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Governo provinciale del Litorale (istituito nel 1754)
Trieste fu antico municipio romano e poi comune, affrancatosi col denaro dal potere vescovile (1295). Nell'impossibilità di mantenere la sua autonomia per la difficile posizione geografica fra lo stato patriarcale, la contea di Gorizia ed i Duinati, nonché per l'ostilità di Venezia - che ne impediva il commercio marittimo e, dal 1420, ne circondava l'esiguo territorio quale conquistatrice dal patriarcato d'Aquileia - fu costretta, dopo la pace di Torino, a sottomettersi alla casa d'Austria (1382). Ma il legame personale con l'arciduca d'Austria le permetteva, per privilegio, di conservare quasi integre le prerogative cittadine. Tentativi di liberarsi da ogni tutela arciducale sembrarono riuscire quando, nel 1461, la città poté stipulare un contratto con Federico III per il quale sarebbe rimasta indipendente per cinque anni.
L'imprudente politica commerciale nei confronti di Venezia, sfociata nella guerra del 1463, e il formarsi di due opposte fazioni, una filoveneta e l'altra filoaustriaca, indussero invece Federico III a revocare nel 1469 i privilegi contrattuali e a ripristinare con la forza un suo capitano.
Da questo momento la soggezione alla casa d'Austria, assai più stretta di prima, fu definitiva.
Iniziò fra la città - rappresentata dal maggior consiglio e dai tre giudici-rettori - e il capitano di nomina imperiale, al quale erano affidati la custodia del castello e il controllo sui magistrati, quel dualismo amministrativo che si risolse in una continua tensione per la difesa delle proprie prerogative. Questo dualismo cessò soltanto nel sec. XVIII con l'assorbimento del capitanato nell'intendenza commerciale. L'operazione avvenne per gradi: nel maggio 1731 fu costituita un'intendenza con sole funzioni di controllo sul commercio che si andava lentamente sviluppando dopo i provvedimenti di Carlo VI (patente sulla libertà di navigazione del 1717; patente sui portifranchi di Trieste e di Fiume del 1719 e relative istruzioni del 1725). Nel 1748 le funzioni del capitano e dell'intendente furono riunite nella stessa persona che portò ambedue i titoli fino a che, dal 1751, conservò soltanto quello d'intendente. Formatasi in corrispondenza alla concentrazione a Vienna dei dicasteri politici e finanziari in un unico organo, l'intendenza fu soppressa nel 1776 in seguito a nuovi cambiamenti dell'amministrazione centrale decisi da Maria Teresa. Il cesareo regio governo del Litorale (1776-1809) succeduto all'intendenza, come pure i tribunali esistenti a Trieste, acquistarono, a varie riprese, competenza su ampie zone dell'Isontino e dell'Istria. Ne seguì l'inserimento nell'archivio del governo provinciale triestino di numerose serie di atti goriziani e istriani
Governo provinciale di Innsbruck, Tirolo (istituito nel 1754)
Per quanto attiene ai territori del Tirolo si ebbe un'importante riforma con Maria Teresa nel 1754 Circolare del governo provinciale (Innsbruck, 8 nov. 1754) in esecuzione degli ordinamenti imperiali e reali lo giu. e 26 ott. 1754 .
Fu istituito ad Innsbruck un governo provinciale, la cui circoscrizione territoriale comprendeva tutto il Tirolo ed era divisa in sei circoli: Confini d'Italia, con sede a Rovereto Quarti Originariamente il territorio dell'impero era diviso ai fini fiscali in "" quarti "" all'Adige e Isarco, con sede a Bolzano; Burgraviato e Venosta, con sede a Merano; Inn superiore, con sede a Imst; Inn inferiore e Wipptal, con sede a Schwatz; Pusteria con sede a Teodone Nel comune di Brunico in provincia di Bolzano competenze politico-amministrative di grado intermedio tra il governo provinciale e i giudizi distrettuali. In particolare il capitano circolare ai confini d'Italia vigilava sugli affari politico-amministrativi delle giurisdizioni tirolesi nel Trentino. Giuseppe II nel 1783 Gesetze und verordnungen Iosephs II im justiz-Fache in den ersten vier jahren seiner Regierung, Wien 1917, pp. 331 portò i circoli del Tirolo da sei a cinque: Confini d Italia, con sede a Rovereto; Adige, Burgraviato e Venosta con sede a Bolzano; Pusteria e Isarco, con sede a Teodone; Inn superiore, con sede a Imst; Inn inferiore e wipptal, con sede a Schwatz.
Francesco II nel 1803 Gesetze und verordnungen Franz II, Band, XX, Wien 1807, pp. 161 e seguenti Bressanone - i cui territori entrarono a far parte dell'organizzazione politico-amministrativa del Tirolo -, portò di nuovo i circoli a sei, con l'istituzione del circolo di Trento (vedi [
GG0860054843Periodo napoleonico]).
Monarchia asburgica, Governo del Tirolo e Governo del Litorale e breve occupazione francese (1797)
1797:
una breve occupazione nel marzo 1797 francese riguarda sia Bolzano che Trieste senza tuttavia lasciare segni particolari
Monarchia asburgica, Governo del Tirolo (1803-1805) e Governo del Litorale (fino al 1805 e 1806-1809), occupazione francese (1805-1806) e Governo provvisorio di Gorizia
1797-1805:
l’avvio del contrasto tra la Francia e l’Austria si sviluppa secondo una linea diversa per i due Governi del Tirolo e del Litorale; le vicende del Tirolo si intersecano strettamente a quelle del Principato vescovile di Trento e del Principato vescovile di Bressanone che vengono uniti al Tirolo, andando a costituire nel feb. 1803 un’unica Provincia del Tirolo, appartenente all’Austria fino al 1805 (vedi Principato di Trento e Principato di Bressanone); il Governo del Litorale mantiene la sua configurazione istituzionale e, anzi, ottiene importanti vantaggi territoriali; con decreto 31 lug. 1802 acquisisce l’Istria ex-veneta e parte del Friuli; Capodistria, centro maggiore dell’Istria ex-veneta, ove si era formato nel 1797 un governo provvisorio, Magistrato, e il territorio era stato articolato in distretti, diventa sede del distretto istriano nel governo triestino; nel 1803 con la soppressione del Cesareo regio consiglio capitaniale delle unite contee di Gorizia e Gradisca (decreto della Cancelleria aulica unificata 30 set. 1803), rientra in possesso di quei territori che erano stati inclusi nel 1783 ma avevano riottenuto l’autonomia con sovrana risoluzione 17 ago. 1791; il Governo del Litorale risponde ora direttamente alla Cancelleria italiana di Vienna e non a Graz; Trieste rafforza la sua posizione nell’Adriatico ma vede fortemente ridotte le tradizionali autonomie locali
1805-1806: nell’autunno del 1805 i francesi occupano Trieste che lasciano nel mar. 1806, senza lasciare segni rilevanti nella struttura politico-istituzionale del Governo del Litorale, mentre a Gorizia ove i francesi rimangono dall’ottobre 1805 al giugno 1806 si forma un Governo provvisorio; a seguito della pace di Presburgo (1805) i francesi lasciano all’Austria la riva sinistra dell’Isonzo, salvo Monfalcone che viene data agli Asburgo due anni dopo, mentre la regione a destra dell’Isonzo, con l’intero territorio di Gradisca, e l’Istria ex-veneta vengono annesse al Regno d’Italia
1806-1809:
la convenzione di Fauntainebleau (10 ott. 1807) fissa all’Isonzo la nuova linea di confine tra il Regno d’Italia e l’Impero d’Austria, così il territorio goriziano rimane all’Austria, fino al 1809, e il territorio gradiscano va a far parte del Regno d’Italia, inserito nel dipartimento del Passariano mentre Aquileia viene aggregata al dipartimento dell’Adriatico; l’Austria mantiene il suo dominio sul Governo del Litorale fino al 1809 quando, a seguito della pace di Schoenbrunn (1809), l’Austria cede alla Francia i territori che dalla Carinzia alla Dalmazia, vanno a formare le Province illiriche dell’Impero francese, con capitale a Lubiana sede del Governo generale e Trieste, a seguito della pace di Vienna (14 ott. 1810) entra a far parte delle Province illiriche, direttamente dipendenti dall’Impero francese
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Il patrimonio documentario dell'AS Firenze offre testimonianze frammentarie sulla vita pubblica della città prima dell'istituzione del magistrato dei priori delle arti, avvenuta nel 1282; nella raccolta degli statuti sono conservati testi fondamentali della costituzione della repubblica fiorentina (oltre gli ordinamenti stessi del 1293-1295, gli statuti del podestà e del capitano del popolo nelle redazioni del 1322-1325 e del 1355, e gli statuti del comune del 1415) solo a partire dagli ordinamenti di giustizia. Manca una documentazione organica per il XII e buona parte del XIII secolo che videro -- com'è noto -- l'affermarsi del regime consolare, il sorgere dell'istituto del podestà, il costituto del "" popolo "" del 1250, la vittoria guelfa del 1267 e il sorgere della potente parte guelfa e dei buonomini. Su tali vicende e sugli istituti che ne scaturirono ci offrono tracce discontinue, ma preziose, l'archivio diplomatico, l'archivio notarile antecosimiano e la raccolta dei capitoli. Dal decennio 1280-1290, invece, è possibile ricostruire, almeno in parte, la mutevole e complessa struttura dello Stato fiorentino sui documenti prodotti dai suoi organi fondamentali, anche se occorre tener conto delle vaste lacune presenti nella documentazione di quel periodo.
