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  • Alessandro Natta (Oneglia 1918 - Imperia 2001)
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  • Alessandro Natta (Oneglia 1918 - Imperia 2001)
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  • Alessandro Natta (Oneglia 1918 - Imperia 2001)
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  • Alessandro Natta nacque a Oneglia (Imperia) il 7 gennaio 1918, da Antonio e da Delfina Muratorio, piccoli commercianti. Ultimo di sei figli, durante l’infanzia ricevette cure sollecite, in particolare, dalla sorella Giuseppina, di professione maestra, che ebbe un ruolo importante nella sua formazione culturale. Concluse brillantemente gli studi magistrali nel 1935 e conseguì la maturità classica l’anno successivo. Lasciò Oneglia nel 1936 per la Scuola normale superiore di Pisa, che frequentò con ottimi risultati. Concluse gli studi in lettere nel 1940 con il massimo dei voti, presentando una tesi sulla rivoluzione napoletana e sul pensiero storico e politico di Vincenzo Cuoco. Alla Normale iniziò un periodo di intenso attivismo politico, in un gruppo fondato insieme ad altri studenti antifascisti per impulso di Aldo Capitini, allievo e poi segretario della Scuola, da cui fu cacciato nel 1933 per aver rifiutato la tessera fascista; era un gruppo spontaneo, privo di un’organizzazione politica alle spalle, di orientamento liberalsocialista, con una riserva fortissima nei confronti del comunismo: lo caratterizzavano il clima e il tono ‘giacobini’ – come disse Natta stesso in un discorso del 1985 (1936-1941: L’antifascismo degli intellettuali a Pisa) – con la condivisione non solo degli «eroici furori della discussione» ma anche dell’«assillo del fare» e dell’azione. Natta combinava l’attività cospirativa con la partecipazione al Gruppo universitario fascista (GUF) pisano. Nonostante la profonda compromissione del direttore Giovanni Gentile con il regime fascista, fino al 1939-40 il clima universitario si rivelò abbastanza aperto e gli anni trascorsi a Pisa furono decisivi per la formazione di Natta, sia per l’apprendimento di un metodo di studio e ricerca – a cui contribuirono professori come Luigi Russo, Giorgio Pasquali, Guido Calogero, Delio Cantimori – sia perché il rigore, la disciplina e la severità costituirono una decisiva occasione di educazione etica e culturale oltre che di maturazione personale e politica. Al momento dello scoppio della guerra, i giovani antifascisti della Normale salutarono l’evento come l’unica strada per la sconfitta del fascismo. Interrotto, nel 1941, il perfezionamento a causa del servizio militare, Natta fu inviato come ufficiale di artiglieria in Grecia, dove fu ferito e imprigionato a Rodi a seguito di un tentativo di resistenza. Seguì l’internamento in Germania, dal marzo 1944 fino alla liberazione del 1945, in quattro campi: Mühlberg sull’Elba, Küstrin, Sandbostel, Wietzendorf. Natta raccontò questa esperienza nel libro L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, consegnato agli editori nel 1957 ma pubblicato solo nel 1997 a Torino. La prigionia rappresentò un momento di «chiarificazione e di educazione politica e culturale». A partire dall’esigenza di «tenere su il morale» e di «restare uomini», alcuni internati, tra cui Natta stesso, giunsero all’organizzazione di una sorta di università, mettendo ciascuno a disposizione le proprie competenze in ambiti culturali diversi. Uniti da legami di solidarietà e di amicizia, da una precedente conoscenza o semplicemente da interessi e passioni comuni, i prigionieri costituirono una vera e propria società in cui l’attività culturale divenne strumento di lotta contro il fascismo tramite l’organizzazione di lezioni, dibattiti, rappresentazioni. Una volta rientrato in Italia, non aveva ancora una definita collocazione politica, al punto che, a Imperia, tanto i socialisti