sinistra, quando l'Alleanza da federativa si tramuta in organizzazione unitaria (11). L'Alleanza continuò ad occuparsi degli assegnatari della riforma, ma solo come un lavoro specializzato all'interno dell'organizzazione (12). Il Comitato prima e l'Associazione dopo, svolsero un'attività che possiamo definire di tipo sindacale (13). In realtà gli assegnatari in gran parte avevano coscienza del loro nuovo ruolo, ma trovandosi ancora in una posizione subordinata, volevano che la propria organizzazione fungesse da tramite tra loro e la controparte diretta, l'ente di riforma, allo scopo di impadronirsi di tutti gli strumenti necessari per agire da contadini autonomi. Era l'ente, ad esempio, a decidere gli orientamenti produttivi e ad eseguire i piani di trasformazione, cui l'assegnatario doveva sottostare; era l'ente ad acquistare il bestiame e ad assegnarlo per sorteggio; era l'ente a promuovere e gestire in modo clientelare le cooperative (14); era ancora l'ente a fornire l'assistenza previdenziale, sanitaria, religiosa e ad organizzare corsi d'istruzione popolare e professionale. Memorabili poi le battaglie fra gli stessi enti, che imponevano di abitare in campagna in case coloniche prive di servizi e chi invece, come nel centro-sud, aveva da sempre vissuto nei borghi rurali, magari nella miseria, ma a contatto con gli amici (15). Dietro a questo fatto v'era l'incapacità di costruire un reale rapporto uomo-terra, sicché quando quel legame si allenterà del tutto a causa di profondi mutamenti economici e sociali, migliaia di poderi saranno abbandonati. Quel disegno di politica agraria e fondiaria sarebbe stato infatti travolto dalle nuove condizioni determinate dall'industrializzazione, dall'esodo, dall'ingresso nel mercato comune. Lo sforzo costante, da parte dell'Associazione degli assegnatari - che si riflette nelle carte a noi pervenute - fu di tentare di ricomporre quel rapporto, aderendo alle singole realtà, diverse da comprensorio a comprensorio, e cercando di fornire risposte a questioni ben precise, riguardanti conti, concimi, sementi, mezzi tecnici, prezzi, scelte produttive, ordinamenti colturali. Una serie di questioni che il movimento sindacale nel suo complesso aveva fino ad allora scarsamente valutato, e su cui l'Associazione dovette invece quotidianamente misurarsi, coinvolgendo - forse non a sufficienza - anche le forze della cultura. Significativa, a questo proposito, una relazione dell'Associazione degli assegnatari di Cassano, in provincia di Cosenza, nella quale si invitano i quadri a prendere contatto con i contadini dei "feudi", per individuarne le esigenze irrigue, e a costituire un comitato di tecnici e di intellettuali per redarre un piano particolareggiato di bonifica e per pubblicizzarlo adeguatamente. Che gli assegnatari si aspettassero un aiuto ben preciso per superare questo momento di crescita, si può constatare dal fatto che ove la sinistra, abbandonando lo sterile atteggiamento di denuncia, prese una posizione positiva e rispondente alle esigenze locali nei confronti della cooperazione obbligatoria, questa riuscì a diventare davvero uno strumento di partecipazione democratici (16). In alcuni casi, infatti, venne conquistata la direzione delle cooperative da parte dei rappresentanti delle forze di sinistra. E questo nonostante il boicottaggio degli enti di riforma che ritardavano la costituzione delle cooperative, temendo che, da strumenti di assoggettamento, si tramutassero in strumenti di aggregazione dei contadini. Il diverso ruolo assunto dall'Associazione consentì in parte di riguadagnare il terreno perduto e di ottenere una rappresentanza abbastanza estesa degli assegnatari, malgrado le intimidazioni degli enti e il dominio pressoché totale della Coldiretti nelle campagne, e nonostante i rapporti non proprio "idilliaci" con i sindacati di sinistra. In particolare la Federbraccianti si sentiva esentata dall'intervenire in difesa del contadino cui venivano