Il podestà, magistratura stabile dagl'inizi del XIII secolo, il cui archivio inizia soltanto con il 1343, raccoglieva originariamente nelle proprie mani il potere politico, giurisdizionale e militare; poteri che venne a poco a poco perdendo con il sorgere delle nuove magistrature, per conservare soprattutto una funzione giurisdizionale.
Il capitano del popolo, istituito con la riforma del 1250, ebbe per molto tempo vita discontinua: nel 1267 la sua carica fu sostituita da quella del capitano della massa di parte guelfa, al quale subentrò, nel 1280, il capitano difensore della pace, sostituito a sua volta, nel 1283, dal capitano difensore delle arti e degli artefici; quest'ultimo, infine, riassunse nel 1298 il titolo di capitano del popolo, ma la sua presenza non fu stabile che dal 1329. Il capitano del popolo, cui inizialmente era affidata parte del potere politico e di governo, svolse soprattutto mansioni di carattere giurisdizionale in parte complementari di quelle del podestà. Nel 1280, al termine della missione pacificatrice del cardinale Latino, gli organi politici fondamentali del comune di Firenze erano, oltre al podestà e al capitano difensore della pace, i quattordici buonomini, cui era affidato il potere esecutivo e l'iniziativa legislativa, e cinque consigli: il consiglio del cento, i consigli speciale e generale del capitano e i consigli speciale e generale del podestà o del comune.
Nel 1282 furono istituiti i priori delle arti, eletti ogni due mesi dalle capitudini delle artimaggiori tra i membri di queste. Essi esautorarono rapidamente i quattordici buonomini, che furono soppressi entro breve tempo e sostituiti in tutte le loro funzioni dagli stessi priori. Il numero e il sistema di elezione di questi membri ebbero nel tempo varie modifiche: da tre divennero presto sei (uno per ogni sesto della città), numero confermato dagli ordinamenti di giustizia del 1293, ma di lì a poco ripetutamente variato. Nel periodo intercorso tra l'istituzione del priorato e gli ordinamenti di giustizia si era compiuto il processo di strutturazione delle ventuno arti (sette "" maggiori "", cinque "" mediane "", nove "" minori "") che con gli ordinamenti acquistarono precisi diritti politici, divenendo organi della costituzione fiorentina.
Fin dalla loro istituzione i priori furono soliti riunire le capitudini delle arti insieme con altri "" savi "", per conoscere il parere su importanti questioni. I verbali di quelle riunioni si conservano nelle Consulte e pratiche, soltanto però a partire dal 1349. Dopo il 1293 le capitudini delle ventuno arti riconosciute furono spesso convocate come consiglio speciale dai priori, dal podestà e dal capitano. Da quell'anno, inoltre, le capitudini delle arti maggiori e medie parteciparono alle sedute dei consigli del capitano; esse intervenivano spesso anche alle riunioni del consiglio speciale del podestà e più raramente a quelle del suo consiglio generale, secondo la volontà della signoria. Con lo statuto del capitano del 1322 anche le nove arti minori furono chiamate a partecipare ai consigli. Durante le particolari vicende politiche degli anni 1293-1295, membri delle arti minori erano stati eletti nel collegio dei priori accanto ai rappresentanti delle arti maggiori, ma fu una riforma adottata nel 1343, all'indomani della rivolta contro il duca d'Atene, che concesse l'accesso al priorato a tutte le ventuno arti. Questa riforma fu comunque temperata, nel 1358, dalla pretestuosa "" legge dell'ammonire "", con cui la parte guelfa - la roccaforte dei magnati - impose il divieto degli uffici ai sospetti di ghibellinismo. La rivolta dei ciompi vide, nel 1378, il formarsi e l'accedere agli uffici di tre nuove arti minori: farsettai, tintori e ciompi, ridotte ben presto a due per l'abolizione di quest'ultima. La restaurazione oligarchica, seguita nel 1382, eliminò poi anche le altre due arti del popolo minuto.
Con gli ordinamenti di giustizia del 1293, il gonfaloniere di giustizia (magistrato che era al comando della compagnia comunale di armati della giustizia e che doveva tutelare gli ordinamenti dalle insidie dei magnati affiancò i priori delle arti nella signoria. Nel 1321 furono istituiti i dodici buonomini, che, con i gonfalonieri delle compagnie armate del popolo, costituirono i collegi della signoria, della quale divisero i compiti e le funzioni.
Dal 1321 al 1328 si era venuto definendo il nuovo sistema di elezione della signoria: i singoli membri dovevano essere scelti attraverso la "" tratta "" o estrazione a sorte. I nomi dei cittadini eleggibili venivano scelti e imborsati secondo criteri e procedure che variarono nel tempo, e dalle borse si estraevano, ogni due mesi, i nuovi signori. Il sistema dell'imborsazione e della tratta si estese progressivamente ai collegi, ai consigli, al podestà, al capitano del popolo e agli uffici "" intrinseci "" (della città) ed "" estrinseci "" (del contado e distretto) della repubblica, come ben testimoniano i documenti conservati nell'archivio delle tratte.
Nel normale iter legislativo, le proposte formulate dalla signoria e dai collegi venivano esaminate successivamente dai consigli "" opportuni "": il consiglio del cento - che doveva approvare preventivamente tutti i provvedimenti di natura finanziaria -, i consigli speciale e generale del capitano e, infine, i consigli speciale e generale del podestà.
I consigli del capitano discutevano e deliberavano spesso in seduta comune; e lo stesso avveniva nei due consigli del podestà. Nei registri delle consulte e dei Libri fabarum si conservano i verbali - dal 1301 limitati alle operazioni di voto - delle riunioni in cui erano esaminate e votate le proposte, fino all'approvazione definitiva della "" provvisione "". Il testo delle leggi cosi adottate veniva prima steso in minuta (nei "" protocolli "") e quindi trascritto nei registri membranacei delle provvisioni, una copia dei quali veniva conservata presso la camera del comune li "" duplicati "").
Non sempre, però, i provvedimenti legislativi seguivano nella loro formazione la proceduranormale; in alcuni casi il parlamento (l'assemblea di tutto il popolo) o i consigli, su proposta della signoria, affidavano la "" balia "" (i pieni poteri) a magistrature straordinarie, perché riformassero lo Stato o deliberassero su questioni particolari. Originariamente le balie non dovevano superare la durata di due mesi - la durata cioè della carica della signoria - principio questo che sarebbe stato del tutto disatteso nel secolo XV, quando esse divennero uno degli strumenti fondamentali usati dai Medici per consolidare ed estendere il loro potere.
In relazione alla conservazione degli atti prodotti dai vari uffici, è da notare, per inciso, che alla fine del XIII secolo si era ormai strutturata la cancelleria della repubblica fiorentina: in essa il notaro della signoria provvedeva alla stesura e alla conservazione degli atti emanati dalla signoria; al notaro delle "" riformagioni "" era affidata la verbalizzazione delle discussioni e delle deliberazioni dei consigli e la redazione delle provvisioni; nella cancelleria delle lettere, infine, il cancelliere dettatore scriveva, a nome della repubblica, lettere dirette a destinatari all'interno del dominio (missive interne) o fuori di questo (missive esterne), salvacondotti, credenziali, istruzioni per gli ambasciatori, e alla cancelleria pervenivano le lettere "" responsive "". Nel 1437 venne istituita una seconda cancelleria per le missive interne, mentre dalla prima cancelleria continuarono a partire le missive esterne. Gli atti prodotti dai vari uffici della cancelleria fiorentina si conservarono nell'archivio del palazzo dei priori, presso il notaro delle riformagioni (archivio delle riformagioni) e, solo in parte, presso l'archivio della camera, dove venivano invece raccolti tutti i documenti di natura finanziaria e giudiziaria. Questo ultimo archivio fu in gran parte distrutto durante i tumulti del 1343 contro il duca d'Atene.
Di notevole importanza è la riforma del sistema consiliare attuata nel 1329, dopo la signoria di Carlo duca di Calabria: furono aboliti il consiglio del cento e i consigli Speciali del podestà e del capitano del popolo; restarono soltanto i consigli generali del podestà e del capitano.
Nel 1411 furono istituiti due nuovi consigli: il consiglio dei duecento e quello dei centotrentuno; essi dovevano esaminare in prima istanza le proposte legislative concernenti gli affari militari e le alleanze. Con competenza in materia fiscale fu creato, nel 1426, il consiglio dei centoquarantacinque. Nel 1443 venne istituito - ma ebbe vita breve - il consiglio dei centoventuno, che doveva approvare preventivamente i provvedimenti di natura finanziaria e quelli relativi agli esuli e ribelli politici.
Con il ritorno di Cosimo de' Medici a Firenze, nel settembre 1434, iniziò la lenta, ma irreversibile trasformazione della struttura costituzionale della repubblica verso quella del principato. I consigli vennero progressivamente esautorati attraverso la creazione di balie triennali e quinquennali prorogabili e il sistema di elezione per "" tratta "" della signoria venne addomesticato con la manipolazione delle imborsazioni e reiteratamente sostituito con l'elezione "" a mano "" da parte degli accoppiatori.