quanto i comunisti nell’estate 1945 attendevano di sapere quale fosse la sua scelta. Nell’agosto 1945 si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI); nello stesso periodo sposò Adele Morelli, conosciuta tra i banchi delle magistrali, con la quale ebbe poi la figlia Antonella. Iniziò a lavorare come professore presso il liceo classico di Imperia, ma la scelta politica condizionò presto l’attività di insegnante, che lasciò per dedicarsi al lavoro di partito e agli incarichi pubblici. Natta visse l’approdo al comunismo come un passaggio naturale, esito dialettico della fiducia nella ragione e del radicalismo giacobino – maturati negli anni della cospirazione antifascista alla Normale – in continuità rispetto all’adesione ai principi illuministici e rivoluzionari del Settecento. Il modo in cui mise la propria esperienza personale al servizio del partito ne fece un intellettuale organico, anzi «l’ultima incarnazione storica e concreta dell’intellettuale organico l’ultimo a incarnare il modello gramsciano», come lo definì Edoardo Sanguineti. L’adesione al PCI fu determinata dalla riflessione, dall’«innamoramento progressivo avvenuto sulla base dell’elaborazione politica di Togliatti», che differenziò la scelta di Natta rispetto all’adesione di altri intellettuali, per i quali l’ingresso nel partito avvenne sulla base di un impulso fideistico per la ‘missione’ comunista. Consigliere comunale di Imperia dal giugno 1946, fu eletto deputato nel 1948; il lavoro parlamentare assunse un posto di primo piano nella sua attività, anche se rimase segretario della federazione di Imperia dal 1950 al 1955, quando fu nominato direttore dell’Istituto Gramsci, ruolo ricoperto fino alla fine del 1956: un periodo breve e tuttavia di grande rilievo, condizionato dai drammatici eventi del 1956 in Ungheria e in Polonia e dalla crisi tra intellettuali e PCI. Nell’attività parlamentare, Natta diede prova di grande impegno, serietà e preparazione, a cui contribuirono il rigore appreso alla Normale e l’esempio di Palmiro Togliatti, con il grande valore attribuito al Parlamento e al confronto in sede istituzionale. Fu eletto membro del comitato centrale del PCI nel 1956 e dall’anno successivo fu responsabile della commissione scuole di partito, ruolo ricoperto fino al 1960, quando si trasferì in pianta stabile a Roma e assunse l’incarico di responsabile della commissione stampa e propaganda. Entrato nella segreteria del PCI nel 1962, fu chiamato nella direzione alla fine del 1963. Limitando l’impegno parlamentare, si dedicò al lavoro di partito in qualità di responsabile della commissione culturale per tutto il 1962; diresse, insieme con Luigi Longo, la rivista Critica Marxista, che uscì per la prima volta all’inizio del 1963, fino al 1966, quando divenne responsabile del settore organizzazione, dove rimase tre anni. Vicino a Togliatti al momento della morte (1964), che raccontò in Le ore di Yalta (Roma 1970), ritenne fondamentale l’esempio del segretario come combattente e uomo politico che aveva elaborato l’idea del partito comunista di massa e della via italiana al socialismo. Condivise senza riserve l’impostazione e i contenuti della risposta di Togliatti al processo di destalinizzazione e ai fatti di Ungheria e Polonia, assumendo un profilo e un’immagine di politico organico alla logica di partito, fedele al centro rappresentato dal segretario, che lo contraddistinse nell’attività politica successiva. Negli ultimi anni della direzione di Togliatti, come poi avvenne con Longo ed Enrico Berlinguer, la presenza di Natta all’interno della direzione nazionale si caratterizzò per le doti di equilibrio politico, di fedeltà ai segretari in carica e di scarsa propensione alla personalizzazione dei compiti assunti, elementi che lo contraddistinsero come mediatore nel partito e come politico di altissimo profilo piuttosto che come capo. L’educazione