assegnate le terre, avendo mutato il suo status da bracciante ad assegnatario. La scarsità delle fonti non consente, a tutt'oggi, di conoscere il numero degli organizzati dell'Associazione, tuttavia chi ha vissuto quel periodo lo ricorda come un importante momento di vita unitaria. Così, nel Delta Padano, si afferma che la locale Associazione organizza la stragrande maggioranza degli assegnatari, riuscendo ad influenzare e a portare alla lotta anche molti assegnatari aderenti alla Uil, alla Cisl ed alla Bonomiana. Oppure, nel Salernitano, all'Associazione autonoma degli assegnatari della Valle del Sele, risultarono aderenti bel l'83% degli assegnatari (17). Ma anche nel piccolo comprensorio del Molise, dove l'ente di riforma aveva organizzato - secondo una relazione del giugno 1955 - addirittura una "cintura di spionaggio" che sorvegliava ogni movimento degli assegnatari, in tutto 480, questi, nei rari e difficili contatti, non esitavano a dichiarare la propria simpatia per la locale associazione di sinistra (18). Non dappertutto, però, l'Associazione riuscì a coagulare attorno alle proprie proposte ed iniziative gli assegnatari. Là dove la riforma fondiaria non ha operato in modo tale da divenire il problema principale, dove ci sono state le quotizzazioni, e l'assegnatario ha conservato la caratteristica prevalente di prestatore d'opera, qui l'Associazione non riuscì a mettere in piedi una scrittura organizzativa autosufficiente, neanche per poter pagare i propri quadri. Là dove ci sono stati il numero, la forza, la maturità, si crearono, invece, da subito, le condizioni di carattere politico, organizzativo ed anche finanziario, per costruire delle grosse realtà, come in Maremma o nel Metapontino. E, non a caso, qui gli assegnatari hanno resistito. Non c'è dubbio dunque che la scelta, da parte delle forze più democratiche e progressiste dell'epoca, di organizzare in modo autonomo gli assegnatari e di farne i veri protagonisti della riforma, ha pesato in modo determinante per trasformarli in coltivatori autonomi, in grado di gestire liberamente le proprie scelte (19). Ed è anche vero che attraverso quell'esperienza maturò nella sinistra - sia pure con difficoltà e con ritardo - la consapevolezza del ruolo politico e sociale che gli imprenditori contadini possono svolgere a sostegno di un'agricoltura progredita ed avanzata." Note: 1) Un interessante documento del Pci, intitolato "Per un piano di lavoro in direzione dei contadini", del 1952, senza firma, ma di sicuro attribuibile a Ruggero Grieco, così afferma: "Il nostro lavoro in direzione dei contadini non data da molto tempo, essendo stato iniziato appena dopo le elezioni dell'aprile 1948, per cui è possibile affermare che, almeno sotto un certo aspetto, esso trae origine proprio dai risultati delle elezioni del 1948. Fu precisamente a seguito delle elezioni, o meglio dei risultati di esse, che il problema dei contadini si pose, nei fatti, come un problema politico immediato, appunto perchè fu nelle zone più densamente contadine, ed in particolare in quelle dove predomina la piccola proprietà coltivatrice diretta, ed anche in alcune delle zone industriali di più recente formazione particolarmente se collocate in zone di prevalente piccola proprietà, che si ebbero i risultati i più sfavorevoli per noi, tali da indicare la necessità e l'urgenza di un serio lavoro di chiarificazione, da condurre tra le masse dei coltivatori diretti e dei piccoli proprietari in particolare". Il documento è conservato presso l'archivio storico della Flai, Fondo Federbraccianti, b. 11.5 (1), fasc. 2. Sulla politica del Pci e della Cgil nei confronti dei contadini negli anni del secondo dopoguerra, vedi A. Rossi Doria, Appunti sulla politica agraria del movimento operaio nel secondo dopoguerra: il dibattito sui coltivatori diretti, "Italia contemporanea", 123, 1976, pp. 69-113 e F. De Felice, Togliatti e la costruzione del partito nuovo nel Mezzogiorno, in Togliatti e il Mezzogiorno, Roma, 1977, v. I, pp. 35-111. 