Un plebiscito popolare sanzionò, nel 1458, una serie di importanti riforme: furono aboliti i consigli dei duecento, dei centotrentuno e dei centoquarantacinque e fu nuovamente istituito il consiglio dei cento; questo doveva approvare in prima istanza i disegni di legge concernenti "" statum seu bursas aut scrutinea aut [...] onera vel conductas gentium armigerarum ""; inoltre, il suo consenso era necessario per l'approvazione definitiva di ogni provvedimento legislativo. A quel consiglio furono affidate, di volta in volta, le elezioni di importanti magistrature e, nel 1471, fu demandata alla sua esclusiva competenza l'approvazione dei provvedimenti che, fino ad allora, aveva approvato solo in prima istanza. Una balia, creata nell'aprile 1480, istituì il consiglio dei settanta, i cui membri duravano in carica cinque anni, e nel cui ambito ogni sei mesi sarebbero stati scelti i componenti di due nuove magistrature: gli otto di pratica, cui era affidata la politica estera, e i dodici procuratori, responsabili degli affari interni e finanziari. I settanta sostituivano gli accoppiatori nell'elezione della signoria, la quale non poteva fare proposte di legge rilevanti, senza il loro preventivo consenso.
La "" vacanza "" medicea, protrattasi dalla fine del 1494 al 1512, vide l'abolizione dei consigli dei cento e dei settanta e dei due antichi consigli statutari (del popolo e del comune).
Furono invece istituiti il consiglio maggiore e il consiglio degli ottanta: la signoria e i collegi affidavano la formulazione delle proposte legislative ad un collegio di auditori; le proposte venivano poi approvate dalla signoria, dai collegi, dagli ottanta ed, infine, dal consiglio maggiore.
Nel 1502 fu conferito carattere vitalizio alla carica del gonfaloniere di giustizia, eletto dal consiglio maggiore nella persona di Pier Soderini. Con il ritorno dei Medici a Firenze, nell'estate del 1512, il gonfalonierato ebbe durata annuale e una balia, eletta il 16 settembre e prorogata, di cinque anni in cinque anni, fino al 1527, sancì il ripristino della struttura costituzionale in vigore prima del 1494.
Dal maggio 1527 all'agosto 1530 la coalizione antimedicea rimise in funzione il consiglio maggiore e gli ottanta, ma la balia del 20 agosto 1530 sancì il ritorno definitivo dei Medici. Il 4 aprile 1532 il parlamento affidò a dodici riformatori (una commissione della balia del 1530) l'incarico di trasformare lo Stato, e il 27 aprile successivo entrò in vigore la costituzione del principato mediceo.
Dal XIII al XVI secolo il territorio soggetto al comune fiorentino si ampliò, raggiungendo una dimensione regionale. Fino al 1343 la città fu divisa in sesti e da quell'anno si passò alla divisione in quartieri. A ciascun sesto prima e quartiere poi era aggregato un settore del contado (il territorio più prossimo alla città) e del "" distretto "" (il territorio posto al di là del contado, con tutte le città assoggettate e i rispettivi contadi), ai fini dell'organizzazione territoriale, dell'amministrazione finanziaria, giudiziaria e militare. Continuò l'antica ripartizione del territorio in popoli, pivieri, comuni, ville, castelli, riuniti nelle "" Leghe di popoli "". Queste, con relative compagnie di armati, furono istituite nel contado con la costituzione del 1250 ed estese al distretto nel 1293, e costituivano l'ossatura della milizia comunale. Nella città, le venti compagnie armate del popolo del 1250 furono ridotte a diciannove con la riforma del 1306 e a sedici nel 1343, quando la città fu divisa in quartieri, ripartiti ciascuno in quattro gonfaloni. I gonfalonieri che erano al comando delle compagnie costituivano, come abbiamo accennato poc'anzi, uno dei collegi della signoria. Nel contado e nel distretto furono create man mano circoscrizioni affidate ad ufficiali nominati e controllati dal governo fiorentino: vicariati comprensivi di più podesterie, podesterie autonome e capitanati.
Il controllo economico sulle comunità fu attribuito, dal 1420, ai "" cinque conservatori del contado e dominio fiorentino "". Magistrature particolari provvedevano alla difesa e al controllo delle città assoggettate : i sei ufficiali di Arezzo (dal 1385), i dieci di Pisa, i consoli del mare (dal 1421), i quattro "" commissari "" di Pistoia, eccetera.
Fin dal XIV secolo gli "" ufficiali delle castella "" soprintendevano alle fortificazioni, funzione questa assunta nel tardo XV secolo dagli operai di palazzo.
La direzione della politica estera della repubblica fiorentina era affidata alla signoria.
In occasione, però, delle numerose guerre si succedettero commissioni temporanee con balia sugli affari militari. Nel 1383 furono istituiti i dieci di balia o della guerra, il cui ufficio fu prorogato e rinnovato fino al 1480; essi provvedevano all'organizzazione militare della repubblica e amministravano -- con la signoria ed i collegi - la politica estera.
Uguali funzioni svolsero gli otto di pratica, che dal 1480 sostituirono i dieci nei periodi in cui i Medici riacquistarono il predominio a Firenze.
Fin dal XIV secolo, parallelamente alla decadenza e al disuso delle milizie comunali, si affermò il ricorso ai mercenari stranieri per assoldare e controllare i quali furono istituiti, nel 1337, gli ufficiali della condotta e gli ufficiali dei difetti; le competenze di questi ultimi passarono, nel 1478, all'ufficio della condottaNel 1506, la riforma delle milizie comunali patrocinata da Niccolò Machiavelli, allora segretario dei dieci di libertà e pace (la denominazione assunta dai dieci di balia dopo il 1494), portò alla formazione di compagnie di fanti nel contado e nel distretto (escluse le città murate) e alla creazione dei nove conservatori dell'ordinanza e milizia. Seguì, nel 1512, l'istituzione della milizia a cavallo e, nel 1528, la creazione della milizia cittadina a Firenze. I nove dell'ordinanza e milizia, che agivano alle dipendenze dei dieci, furono aboliti al ritorno dei Medici nel 1512 e ripristinati nel 1527; essi soprintendevano alle milizie comunali e giudicavano i reati militari.
L'amministrazione finanziaria della repubblica fiorentina si avvaleva, per le entrate, di imposte dirette ed indirette, di prestiti volontari e forzosi, dello sfruttamento dei beni demaniali. Le entrate confluivano nella camera del comune, che provvedeva alle spese, affiancata da uffici particolari (la camera dell'arme, i regolatori dalle entrate e delle spese, gli ufficiali del banco degli stipendiati ed altri cui accenneremo più distesamente). Gli ordinamenti canonizzati -- e quindi inviolabili - del 1289 stabilirono la struttura e il funzionamento della camera, retta da quattro camarlinghi, dei quali un religioso (appartenente ai cistercensi di Settimo o agli umiliati di Ognissanti) e tre laici membri delle arti.
La camera, sorta come ufficio cui faceva capo tutta l'amministrazione finanziaria della repubblica, venne perdendo questa prerogativa parallelamente allo sviluppo del debito pubblico che avvenne al di fuori di essa e si organizzò in strutture autonome. Nel 1303 fu affidata agli ufficiali delle gabelle - con una cassa autonoma dalla camera -- la gestione delle imposte indirette, per meglio coordinarle con il rimborso dei prestiti, e nel 1319 fu istituita una cassa della "" Condotta "", per le spese militari, sempre al di fuori dell'amministrazione camerale.
Alla metà del XIII secolo la città ed il contado fiorentino erano sottoposti al pagamento dell'estimo, la prima imposta diretta ispirata a sia pure imperfetti criteri di proporzionalità. Nel 1293 l'estimo fu esteso al distretto e, in quell'epoca, l'estimo dei magnati fu separato da quello dei popolani. Questo non avvenne nella città dove, anzi, nel 1315, l'estimo fu abolito, pur continuando a gravare sul contado e sul distretto; l'imposta fu brevemente ripristinata per i cittadini durante le signorie del duca di Calabria e del duca d'Atene. Proprio nella riforma dell'estimo voluta dal duca di Calabria furono introdotte la denuncia e la stima reale dei beni tassati. Il lento affermarsi di questo sistema nella determinazione delle quote d'imposta si sarebbe concretizzato, dopo un secolo, nell'istituzione del catasto. Con l'abolizione dell'estimo dei cittadini si ebbe un inasprimento della tassazione indiretta, un aumento del debito pubblico e l'introduzione della gabella delle possessioni, un'imposta sulle terre del contado e del distretto, gravante anche sui cittadini che ne fossero possessori (gabelle si dicevano, in genere, le imposte indirette, ma con lo stesso termine vennero indicate anche imposte dirette aventi carattere di ordinarietà e gettito costante).