e i problemi della scuola furono centrali nella sua riflessione e nella sua proposta politica; tuttavia, durante la contestazione studentesca del 1968, la sua posizione, come quella di tutta la direzione del PCI, ebbe serie difficoltà nel fronteggiare una protesta sorprendente e per certi aspetti diversa dal passato. Quando poi, nel 1969, alcuni membri del partito (tra i quali Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Aldo Natoli, Lucio Magri) crearono la rivista il Manifesto, il compito di responsabile dell’organizzazione, le competenze teoriche da intellettuale, nonché la posizione centrista, fecero di Natta il candidato ideale per condurre l’accusa nei confronti del gruppo del Manifesto e a sostenere la richiesta – poi accolta – della radiazione dal PCI. Uscì rafforzata la sua immagine come politico comunista interamente al servizio del partito. Diresse il settimanale Rinascita dal 1970 al 1972, anno a partire dal quale, e fino al 1979, presiedette il gruppo parlamentare del PCI. Rientrato in segreteria nel luglio 1979, vi rimase fino al 1983, quando divenne presidente della commissione centrale di controllo. Con la nomina a viceresponsabile dell’ufficio di segreteria e con il successivo ingresso in direzione, entrò nel cuore organizzativo del PCI. Dopo la morte di Enrico Berlinguer nel giugno 1984, fu eletto segretario generale, carica alla quale fu riconfermato nel 1986. Diversamente da quanto era accaduto per i segretari precedenti, già informalmente designati, l’elezione di Natta fu una «tragica emergenza», come egli stesso la definì nel suo discorso al partito, in cui espose i timori derivanti dal ricoprire un ruolo così importante, mettendo in primo piano i limiti e la modestia delle sue capacità, ed espresse motivi che lo avevano convinto ad accettare l’incarico: il senso del dovere, la fiducia nei compagni, la coerenza con la vita da militante (Natta eletto segretario del partito, in l’Unità, 27 giugno 1984). Negli anni della sua direzione Natta si trovò di fronte a rilevanti difficoltà e a uno scontro interno al partito, emerso già durante gli ultimi anni della segreteria di Berlinguer. L’esito negativo sul referendum sulla scala mobile, che era stato fortemente voluto dal PCI (1985), e il cattivo risultato elettorale del 1987 misero in discussione la gestione dell’eredità lasciata da Berlinguer e contribuirono alla crisi del partito. Nel 1988, dopo essere stato colpito da un infarto, si dimise da segretario. Natta aveva caratterizzato la sua direzione nazionale con l’idea della politica come professione vocazionale, il più possibile estranea alla logica particolaristica e alla concezione di un ruolo politico ‘provvidenziale’. Il fastidio nei confronti delle mode e della mondanità, il severo giudizio da intellettuale sulle modalità del fare politica e la manifestazione del suo ‘orgoglio di partito’, gli resero ardua l’impresa di cambiamento, evidenziando la contraddizione tra la volontà di innovare e il tradizionalismo. Le circostanze stesse della sua elezione a segretario lo fecero apparire come un «garante provvisorio degli equilibri tra le diverse tendenze in attesa che si delineasse la scelta di un nuovo leader» marcando una differenza rispetto al passato. Nel dimettersi, espresse la volontà di tornare a essere ‘semplice frate’: nel dialogo con il mondo cattolico aveva appreso la regola francescana per cui il priore, al termine del mandato, diventa nuovamente frate, e l’aveva fatta propria. Mise in primo piano il senso del dovere e la persuasione di agire per l’interesse generale del partito, come aveva fatto accettando l’incarico di segretario generale, ma non mancò l’amarezza nei confronti dello scontro interno al PCI e delle modalità della discussione post-elettorale, su cui la stampa insistette nel dare risalto alle motivazioni politiche delle dimissioni. Morì a Imperia il 23 maggio 2001.