2) Il 23 ottobre 1948 era stata costituita l'Associazione nazionale dei coltivatori diretti; il 9 dicembre 1951 aveva tenuto il suo congresso costitutivo l'Acmi. 3) Esperienze e prospettive nella lotta per la riforma agraria. Relazione e discorso conclusivo del compagno Ruggero Grieco alla riunione della Commissione Agraria Nazionale, 11-12 dicembre 1951, bozze di stampa, p. 36. 4) A partire dal 1952 si costituiscono via via a Grosseto il Comitato provinciale Assegnatari della terra; a Mesola (Ferrara) l'Associazione autonoma assegnatari di terra del Delta Padano; a Cosenza l'Associazione regionale assegnatari terra della Calabria; a Foggia il Sindacato autonomo degli assegnatari dell'Ente di riforma fondiaria. Queste ed altre notizie si ritrovano in Archivio centrale dello Stato (d'ora in poi Acs), Ministero interno, Gabinetto, 1953-1956, b. 177, fasc. 3494. 5) Relazione al 1° Congresso della Associazione assegnatari di Ravenna, Ravenna 15 maggio 1955, in Istituto Alcide Cervi, Archivio storico nazionale dei movimenti contadini (d'ora in poi Asnmc), Fondo Associazione nazionale assegnatari (d'ora in poi Fondo Ana), b. 1, fasc. Ravenna. 6) v. Asnmc, Fondo Pietro Grifone, b. 1, fasc. Riforma fondiaria (l'indicazione archivistica è provvisoria, essendo il fondo in corso di riordinamento). 7) Il resoconto della conferenza nazionale degli assegnatari, redatto da funzionari dell'Ente per la Maremma e il Fucino, è in Acs, Presidenza consiglio ministri, Gabinetto, 1951-1954, 3.1.1 4723/2.19. Le mozioni approvate furono pubblicate nella rivista "Riforma agraria", 3, 1954, pp. 4-5. 8) Il richiamo all'unità è una costante negli interventi dei dirigenti: si veda,ad esempio, quanto affermò Grieco alla conferenza nazionale del febbraio 1954: "Soprattutto importa organizzarsi in senso unitario. Se è necessario, si deve sacrificare qualche cosa alla "unità" (Acs, Presidenza consiglio ministri, Gabinetto, 1951-1954, cit.). 9) Così a Castellaneta (Taranto), alla fine del 1953, si era costituita l'Associazione autonoma assegnatari dell'Ente riforma, in antagonismo ad un Circolo ricreativo assegnatari sorto a cura dell'Ente riforma fondiaria nel gennaio dello stesso anno (Acs, Ministero interno, Gabinetto, 1953-1956, cit.). La Coldiretti, dal canto suo, aveva costituito, nel marzo 1953, un'apposita Federazione nazionale assegnatari terre di riforma fondiaria che tenne a Roma il suo primo convegno nel gennaio 1954 ("il Coltivatore", 23 gennaio 1954). La "bonomiana", però, non spinse mai a fondo nell'associare gli assegnatari, in quanto organizzarli significava mettersi contro gli enti di riforma, nei cui consigli di amministrazione sedevano suoi rappresentanti. Alla Coldiretti, inoltre, venne attribuita, in molti casi, la gestione dei servizi relativi all'assistenza ed alla tutela degli assegnatari (vedi O. Lanza, L'agricoltura, la Coldiretti e la Dc, in L. Morlino (a cura di), Costruire la democrazia. Gruppi e partiti in Italia, Bologna, 1991, pp. 110-111). 10) V. A. Monasterio, Per la libertà degli assegnatari, per il progresso e la civiltà nelle campagne, rapporto presentato al Congresso nazionale degli assegnatari, Grosseto, 14-15 aprile 1956, a cura dell'Associazione nazionale assegnatari, Roma, s.d. 11) All'Alleanza nazionale dei contadini aderirono, oltre al Comitato nazionale di coordinamento fra le Associazioni autonome degli assegnatari, l'Associazione nazionale coltivatori diretti, l'Acmi, l'Unione coltivatori siciliani, l'Unione dei contadini e pastori sardi e il settore cooperativo agricolo e mutue contadine della Lega nazionale cooperative (v. R. Grieco, L'Alleanza dei contadini, "L'Unità", 12 maggio 1955). Dalla nuova organizzazione, all'ultimo momento, rimasero però fuori le cooperative agricole, malgrado la loro presenza nel comitato promotore. 12) Di questa attività, diretta da Wanda Parracciani, si trova traccia in alcune buste del Fondo Alleanza nazionale dei contadini, conservato presso l'Istituto Alcide Cervi. 