Tra le imposte dirette straordinarie grande sviluppo ebbero le prestanze lo accatti): prestiti volontari o forzosi, con promessa di restituzione o compensazione con altri tributi e - a partire dalla metà del XIII secolo per i prestiti volontari e dalla fine di quel secolo per i forzosi -- con corresponsione di interessi. In corrispondenza al moltiplicarsi delle prestanze si ebbe una serie di commissioni straordinarie alle quali fu di volta in volta affidata la direzione delle finanze comunali (i dodici tesorieri, i dodici sull'ordinamento delle entrate, i quattordici sulla direzione e aumento delle entrate, i dieci sulla lega di Venezia, i sei sulle fortificazioni ed altri). Queste commissioni avevano in genere un proprio camarlingo e a loro era devoluto l'introito di alcune gabelle con cui dovevano far fronte ai mutui contratti a nome della repubblica. Di fronte alle dimensioni raggiunte dal debito pubblico, divenuto in pratica irredimibile, si ricorsenel 1343-1347 al suo consolidamento con la riunione di tutte le prestanze in una massa unica e l'introduzione di una rendita perpetua come titolo di credito privilegiato trasferibile, con un dato saggio di interesse. Tutto questo si realizzò nella creazione del monte comune. Nel corso del XIV e XV secolo, per esigenze particolari, furono creati altri monti che trovarono un'unica amministrazione negli ufficiali del monte comune e delle graticole. Con intenti filantropici e per combattere l'usura, nel dicembre 1495 fu istituito il monte di pietà che dava prestiti su pegno. Con l'inizio del principato mediceo il monte di pietà venne discostandosi dalle finalità originarie, per trasformarsi in un istituto bancario gestito dallo Stato.
Tra le entrate del comune fiorentino figuravano le rendite dei beni demaniali e dei beni passati al fisco in seguito a condanne politiche o alla mancata osservanza degli obblighi tributari. La tutela dei diritti demaniali, inizialmente affidata al giudice sui diritti del comune, sulla camera e sulla gabella, passò nel 1293 ai sei sopra i diritti del comune, ai quali era anche affidata la direzione dei piani edilizi. Quegli ufficiali, ridotti a tre nel 1307, furono temporaneamente aboliti nel 1308, quando le loro competenze passarono agli ufficiali delle gabelle, e nuovamente istituiti nel 1322, con allargate mansioni. L'ubicazione del loro ufficio fece sì che i sei venissero denominati ufficiali di torre. L'amministrazione dei beni confiscati per motivi politici o fiscali era affidata, dagl'inizi del XIV secolo ad un ufficiale forestiero e ad una commissione cittadina, l'ufficio dei beni dei ribelli.
Nel 1364 furono conferite agli ufficiali di torre le competenze di cinque altri uffici: delle gabelle, dei beni dei ribelli, delle mulina, del mare e l'ufficio delle vie, ponti e mura.
In seguito a ciò si dissero ufficiali di torre e delle cinque cose. Nei periodi d'intensa lotta politica l'ufficio dei beni dei ribelli riacquistò la propria autonomia. Gli archivi degli uffici assorbiti dagli ufficiali di torre si trovano attualmente riuniti in quello dei capitani di parte guelfa, dove confluirono in seguito al passaggio, avvenuto nel 1549, delle competenze degli ufficiali di torre ai capitani di parte.
La provvisione del 22 mag. 1427 innovò il sistema fiscale della repubblica fiorentina istituendo il catasto: il calcolo dell'imposta, gravante anche sui cittadini, era fatto in base alle denunce (portate) presentate da ogni nucleo familiare, con la descrizione dei componenti, dei beni mobili e immobili posseduti e degli aggravi da detrarre. I dieci ufficiali del catasto stabilivano le quote di imposta in proporzione alla rendita complessiva risultante da ogni denuncia.
Il regime fiscale dei cittadini, dei contadini e dei distrettuali era diverso. Le chiese, i monasteri, le opere pie, le confraternite laicali e le corporazioni artigiane erano esenti dall'imposta, ma i loro beni furono censiti nel 1427 e quelli del clero lo furono nuovamente nel 1478. Questi enti erano soggetti soltanto ad imposte straordinarie sotto forma di donativi o prestiti. Il censimento catastale avrebbe dovuto rinnovarsi ogni tre anni, ma lo fu molto più raramente e spesso in tempi diversi nella città, nel contado e nel distretto.
Una nuova riforma fiscale avvenne tra la fine del 1494 e gli inizi del 1495, con l'istituzione della decima: soltanto i beni immobili venivano tassati e l'imposta ammontava alla decima parte della loro rendita annua. Nel contado il nuovo sistema di tassazione fu introdotto dopo un decennio, mentre non fu applicato ai distrettuali, tassati con una imposta annua fissa. Per i beni ecclesiastici il pontefice dette solo nel 1516 il permesso di estendere la decima ai beni patrimoniali dei chierici e a quelli che sarebbero stati acquistati in futuro dagli enti ecclesiastici. Fin dal XIII secolo, il conio e il controllo sulla circolazione delle monete fiorentine furono affidati a due ufficiali - uno dell'arte del cambio e l'altro di calimala - che furono denominati signori e maestri di zecca. A partire dal 1324, essi furono coadiuvati da un ufficio del saggio. Ai maestri di zecca era affidata anche la repressione dei reati di falsificazione monetaria.
L'amministrazione giudiziaria della repubblica fiorentina era affidata, alla fine del XIII secolo, al podestà, al capitano del popolo e al giudice degli appelli, e la giurisdizione di quei magistrati era integrata nel contado e nel distretto da quella dei vicari, podestà e capitani e, in minima parte, da corti elette dalle varie comunità.
La giurisdizione del podestà era piena nel civile e nel penale e a lui spettava dare esecuzione alle sentenze del tribunale ecclesiastico e perseguire chi avesse offeso il capitano del popolo o la sua "" famiglia "". Alcuni tra i giudici del podestà (i giudici dei malefici) -- tre, ciascuno per due sestieri, secondo lo statuto del 1325 - esercitavano la giurisdizione penale; la loro competenza era subordinata a quella del podestà e si estendeva al contado e al distretto. Nello statuto del comune di Firenze del 1415 i giudici dei malefici sono quattro, dei quali due della corte del podestà - ciascuno per due quartieri --, uno di quella del capitano del popolo e uno dell'esecutore degli ordinamenti di giustizia, magistrato istituito nel dicembre 1306. Al capitano del popolo era affidata in modo particolare la difesa dei popolani dalle violenze dei magnati e la protezione dell'esecutore degli ordinamenti di giustizia. Egli aveva in materia civile e penale una competenza in gran parte complementare di quella del podestà.
Di fronte al giudice degli appelli era dato ricorrere contro i lodi, le sentenze, i provvedimenti degli ufficiali "" intrinseci "" ed "" estrinseci "" e contro le sentenze civili del podestà e del capitano del popolo. Le sentenze penali dei due magistrati erano inappellabili.
Quando le sentenze del giudice degli appelli differivano dal provvedimento contro cui si era ricorsi, era ammesso il secondo appello di fronte al capitano o al podestà.
Al giudice degli appelli era anche affidato il "" sindacato "" sul podestà, sul capitano, sui rettori del contado e distretto e sulla gran parte dei pubblici ufficiali.
Una provvisione del dicembre 1306 istituì un nuovo magistrato con ampia giurisdizione penale e civile, l'esecutore degli ordinamenti di giustizia, la cui principale funzione - svolta fino ad allora dal gonfaloniere di giustizia - era appunto quella di assicurare l'osservanza degli ordinamenti.
All'esecutore fu affidato il sindacato sui titolari delle principali magistrature, tra cui il podestà, il capitano del popolo, l'esecutore che l'aveva preceduto, il giudice degli appelli.
Quest'ultimo conservava il sindacato su cariche di minore importanza e giudicava anche le cause d'appello contro le sentenze civili dell'esecutore.
E da notare che la signoria aveva giurisdizione sulle cause sottopostele volontariamente o per l'impossibilità di adire i tribunali ordinari.
Fin dal secolo XIlI le curie consolari delle arti risolvevano le controversie insorte tra i membri delle rispettive corporazioni, concernenti "" res ad artem spectantes ""; esse emettevano sentenze rese esecutive dal giudice degli appelli e, in seguito, dall'ufficio della mercanzia; le arti maggiori acquistarono poi la facoltà di dare sentenze definitive e inappellabili; facoltà questa concessa alle arti minori solo per cause di limitata entità.
La giurisdizione delle curie consolari si allargò notevolmente nel XIV e XV secolo, e si estese ai non immatricolati e a questioni che esulavano dall'esercizio dell'arte.
Da un accordo tra le arti di calimala, por Santa Maria, lana, cambio, merciai e medici e speziali sorse, nel 1308, l'ufficio della mercanzia. L'anno dopo esso divenne un organo del comune e gli furono affidate le cause relative all'esercizio di rappresaglie e la tutela della sicurezza del commercio fiorentino.
Nei settembre 1378 fu istituito l'ufficio degli otto di guardia. Questi vigilavano sull'ordine pubblico, prevenendo i reati politici, e provvedevano alla difesa del territorio con l'assoldamento e l'impiego di milizie. Gli otto di guardia allargarono progressivamente il loro potere, ottenendo assai spesso la balia. Originariamente competenti soltanto per l) istruttoria, essi finirono con l'imporre alle magistrature giudiziarie i processi e le sentenze, trasformandosi, alla fine del XV secolo, nel massimo tribunale penale dello stato, con vastissimi poteri di polizia. A loro era affidata, la giurisdizione civile e penale sugli ebreiParallelamente all'allargarsi del potere e della giurisdizione degli otto di guardia si ebbe la decadenza delle magistrature giudiziarie preesistenti. L'attività del giudice degli appelli si interruppe dal 1411 al 1477; secondo gli statuti del 1415, l'appello doveva svolgersi in prima istanza di fronte al capitano del popolo ed in seconda dinanzi all'esecutore.