dc:date
  • 23 maggio 2001
  • 7 gennaio 1918
ha date esistenza
ha statusProvenienza
abstract
  • Alessandro Natta nacque a Oneglia (Imperia) il 7 gennaio 1918, da Antonio e da Delfina Muratorio, piccoli commercianti. Ultimo di sei figli, durante l’infanzia ricevette cure sollecite, in particolare, dalla sorella Giuseppina, di professione maestra, che ebbe un ruolo importante nella sua formazione culturale. Concluse brillantemente gli studi magistrali nel 1935 e conseguì la maturità classica l’anno successivo. Lasciò Oneglia nel 1936 per la Scuola normale superiore di Pisa, che frequentò con ottimi risultati. Concluse gli studi in lettere nel 1940 con il massimo dei voti, presentando una tesi sulla rivoluzione napoletana e sul pensiero storico e politico di Vincenzo Cuoco. Alla Normale iniziò un periodo di intenso attivismo politico, in un gruppo fondato insieme ad altri studenti antifascisti per impulso di Aldo Capitini, allievo e poi segretario della Scuola, da cui fu cacciato nel 1933 per aver rifiutato la tessera fascista; era un gruppo spontaneo, privo di un’organizzazione politica alle spalle, di orientamento liberalsocialista, con una riserva fortissima nei confronti del comunismo: lo caratterizzavano il clima e il tono ‘giacobini’ – come disse Natta stesso in un discorso del 1985 (1936-1941: L’antifascismo degli intellettuali a Pisa) – con la condivisione non solo degli «eroici furori della discussione» ma anche dell’«assillo del fare» e dell’azione. Natta combinava l’attività cospirativa con la partecipazione al Gruppo universitario fascista (GUF) pisano. Nonostante la profonda compromissione del direttore Giovanni Gentile con il regime fascista, fino al 1939-40 il clima universitario si rivelò abbastanza aperto e gli anni trascorsi a Pisa furono decisivi per la formazione di Natta, sia per l’apprendimento di un metodo di studio e ricerca – a cui contribuirono professori come Luigi Russo, Giorgio Pasquali, Guido Calogero, Delio Cantimori – sia perché il rigore, la disciplina e la severità costituirono una decisiva occasione di educazione etica e culturale oltre che di maturazione personale e politica. Al momento dello scoppio della guerra, i giovani antifascisti della Normale salutarono l’evento come l’unica strada per la sconfitta del fascismo. Interrotto, nel 1941, il perfezionamento a causa del servizio militare, Natta fu inviato come ufficiale di artiglieria in Grecia, dove fu ferito e imprigionato a Rodi a seguito di un tentativo di resistenza. Seguì l’internamento in Germania, dal marzo 1944 fino alla liberazione del 1945, in quattro campi: Mühlberg sull’Elba, Küstrin, Sandbostel, Wietzendorf. Natta raccontò questa esperienza nel libro L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, consegnato agli editori nel 1957 ma pubblicato solo nel 1997 a Torino. La prigionia rappresentò un momento di «chiarificazione e di educazione politica e culturale». A partire dall’esigenza di «tenere su il morale» e di «restare uomini», alcuni internati, tra cui Natta stesso, giunsero all’organizzazione di una sorta di università, mettendo ciascuno a disposizione le proprie competenze in ambiti culturali diversi. Uniti da legami di solidarietà e di amicizia, da una precedente conoscenza o semplicemente da interessi e passioni comuni, i prigionieri costituirono una vera e propria società in cui l’attività culturale divenne strumento di lotta contro il fascismo tramite l’organizzazione di lezioni, dibattiti, rappresentazioni. Una volta rientrato in Italia, non aveva ancora una definita collocazione politica, al punto che, a Imperia, tanto i socialisti quanto i comunisti nell’estate 1945 attendevano di sapere quale fosse la sua scelta. Nell’agosto 1945 si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI); nello stesso periodo sposò Adele Morelli, conosciuta tra i banchi delle magistrali, con la quale ebbe poi la figlia Antonella. Iniziò a lavorare come professore presso il liceo classico di Imperia, ma la scelta