13) Si veda B. Celati, Da bracciante a contadini: note sugli assegnatari ferraresi dell'Ente Delta Padano, "Annali" dell'Istituto Cervi, 7, 1985, p. 296. Sull'opera dei partiti della sinistra fra gli assegnatari si veda anche L. Mazzaferro, Geografia elettorale del Delta Padano. Risultati elettorali e conseguenze politiche della riforma agraria, Bologna, 1956. 14) Gli enti considerarono le cooperative più come proprie diramazioni periferiche che come organismi autonomi. Uno studioso della riforma, Marciani, nell'evidenziare gli aspetti positivi dell'attività degli enti, affermava però che "in concreto per gli Enti è stato difficile dosare la loro ingerenza nell'attività della società, in maniera da renderla conciliabile con il ripsetto effettivo dei principi cooperativistici" (cfr. G. E. Marciani, L'esperienza di riforma agraria in Italia, Roma, 1966, p. 127). 15) e stesse forze della sinistra, tuttavia, non si limitarono ad una mera attività di contrapposizione. Emilio sereni, presidente dell'Alleanza nazionale dei contadini, in una riunione del comitato direttivo, esortò a "stabilire un contatto diretto con gli Enti, intervenendo in maniera ufficiale per discutere i vari problemi di orientamento. L'azione non sia soltanto di denuncia, ma di proposta verso gli Enti di riforma (verbale della riunione del comitato direttivo dell'Alleanza nazionale dei contadini, 29 gennaio 1958, in Asnmc, Fondo Emilio Sereni, b. Alleanza nazionale dei contadini, fasc. Organismi direttivi). 16) Nel 1952 il settore agricolo della Lega nazionale cooperative e mutue aveva persino elaborato uno statuto-tipo da contrapporre a quello degli enti di riforma; nel 1954-1955, invece, man mano che procedeva il lavoro di organizzazione, le sinistre lanciarono la parola d'ordine dell'adesione in massa alle cooperative promosse dagli enti. Si veda R. Liberale, Movimento contadino e lotte popolari in Abruzzo dal 1944 a oggi, in Campagne e movimento contadino nel Mezzogiorno d'Italia dal dopoguerra a oggi, v. I, Bari, 1979, p. 69. 17) v. Rispettivamente la relazione del luglio 1955 su "Sviluppo dell'Associazione autonoma assegnatari del Delta Padano e successi ottenuti", Asnmc, Fondo Ana, b. 1, fasc. Rovigo e la nota del luglio 1955, ibidem, b. 3, fasc. Salerno. Il prefetto di Ferrara, riferendo al ministero dell'interno sui dissidi sorti fra l'Ente di colonizzazione del Delta Padano e gli assegnatari del comune di Mesola, riguardanti le firme dei contratti definitivi di cessione dei terreni, affermava: "Acquista sempre più valore così la convinzione ormai diffusa tra gli assegnatari, compresi i pochi che non aderiscono all'associazione [quella di sinistra], che questa costituisca l'unica difesa dei loro interessi contro pretesi soprusi ed arbitri dei dirigenti" (lettera del 18 gennaio 1955, Acs, Ministero interno, Gabinetto, 1953-1956, b. 175, fasc. 3430). 18) v. La relazione sulla situazione esistente nel comprensorio di riforma del Molise, del giugno 1955, in Asnmc, Fondo Ana, b. 3, fasc. Basso Molise. 19) Sulla riforma fondiaria esiste un'amplissima bibliografia. Si vedano, in particolare, i due volumi: La riforma fondiaria: trent'anni dopo, a cura dell'Istituto nazionale di sociologia rurale, Milano, 1979; i contributi al convegno "La riforma fondiaria trent'anni dopo", in "Rivista di economia agraria", 4, 1979; P. Pezzino, La riforma agraria in Calabria. Intervento pubblico e dinamica sociale in un'area del Mezzogiorno 1950/1970, Milano, 1977; G. Massullo, La riforma agraria in P. Bevilacqua (a cura di), Storia dell'agricoltura italiana in età contemporanea, v. III, Mercati e istituzioni, Venezia, 1991, pp. 509-542; i contributi di F. Compagna e G. Giarrizzo nel volume Interpretazioni della riforma agraria, mostra "Arte e mondo contadino, 1945-1980", Regione Basilicata, Regione Piemonte e Istituto Alcide Cervi.
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