Per le sentenze del capitano il primo appello avveniva davanti all'esecutore, ed il secondo di fronte al podestà. Per le sentenze dell'esecutore invece, il primo appello era di fronte al podestà ed il secondo davanti al capitano.
Nel 1429 furono istituiti i conservatori di legge che dovevano giudicare i reati degli ufficiali pubblici e, dal 1435, le competenze passarono al podestà. Il capitano del popolo fu abolito nel 1477 e le sue residue funzioni, limitate alla giurisdizione civile, passarono al ripristinato giudice degli appelli. Il capitano del popolo risorse poi brevemente dal 1498 al 1502.
Una provvisione del 1388 aveva affidato agli "" ufficiali della diminuizione dei debiti del monte "" la tutela e la cura dei minori di 18 anni e degli adulti bisognosi di un curatore, il cui padre fosse morto senza dar loro un tutore o un curatore. Per assolvere a tali funzioni, nel 1393 furono istituiti i sei ufficiali dei pupilli e adulti, ai quali furono in seguito affidate altre categorie di incapaci. Essi giudicavano le cause civili dei propri sottoposti e quelle penali relative a frodi o furti da loro subiti. Qualora però non sentenziassero entro un anno dall'inizio della causa, la competenza passava al tribunale della mercanzia.
Oltre alle magistrature giudiziarie centrali, cui finora si è fatto cenno, nel contado e nel distretto provvedevano all'amministrazione della giustizia, entro certi limiti, giusdicenti periferici, nominati e controllati dal governo fiorentino. In genere, nei vicariati la giurisdizione penale era affidata al vicario, mentre i podestà svolgevano la giurisdizione civile. Diversa era la situazione per quei podestà che, essendo titolari di una circoscrizione autonoma, esercitavano anche il penale. Ai capitani era affidata, generalmente, la giurisdizione penale e talvolta quella civile. Molte, comunque, erano le situazioni atipiche.
Un'importante riforma dell'amministrazione giudiziaria centrale avvenne nell'aprile 1502 con la soppressione definitiva del podestà e del capitano del popolo e l'istituzione del consiglio di giustizia o ruota. Questo si componeva di cinque giudici forestieri, che duravano in carica tre anni e tra i quali, ogni sei mesi, veniva estratto un podestà.
Il consiglio assumeva collegialmente l'autorità e la giurisdizione propria dei due magistrati soppressi. Al podestà di ruota era attribuita una limitata competenza penale, restando gli otto di guardia i veri depositari della giurisdizione criminale; la provvisione del 29 dic. 1502 abolì gli ufficiali di notte, trasferendone le competenze, relative soprattutto ai reati di sodomia, agli otto di guardia e ai conservatori di legge.
La struttura e il funzionamento del consiglio di giustizia furono modificati con una provvisione del 6 ag. 1505; i giudici di ruota divennero sei: due svolgevano le mansioni di giudici di prima istanza, a un terzo competeva il primo appello e - per le sole cause provenienti dal contado e dal distretto - il secondo appello, a tre giudici, infine, era affidato il ricorso contro le sentenze del giudice di primo appello. Un terzo appello era ammesso di fronte al consiglio di giustizia riunito in seduta plenaria, quando le sentenze di secondo appello differivano da quelle che le avevano precedute.
Al podestà di ruota spettava ancora la giurisdizione criminale.
Una provvisione del giugno 1527 creò il collegio della quarantìa, composto da quaranta membri del consiglio degli ottanta e dai rappresentanti delle principali magistrature. A quel collegio passavano le cause criminali non definite entro venti giorni dagli organi competenti ed esso doveva sentenziare nelle cause relative a "" casi di Stato "". L'appello al consiglio maggiore. inizialmente concesso contro le sentenze della quarantìa, fu abolito dopo un anno e l'esecuzione delle sentenze fu affidata alla signoria, ai dieci di libertà e pace e agli otto di guardia. Di lì a poco, comunque, con il principato mediceo l'amministrazione giudiziaria fiorentina conobbe ulteriori riforme e modifiche.
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Periodo mediceo
Le "" ordinazioni "" del 27 apr. 1532 che istituivano il principato operarono cambiamenti solo nelle strutture politiche dello Stato fiorentino. Fu infatti abolita la signoria e così anche i consigli della repubblica. Al loro posto subentrarono il consiglio dei duecento, il senato dei quarantotto, il magistrato dei quattro consiglieri, presieduto dal principe, che però, sin dall'inizio, si fece sostituire da un suo luogotenente, tanto che questa magistratura si chiamò magistrato del luogotenente e consiglieri o magistrato supremo. I membri del consiglio dei duecento, la cui carica era vitalizia, nominati la prima volta dai dodici riformatori che avevano redatto la costituzione, furono in seguito designati dal principe fra i cittadini fiorentini; lo stesso si dica per i senatori, che dovevano essere scelti nel consiglio dei duecento. I quattro consiglieri erano eletti fra i senatori dai dodici accoppiatori, nominati fra i membri del senato dei quarantotto.
Rimasero invece in funzione, all'inizio, immutate almeno nella forma, le antiche magistrature amministrative, finanziarie e giudiziarie, che poi furono gradualmente modificate da Cosimo I e dai suoi successori. Queste erano rette da organi collegiali i cui membri erano all'inizio scelti per tratta, o estrazione a sorte, fra i cittadini fiorentini che avessero determinati requisiti.
Alessandro e poi Cosimo I svuotarono però di ogni contenuto politico gli organi di governo istituiti dalle ordinazioni. Il consiglio dei duecento e il senato dei quarantotto ebbero vita grama, il magistrato dei consiglieri ebbe solo competenze giurisdizionali e si limitò a registrare le leggi e le norme aventi pubblica rilevanza emanate dal principe.
Questi dal canto suo si servì per la sua azione politica di persone di fiducia, dei segretari, direttamente nominati da lui, anche al di fuori della cittadinanza fiorentina, il cui possesso ai tempi della repubblica era indispensabile per chi volesse accedere alle cariche politiche ed amministrative. Per i problemi giuridici egli cominciò a nominare come consulenti giureconsulti di chiara fama spesso forestieri.
L'istituzione del principato portò quindi alla creazione di nuovi organi legati al mutamento del regime, quali la Pratica segreta di Firenze, gli uffici della corte e quelli addetti all'amministrazione del patrimonio del principe, patrimonio che, nella indistinzione tra pubblico e privato, tipica dello stato patrimoniale, aveva anche rilevanza pubblica. Essi erano: la guardaroba, lo scrittoio delle fortezze e fabbriche ed infine quello delle possessioni.
I segretari si occupavano degli affari politici, del carteggio con le legazioni toscane all'estero, di alcuni affari interni di maggiore rilevanza e degli affari militari; la Pratica segreta fungeva da organo consultivo al quale il principe si rivolgeva per gli affari interni di maggiore rilevanza. La guardaroba, lo scrittoio delle fortezze e fabbriche, quello delle possessioni badavano all'amministrazione del patrimonio mobiliare ed immobiliare di casa Medici.
Infine fu creata l'amministrazione della Magona per gestire le miniere, soprattutto quelle del ferro, considerate patrimonio del principe.
Della antica repubblica rimase una sola carica di rilevanza politica: quella dell'""officiale "" delle riformagioni, custode dell'archivio omonimo nel quale erano conservati gli atti politici e i documenti che concernevano l'espansione territoriale della repubblica fiorentina: trattati di pace con le città mano a mano assorbite, atti di dedizione, trattati con vari potentati, concessioni di privilegi. Questo ufficio rivestì grande importanza sotto Cosimo I.
Il suo titolare divenne come il notaio della corona ed assunse il titolo di auditore. Era inoltre il segretario della Pratica segreta e del senato dei quarantotto. Continuò a funzionare immutato nella sua struttura, l'ufficio delle tratte, chiamato poi segreteria, che al tempo della repubblica provvedeva all'assegnazione delle cariche per estrazione a sorte, e dopo l'istituzione del principato ebbe anche l'incombenza di sbrigare le pratiche relative all'assunzione degli addetti ai pubblici uffici.
Grande importanza assunse anche la carica di auditore, consigliere legale del principe, che esaminava le suppliche presentate dai sudditi e si occupava altresì della concessione dei benefici ecclesiastici.
Per il resto l'amministrazione dello Stato era organizzata in maniera disorganica e la sua struttura risentiva direttamente delle esigenze che nel tempo avevano dato luogo alla istituzione delle varie magistrature. Ciascuna di esse esercitava funzioni che dopo la rivoluzione francese furono separate ed affidate a branche specializzate. A parte i tribunali quasi tutte le magistrature, oltre ad esercitare la funzione amministrativa, riscuotevano imposte ed esercitavano anche la giurisdizione per le materie di loro competenza.
Il territorio dello Stato era diviso originariamente in contado e distretto. A queste due parti - si era aggiunta la provincia pisana, mentre Pistoia e la sua Montagna avevano anche esse un regime speciale. Dal 1557 si aggiunse poi lo Stato di Siena, che conservò un ordinamento separato. Il suo territorio era amministrato da organi centrali residenti a Siena ed affidati in gran parte a cittadini senesi. Così l'intero principato si divise in "" Stato vecchio "" e Stato di Siena, amministrati separatamente e con sistemi diversi, riuniti nella persona del sovrano che aveva in Siena un governatore, esecutore della sua volontà.