politica condizionò presto l’attività di insegnante, che lasciò per dedicarsi al lavoro di partito e agli incarichi pubblici. Natta visse l’approdo al comunismo come un passaggio naturale, esito dialettico della fiducia nella ragione e del radicalismo giacobino – maturati negli anni della cospirazione antifascista alla Normale – in continuità rispetto all’adesione ai principi illuministici e rivoluzionari del Settecento. Il modo in cui mise la propria esperienza personale al servizio del partito ne fece un intellettuale organico, anzi «l’ultima incarnazione storica e concreta dell’intellettuale organico l’ultimo a incarnare il modello gramsciano», come lo definì Edoardo Sanguineti. L’adesione al PCI fu determinata dalla riflessione, dall’«innamoramento progressivo avvenuto sulla base dell’elaborazione politica di Togliatti», che differenziò la scelta di Natta rispetto all’adesione di altri intellettuali, per i quali l’ingresso nel partito avvenne sulla base di un impulso fideistico per la ‘missione’ comunista. Consigliere comunale di Imperia dal giugno 1946, fu eletto deputato nel 1948; il lavoro parlamentare assunse un posto di primo piano nella sua attività, anche se rimase segretario della federazione di Imperia dal 1950 al 1955, quando fu nominato direttore dell’Istituto Gramsci, ruolo ricoperto fino alla fine del 1956: un periodo breve e tuttavia di grande rilievo, condizionato dai drammatici eventi del 1956 in Ungheria e in Polonia e dalla crisi tra intellettuali e PCI. Nell’attività parlamentare, Natta diede prova di grande impegno, serietà e preparazione, a cui contribuirono il rigore appreso alla Normale e l’esempio di Palmiro Togliatti, con il grande valore attribuito al Parlamento e al confronto in sede istituzionale. Fu eletto membro del comitato centrale del PCI nel 1956 e dall’anno successivo fu responsabile della commissione scuole di partito, ruolo ricoperto fino al 1960, quando si trasferì in pianta stabile a Roma e assunse l’incarico di responsabile della commissione stampa e propaganda. Entrato nella segreteria del PCI nel 1962, fu chiamato nella direzione alla fine del 1963. Limitando l’impegno parlamentare, si dedicò al lavoro di partito in qualità di responsabile della commissione culturale per tutto il 1962; diresse, insieme con Luigi Longo, la rivista Critica Marxista, che uscì per la prima volta all’inizio del 1963, fino al 1966, quando divenne responsabile del settore organizzazione, dove rimase tre anni. Vicino a Togliatti al momento della morte (1964), che raccontò in Le ore di Yalta (Roma 1970), ritenne fondamentale l’esempio del segretario come combattente e uomo politico che aveva elaborato l’idea del partito comunista di massa e della via italiana al socialismo. Condivise senza riserve l’impostazione e i contenuti della risposta di Togliatti al processo di destalinizzazione e ai fatti di Ungheria e Polonia, assumendo un profilo e un’immagine di politico organico alla logica di partito, fedele al centro rappresentato dal segretario, che lo contraddistinse nell’attività politica successiva. Negli ultimi anni della direzione di Togliatti, come poi avvenne con Longo ed Enrico Berlinguer, la presenza di Natta all’interno della direzione nazionale si caratterizzò per le doti di equilibrio politico, di fedeltà ai segretari in carica e di scarsa propensione alla personalizzazione dei compiti assunti, elementi che lo contraddistinsero come mediatore nel partito e come politico di altissimo profilo piuttosto che come capo. L’educazione e i problemi della scuola furono centrali nella sua riflessione e nella sua proposta politica; tuttavia, durante la contestazione studentesca del 1968, la sua posizione, come quella di tutta la direzione del PCI, ebbe serie difficoltà nel fronteggiare una protesta sorprendente e per certi aspetti diversa dal passato. Quando poi, nel 1969, alcuni membri del partito (tra i quali Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Aldo Natoli, Lucio Magri) crearono la rivista il Manifesto, il compito di responsabile dell’organizzazione, le competenze teoriche da intellettuale, nonché la posizione centrista, fecero di Natta il candidato ideale per condurre l’accusa nei confronti del gruppo del Manifesto e a sostenere la richiesta – poi accolta – della radiazione dal PCI. Uscì rafforzata la sua immagine come politico comunista interamente al servizio del partito. Diresse il settimanale Rinascita dal 1970 al 1972, anno a partire dal quale, e fino al 1979, presiedette il gruppo parlamentare del PCI. Rientrato in segreteria nel luglio 1979, vi rimase fino al 1983, quando divenne presidente della commissione centrale di controllo. Con la nomina a viceresponsabile dell’ufficio di segreteria e con il successivo ingresso in direzione, entrò nel cuore organizzativo del PCI. Dopo la morte di Enrico Berlinguer nel giugno 1984, fu eletto segretario generale, carica alla quale fu riconfermato nel 1986. Diversamente da quanto era accaduto per i segretari precedenti, già informalmente designati, l’elezione di Natta fu una «tragica emergenza», come egli stesso la definì nel suo discorso al partito, in cui espose i timori derivanti dal ricoprire un ruolo così importante, mettendo in primo piano i limiti e la modestia delle sue capacità, ed espresse motivi che lo avevano convinto ad accettare l’incarico: il senso del dovere, la fiducia nei compagni, la coerenza con la vita da militante (Natta eletto segretario del partito, in l’Unità, 27 giugno 1984). Negli anni della sua direzione Natta si trovò di fronte a rilevanti difficoltà e a uno scontro interno al partito, emerso già durante gli ultimi anni della segreteria di Berlinguer. L’esito negativo sul referendum sulla scala mobile, che era stato fortemente voluto dal PCI (1985), e il cattivo risultato elettorale del 1987 misero in discussione la gestione dell’eredità lasciata da Berlinguer e contribuirono alla crisi del partito. Nel 1988, dopo essere stato colpito da un infarto, si dimise da segretario. Natta aveva caratterizzato la sua direzione nazionale con l’idea della politica come professione vocazionale, il più possibile estranea alla logica particolaristica e alla concezione di un ruolo politico ‘provvidenziale’. Il fastidio nei confronti delle mode e della mondanità, il severo giudizio da intellettuale sulle modalità del fare politica e la manifestazione del suo ‘orgoglio di partito’, gli resero ardua l’impresa di cambiamento, evidenziando la contraddizione tra la volontà di innovare e il tradizionalismo. Le circostanze stesse della sua elezione a segretario lo fecero apparire come un «garante provvisorio degli equilibri tra le diverse tendenze in attesa che si delineasse la scelta di un nuovo leader» marcando una differenza rispetto al passato. Nel dimettersi, espresse la volontà di tornare a essere ‘semplice frate’: nel dialogo con il mondo cattolico aveva appreso la regola francescana per cui il priore, al termine del mandato, diventa nuovamente frate, e l’aveva fatta propria. Mise in primo piano il senso del dovere e la persuasione di agire per l’interesse generale del partito, come aveva fatto accettando l’incarico di segretario generale, ma non mancò l’amarezza nei confronti dello scontro interno al PCI e delle modalità della discussione post-elettorale, su cui la stampa insistette nel dare risalto alle motivazioni politiche delle dimissioni. Morì a Imperia il 23 maggio 2001.
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scheda SAN
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ha luogo morte
ha luogo nascita
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è produttore di
forma autorizzata produttore
  • Alessandro Natta (Oneglia 1918 - Imperia 2001)
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  • Alessandro Natta (Oneglia 1918 - Imperia 2001)
record provenienza id
  • san.cat.sogP.71162
sistema provenienza
  • SAN
dc:coverage
  • Oneglia
  • Imperia
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