Quanto alle circoscrizioni territoriali, sia lo Stato vecchio che quello di Siena erano divisi in vicariati e i vicariati in podesterie; queste cariche erano affidate rispettivamente a cittadini fiorentini e senesi. I vicari vi esercitavano la giurisdizione criminale e civile, i podestà solo quella civile. Vicari e podestà avevano anche funzioni amministrative e rappresentavano l amministrazione centrale.
Le amministrazioni comunali, il cui ambito territoriale, a parte le inevitabili variazioni, era stato stabilito in tempi molto antichi (per alcune addirittura si può risalire al tempo della conquista da parte delle due "" dominanti ""), erano nello Stato vecchio sottoposte al controllo dei Cinque conservatori del dominio fiorentino, istituiti nel 1420 ad resecandas expensas comunitatum, poi alla giurisdizione degli otto di pratica, per quanto riguardava le loro controversie, infine al magistrato dei Nove conservatori della giuridizione e del dominio fiorentino, istituito nel 1560, che riunì in sé le funzioni delle due magistrature.
Ai Nove fu anche affidata la riscossione e la gestione di una imposta istituita nel 1545, quella delle così dette "" spese universali "", che doveva essere pagata dai possidenti del distretto fiorentino, mentre quelli del contado, al medesimo magistrato, pagavano la decima.
Oltre a queste due imposte, ai Nove fu affidata in vari tempi la riscossione e la gestione di altre imposte pagate da tutte o da alcune comunità dello "" Stato vecchio "".
Alla loro giurisdizione e controllo era però sottratto il territorio di Pistoia e della sua Montagna, sottoposto dal 1532 prima al magistrato supremo, poi ai quattro commissari di Pistoia ed infine alla Pratica segreta, che, come organo tutorio di questa parte di territorio, si riuniva in sedute separate ed aveva un archivio anche esso separato.
Infine le comunità dello Stato vecchio erano sottoposte al controllo tecnico dei capitani di parte per quanto riguardava l'esecuzione dei lavori pubblici da esse finanziati. Questa magistratura conservò ancora nel principato il potere di perseguire i ribelli e di confiscar ne i beni, ma poi, inglobati nel 1549 gli ufficiali di torre e istituiti nel suo interno gli ufficiali dei fiumi, ebbe anche il compito della progettazione e dell'esecuzione dei lavori finanziati dallo Stato e dalle comunità, della manutenzione delle strade e di alcune fortezze e degli argini dei fiumi.
Per finanziare la sua attività riscuoteva alcune imposte e ne amministrava il provento.
Come si vede, le attribuzioni di queste magistrature non erano chiare e distinte, per cui frequentemente sorgevano conflitti di competenza fra i Nove e i capitani di parte, sia per quanto riguardava i lavori delle comunità, i cui stanziamenti erano sottoposti all'approvazione dei primi, sia per quanto riguardava i lavori finanziati con denaro del pubblico erario. I capitani di parte invadevano anche la sfera di competenza dello scrittoio delle fortezze e fabbriche. Nello Stato patrimoniale, in cui tutto era considerato patrimonio del principe, non vi era distinzione di mansioni, ma divisione di cose.
Gli stessi inconvenienti si verificavano nel sistema finanziario. Con l'avvento del principato fu abolita di fatto la camera del comune, cassa centrale insieme al monte comune delle graticole della repubblica fiorentina, accanto alla quale era sorta la depositeria generale intorno al 1540.
A questo organo dovevano essere versati i proventi delle imposte e di quanto altro si riscuoteva dalle magistrature addette a percepire denaro dovuto all'erario per varie cause, detratte le spese per il pagamento degli stipendi al personale e per l'adempimento degli obblighi propri di ciascuna di esse. Infatti nel sistema finanziario e fiscale del principato mediceo, così come in quello della repubblica fiorentina, le imposte venivano istituite per far fronte a determinate spese, ma spesso, sorte come straordinarie, divenivano poi ordi narie.
Esse in genere venivano riscosse e gestite da magistrature create ad hoc o già esistenti.
Così era per la gabella dei contratti e per la decima granducale, amministrata dagli ufficiali di decima, che si riscuoteva in Firenze e nel contado, il cui provento era versato, come abbiamo visto, per la parte che si riscuoteva nel contado, al magistrato dei Nove, e per quella pagata dai cittadini fiorentini, al monte delle graticole perché adempisse alle sue funzioni istituzionali. Lo stesso si dica per la "" tassa "" del macinato, istituita dapprima come gabella insieme all'ufficio delle farine nel 1552 per la sua riscossione, e trasformata nel 1678 in testatico. E inoltre da rilevare che, a parte le gabelle interne ed esterne, che erano riscosse da una organizzazione periferica di Stato, molte imposte erano riscosse dai camarlinghi delle comunità che provvedevano a versarle ai vari organi centrali che le amministravano.
Accanto a queste magistrature vi erano quelle preposte al debito pubblico. Le più antiche erano il monte comune o delle graticole che risaliva alla repubblica fiorentina, e il monte di pietà, istituito nel 1495, che oltre a funzionare come istituto di credito su pegno, finì per erogare prestiti con interesse. Durante il principato mediceo si aggiunsero il monte del sale, nel 1692 il monte sussidio vacabile, nel 1706 il monte sussidio non vacabile e infine nel 1711 il monte redimibile. A questi monti, istituiti quando lo Stato ricorreva al credito, erano assegnate aliquote di imposta per pagare gli interessi ai creditori.
11 sistema fiscale e finanziario del principato mediceo, caratteristico di uno Stato povero e in netto regresso economico, era completato da due magistrature : quelle dell'abbondanza e della grascia, che provvedevano a rifornire in tempo di carestia lo Stato e soprattutto la città di Firenze delle derrate alimentari di prima necessità. Le antiche arti, che erano la base politica della repubblica, persero ogni potere ed operarono come corporazioni preposte alle attività manifatturiere, commerciali e professionali in regime di monopolio.
Quanto al sistema giudiziario per la giurisdizione civile funzionava in Firenze la ruota civile, fondata nel 1502 e riformata più volte sotto Cosimo I. Questo tribunale, composto di sei giudici, in generale non fiorentini e spesso non toscani, era diviso in sezioni ed aveva la giurisdizione di appello, sia per Firenze, sia per il dominio, quando gli statuti locali non disponevano diversamente.
Oltre alla ruota che aveva competenza per le cause civili, amministravano la giustizia altri tribunali, come quello dei pupilli, che aveva la giurisdizione sui minori, sui poveri, e in genere sugli incapaci, il magistrato della mercanzia. che aveva giurisdizione esclusiva sulle cause di commercio; i conservatori di leggi che, fra le altre, avevano la giurisdizione sulle cause dei poveri ed infine il magistrato supremo che era considerato il "" tribunale del principe "", e che, in quanto tale, aveva una giurisdizione generale e poteva trattare tutte le cause.
La giurisdizione penale, che nel dominio era esercitata dai vicari, fu affidata in Firenze agli Otto di guardia e balia dopo l'abolizione del podestà e del capitano del popolo. Questa magistratura esercitava il controllo sulle sentenze dei giusdicenti periferici, che diventavano esecutive dopo la sua approvazione. Dopo il 1543, con l'istituzione dell'auditore fiscale, il controllo delle sentenze criminali passò a questo alto magistrato, che diventò il regolatore del sistema giudiziario penale del principato.
Queste le strutture statali dello Stato toscano alla morte di Cosimo I Dopo di lui sul piano formale avvennero pochi cambiamenti di rilievo.
Fu istituita nel 1600 la consulta "" per le suppliche di Stato "", essendo ormai il loro numero divento così grande che il relativo esame richiedeva l'intervento di più persone. Questa magistratura era formata dall'auditore fiscale e da due auditori nominati dal granduca e assunse in breve il controllo dell'amministrazione della giustizia.
La carica di primo auditore fu abolita nel 1610. Le mansioni di questo alto magistrato passarono in parte al primo segretario di Stato, in parte agli auditori, in parte, per quanto riguardava le materie ecclesiastiche, all'auditore dei benefici ecclesiastici, chiamato poi, nel sec. XVIII, segretario della giurisdizione o del regio diritto.
Dopo la morte di Lorenzo Usimbardi, avvenuta nel 1636, i successori furono chiamati segretari di guerra. Questa segreteria ebbe poteri e competenze che aveva avuto l'Usimbardi e che rimasero fissi sino alla fine del principato mediceo; ebbe inoltre anche un organico separato.
Nel 1680 fu istituita la ruota criminale alla quale furono affidate le cause penali più importanti, sottraendole al magistrato degli Otto di guardia e balia. Ma questo tribunale ebbe breve vita perché fu soppresso nel 1699.
Queste erano in grandi linee le strutture del principato mediceo per lo Stato vecchio fino alla morte di Gian Gastone. Si può dire che esse non furono sostanzialmente modificate dopo la morte di Cosimo I. Ma se formalmente tutto rimase come era, mutarono notevolmente i contenuti: i problemi lasciati insoluti dalla repubblica si esasperarono, tanto che le critiche alle istituzioni cominciarono a venire dagli stessi funzionari e magistrati che reggevano la cosa pubblica
Periodo lorenese
L'avvento di Francesco Stefano di Lorena nel luglio del 1737 diede inizio ad un periodo di profonde riforme delle strutture dello Stato toscano, periodo che ebbe il suo culmine al tempo di Pietro Leopoldo. Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d'Austria, venne in Toscana ma vi rimase solo pochi mesi, dal gennaio all'aprile 1739. Egli governò il granducato attraverso suoi rappresentanti, come il principe di Craon, il conte di Richecourt, il barone Orsini di Rosemberg. Inoltre sin dall'inizio riformò profondamente gli organismi della direzione politica. Alla segreteria sostituì per i primi tre anni un consiglio di reggenza composto dal suo luogotenente, il principe di Craon, dal primo segretario di Stato, abate Tornaquinci, dal maggiordomo, maggiore Tommaso del Bene, dal segretario di guerra, marchese Rinuccini, dal comandante in capo delle truppe imperiali di occupazione, generale Wachtendonk. Poi nel 1739, a somiglianza delle altre monarchie di Europa, istituì con motuproprio del 25 aprile i consigli di Stato e di reggenza, di finanze e di guerra e le rispettive segreterie. Francesco Stefano lasciò sussistere tutte lealtre magistrature, ordinando però che fosse fatto un piano organico per distribuirle alle dipendenze delle tre segreterie;. a seconda della loro competenza. Piano che fallì perché queste avevano quasi sempre competenza promiscua, come al tempo dei Medici.
Una sola radicale riforma fu eseguita subito da Francesco Stefano per cercare di aumentare il gettito delle imposte: l'istituzione dell'appalto generale per la loro riscossione, riforma che portò con sé la creazione della camera granducale, tribunale competente per le cause civili e criminali in materia di appalto.
Per il resto, a parte l'abolizione del consiglio di guerra, avvenuta nel 1746 e di quello di finanze, avvenuta nello stesso anno, non vi furono riforme di struttura, perché Francesco Stefano, perseguendo una politica riformatrice, continuò a servirsi dei vecchi organi della pubblica amministrazione, modificandone spesso le attribuzioni. D'altra parte, specialmente durante la guerra di successione austriaca, doveva procedere cautamente per non suscitare ulteriori ostilità ed inimicizie che potessero aggravare sul piano politico la già critica situazione in cui si trovava coinvolto lo Stato austriaco.
A parte alcuni provvedimenti presi fino al 1748, come la ristrutturazione del monte comune, per diminuire il debito pubblico, e l'unificazione di questo col monte del sale e con quello redimibile, avvenuta nel 1746, e qualche legge che cercava di agevolare la circolazione delle derrate alimentari all'interno del suo Stato, non vi furono altre grosse riforme.
Viceversa dopo il 1748 si ebbero la legge sulla manomorta, quella sui feudi e quella sulla nobiltà e cittadinanza, che ebbero profonde ripercussioni nella vita dello Stato e della società.
In generale si può affermare che gli uomini messi a capo dell'amministrazione e i nuovi e più stretti rapporti degli organi amministrativi con quelli politici, crearono una realtà nuova nel granducato attraverso le vecchie strutture che fecero sempre maggiormente sentire la loro insufficienza.
Toccherà a Pietro Leopoldo, succeduto al padre nel 1765, attuare le riforme che sradicarono completamente le vecchie istituzioni medicee e crearono un'amministrazione più razionale, più efficiente, più "" moderna "".
Come primo atto del suo governo Pietro Leopoldo istituì nel 1766 l'amministrazione della corte, unificando i "" dipartimenti n del maggiordomo maggiore, delle regie razze, della guardaroba e delle regie fabbriche, che sotto Francesco Stefano erano privi di collegamento.
Poi, nell'intento di regolarizzare il regime del patrimonio della corona e di quello dello Stato per sottoporlo alle stesse imposte che gravavano su quelli privati, emanò una serie di provvedimenti che miravano a razionalizzarne e semplificarne l'amministrazione.
Egli infatti nel 1770 assoggettò il patrimonio della corona e quello dello Stato al pagamento delle imposte; poi eliminò le interferenze esistenti fra i vari uffici della corte. Alla guardaroba era già stato tolto da Francesco Stefano nel 1739 l'onere di provvedere alla riparazione e manutenzione degli edifici e delle ville di proprietà della corona, compito che era passato allo scrittoio delle regie fabbriche.
L'amministrazione della real corte divenne perciò col tempo l'unico ufficio che gestiva l'intero patrimonio della corona. Le tappe percorse da questo processo di unificazione e di razionalizzazione furono a volte contraddittorie, anche perché l'antica confusione fra il patrimonio pubblico, quello della corona e quello privato del sovrano Aveva creato strutture, competenze e posizioni di potere difficili da eliminarsi. Così nel 1770 l'ufficio della guardaroba maggiore perdette la sua autonomia e fu sottoposto alla segreteria di finanze come gestore di un pubblico patrimonio. Lo stesso si dica per lo scrittoio delle possessioni, che passò sotto il controllo della medesima segreteria e per lo scrittoio delle regie fabbriche, al quale nel 1777 fu affidata anche la manutenzione degli edifici militari. Questi tre uffici, che amministravano beni considerati di proprietà dello Stato, della corona e personali del sovrano, furono, come si è detto, messi da Pietro Leopoldo in un primo tempo alle dipendenze della segreteria di finanze poi, col delinearsi sempre più chiaramente della distinzione tra beni dello Stato e beni della corona, passarono nel 1789 alle dipendenze della "" amministrazione generale dei patrimoni della corona e personale di sua altezzareale "", dopo avere lasciato ad altri organi dello Stato l'amministrazione dei beni che non erano di pertinenza della casa regnante, esclusi alcuni istituti e raccolte di arte.
Un'ultima semplificazione si ebbe al tempo di Ludovico di Borbone nel 1802, quando fu deciso che l'amministrazione della real corona e corte fosse limitata "" ai soli dipartimenti della real corte e della guardaroba generale "".
Per quanto riguarda gli organi della direzione politica, la loro struttura rimase inalterata, a parte l'istituzione della segreteria degli esteri avvenuta nel 1765, fino al 1770, quando Pietro Leopoldo istituì il consiglio di finanze; infine nel 1789 i consigli di Stato e quello di finanze furono riuniti in un solo organo collegiale che si chiamò consiglio di Stato, finanze e guerra. Anche le segreterie furono riunite sotto un'unica direzione, pur rimanendo separati gli uffici, il personale e gli archivi.
A questi organi se ne aggiunse un altro nel 1770: la segreteria intima di gabinetto, che funzionava come segreteria personale del sovrano, nella quale confluivano gli affari più importanti che egli voleva esaminare personalmente.
Pietro Leopoldo riformò profondamente le strutture amministrative del granducato. Egli iniziò con l'abolizione dei capitani di parte e dei Nove conservatori. Nel 1769 essi furono sostituiti dalla camera delle comunità, luoghi pii, strade e fiumi, che assunse il controllo delle amministrazioni comunitative ed ebbe la direzione dei lavori pubblici per il contado e il distretto, mentre l'ufficio dei fossi di Pisa esercitava queste mansioni per il territorio della "" provincia pisana "". La camera delle comunità amministrò anche per qualche tempo il "" chiesto dei Nove "" e le altre imposte di competenza sia di questa magistratura, sia dei capitani di parte.
Alla riforma di questi due uffici seguì quella dell'ufficio delle farine, avvenuta nel 1766.
La riscossione della imposta del macinato, trasformata in testatico sin dal 1678, passò alla stessa camera delle comunità.
Pietro Leopoldo si rivolse dopo alla riforma del sistema comunitativo. Erano ancora in vigore, almeno formalmente, i vecchi statuti; gli organi della rappresentanza e del governo delle comunità variavano per composizione e struttura nelle diverse parti del territorio, ancora legate a situazioni che appartenevano al passato e che ormai erano profondamente mutate. Pietro Leopoldo emanò, prima, dei regolamenti generali: uno per il contado e uno per il distretto nel 1774, uno pei la provincia pisana nel 1776, uno per la provincia superiore senese nel 1777 e uno per la provincia inferiore nel 1778. In essi stabiliva le norme generali che dovevano regolare le strutture delle amministrazioni comunitative e i rapporti con gli organi centrali di controllo.
Emanò poi in vari anni i regolamenti particolari per ciascuna comunità, stabilendo fra l'altro le nuove circoscrizioni territoriali e la quota annua di imposta che doveva essere pagata all'erario invece di quelle che si pagavano alle vecchie magistrature centrali; questa imposta venne chiamata "" tassa di redenzione "".
Anche il sistema finanziario e fiscale fu riformato profondamente e adeguato alle nuove strutture. Sin dal tempo di Francesco Stefano il monte aveva perduto la funzione di seconda cassa centrale del granducato e sotto Pietro Leopoldo la riforma delle strutture statali e la graduale abolizione delle varie casse che erogavano stipendi ed emolumenti, avevano concentrato il versamento delle entrate e l'erogazione delle uscite nella depositeria generale, ad eccezione di alcuni casi di secondaria importanza. Questo organo divenne l'unico erogatore degli stipendi degli impiegati di tutte le amministrazioni statali e di tutte le spese dello Stato. II suo collegamento con la segreteria di finanze divenne più stretto e, anche se non si arrivò a compilare i bilanci preventivi della spesa pubblica, pure se ne ottenne la razionalizzazione. Pietro Leopoldo nella ristrutturazione del sistema finanziario parti dell'appalto generale, che nel 1768 fu sostituito dall'amministrazione generale delle regie rendite, che gestiva tutti i proventi statali appaltati da Francesco Stefano.
Seguì poi la smobilitazione del magistrato della decima, i cui registri furono affidati allecomunità del contado, perché queste provvedessero alla riscossione dell'imposta e al pagamento in loco per conto della depositeria delle spese che erano a carico dell'erario.
Pietro Leopoldo dispose che fossero riveduti anche gli estimi delle comunità sottoposte al "" chiesto dei Nove "", al fine di unificare i criteri per la ripartizione dell'imposta sui beni immobili, ma non riuscì nel suo intento per le difficoltà finanziarie delle comunità che non potevano sostenere le spese della revisione.
Anche l'imposta del macinato fu modificata e i suoi criteri di ripartizione furono ammodernati nel 1776. La sua amministrazione fu in un primo tempo affidata alla camera delle comunità, poi, nel 1802, ad uno speciale "" dipartimento "".
Ultima riforma fondamentale All'interno del sistema fiscale fu quella delle dogane interne ed esterne. Le prime) che erano quelle di Firenze, Pistoia. Pisa, Livorno e dello Stato di Siena, dividevano il territorio dello Stato in compartimenti stagni, che assoggettavano le merci al pagamento di tariffe stabilite per ciascuna di esse da statuti e leggi, il cui fondamento risaliva sino ai tempi della repubblica, ed erano di grave intralcio alla circolazione delle merci all'interno dello Stato. Le seconde erano disposte lungo i confini del granducato.
Vi erano inoltre le gabelle riscosse da parecchie comunità, che con questi proventi integravano le loro scarse entrate.
Con una serie di provvedimenti, Pietro Leopoldo tese ad abolire le dogane comunitative e quelle interne, unificando le tariffe di quelle esterne. La legge doganale generale, che aboliva le dogane interne, lasciando soltanto i dazi che si riscuotevano alle porte di Firenze, Siena, Pisa e Pistoia, fu emanata il 19 ottobre 1791, al tempo di Ferdinando III, che successe al padre, succeduto a sua volta al fratello Giuseppe II sul trono austriaco; ma essa si può considerare il logico corollario della politica doganale di Pietro Leopoldo.
Egli cercò anche di abolire il debito pubblico. Infatti con motuproprio del 1° mar. 1788 ordinò che fossero annullati i luoghi di monte posseduti dalle comunità e diminuì la tassa di redenzione di tre scudi e mezzo da esse dovuta per ogni luogo di monte cancellato. Con legge del 7 marzo successivo obbligò i privati possessori di immobili ad affrancare le loro quote di tassa di redenzione con la cessione dei luoghi di monte allo stesso valore stabilito per le comunità; nello stesso tempo abolì il monte comune. Ma questi provvedimenti non sortirono l'effetto voluto. Invece dei luoghi di monte, circolarono le patenti di cassazione della tassa di redenzione, usate come denaro contante, per cui Ferdinando III con le leggi 26 sett. e 6 ott. 1794 e 27 giu. 1796 ristabilì questa imposta e il monte comune, che ricominciò ad emettere i luoghi di monte.
Le vicende legate all'invasione francese del 1799 resero indispensabile nel 1800 la istituzione di un monte redimibile che, nel 1802, fu unito al monte comune.
Per quanto riguarda la giustizia civile, Pietro Leopoldo emanò il 30 dic. 1771 una legge che aboliva il vecchio sistema di nomina dei giudici sia dei tribunali periferici, sia di quelli fiorentini, e disponeva che a giudicare le cause di loro cognizione dovessero essere "" giudici necessari "", cioè giudici stabili, nominati dal sovrano, togliendo ai litiganti la facoltà di scegliere il proprio giudice. Venivano stabilite norme rigorose per la procedura sia in prima istanza, sia in appello. Le cause di seconda istanza dovevano essere discusse soltanto davanti alla ruota che veniva designata come tribunale di appello.
Venivano così riformati il tribunale dei pupilli, quello dei conservatori di leggi, il magistrato supremo. La mercanzia veniva soppressa nel 1770, ripristinata nel 1775, infine definitivamente soppressa nel 1782. Così accadde per i conservatori di leggi, aboliti nel 1777.
Al loro posto furono istituite le cariche del conservatore delle leggi e dell'avvocato regio.
Nel 1772 furono riformati i tribunali provinciali, rivedendo le circoscrizioni territoriali degli antichi vicariati e delle podesterie, e facendo coincidere l'ambito territoriale di queste ultime con le comunità.
Per la giustizia criminale, fu soppresso nel 1777 il tribunale degli Otto di guardia e sostituito col supremo tribunale di giustizia, che avocò a sé la giurisdizione criminale di tuttigli altri tribunali. Esso fu presieduto dall'auditore fiscale fino alla sua abolizione avvenuta nel 1784, poi da un presidente.
Nel 1777 fu soppressa anche la camera granducale, le cui competenze per le materie civili passarono al tribunale delle regalie, soppresso a sua volta nel 1789.
Anche la consulta fu abolita nel 1788: alcune sue competenze furono distribuite fra altri tribunali, ma la maggior parte furono assegnate al presidente del buon governo. Al suo posto fu creata nel 1789 la carica di consultore legale, che ne esercitò alcune mansioni.
La consulta fu ristabilita nel 1793 e riebbe le competenze che aveva prima: divenne l'organo di controllo di tutto il sistema giudiziario del granducato; fra le sire facoltà c'era anche quella di pronunziarsi sui ricorsi contro le sentenze passate in giudicato.
Altra riforma fondamentale fu quella del fisco. Questo organo dipendeva dall'auditore fiscale, capo supremo della giurisdizione criminale e della polizia. La legge leopoldina del 7 mar. 1778 soppresse la congregazione fiscale, e ridusse il fisco ad una amministrazione del patrimonio e delle entrate fiscali. I poteri dell'auditore passarono per la maggior parte al presidente del buon governo, istituito il 22 aprile 1784. Questo ufficio ebbe alle sue dipendenze la polizia, l'ufficio del fisco, le carceri e i giusdicenti provinciali per ciò che riguardava le loro mansioni di polizia.
Nell'intento di liberalizzare la politica economica e di distruggere monopoli e privative furono abolite le arti. Pietro Leopoldo dal 1770 al 1776 le soppresse in Firenze e nel resto dello Stato; abolì inoltre il regime annonario, dapprima sopprimendo le leggi che impedivano la libera circolazione delle derrate alimentari all'interno del granducato e i balzelli che gravavano sulla macinazione dei cereali e sulla fabbricazione del pane, come pure ogni provento di forni e diritti di canova, poi sopprimendo nel 1768 i magistrati dell'abbondanza e della grascia, unificati nella congregazione dell'annona. Infine abolì anche questa nel 1775, lasciandone sussistere soltanto lo scrittoio, soppresso a sua volta nel 1778.
A coronare la sua opera riformatrice, Pietro Leopoldo confiscò il patrimonio di molti monasteri e chiese, e formò nel 1784 in ogni diocesi del granducato l'amministrazione del patrimonio ecclesiastico che doveva provvedere a mantenere le chiese con le rendite dei beni confiscati. Si creò così un'altra struttura amministrativa alle dipendenze della segreteria del regio diritto. Questi uffici furono aboliti nel 1794
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http://dati.san.beniculturali.it/SAN/CAI0730,http://dati.san.beniculturali.it/SAN/descrizioneCSI,"Soprattutto in virtù del precoce sviluppo dell'attività marinara, Pisa acquista fin dal sec. XI un notevole rilievo politico: insieme ai genovesi combatte per mare i saraceni, estende la sua presenza commerciale nell'Italia meridionale, intensifica i tradizionali rapporti con la Corsica, penetra in Sardegna. Schieratasi dalla parte di Enrico IV riceve un privilegio che conferma le consuetudini marittime Pisane. Nello stesso documento è fatta menzione della elezione di magistrature cittadine (1081) mentre degli stessi anni è una carta sarda ove per la prima volta sono menzionati consoli Pisani (1080-1085).
Nel XII secolo Pisa stabilisce colonie nell'Africa settentrionale, a Giaffa, a Tiro, a Laodicea, ad Antiochia, a Costantinopoli, a Ragusa, a Zara. Ma il settore di intervento di gran lunga più importante rimane il Mediterraneo occidentale e, in particolare, la Sardegna e la Corsica. Contemporaneamente estende all'interno il proprio contado. Il potere politico del comune, esercitato dai consoli, si articola in organi ed istituti nuovi: il senato, o consiglio di credenza, il podestà, il console di giustizia cui viene affidata l'amministrazione della giustizia. Sorgono pure, verso la metà del secolo, le prime arti.
Durante la prima metà del XIII secolo le organizzazioni popolari si danno una propria rappresentanza politica eleggendo il capitano del popolo e la magistratura degli anziani, destinata a diventare il più importante organo deliberativo del comune. Sul finire del secolo Pisa subisce una crisi politica a causa del rafforzarsi, per mare, di Genova, Venezia e Barcellona e della egemonia di Firenze: sconfitti per mare alla Meloria dai genovesi (1284), i Pisani sono costretti più tardi a cedere i propri possedimenti in Sardegna e in Corsica mentre le vittorie guelfe li privano, sulla terraferma, di territori e castelli.
Nel XIV secolo, a brevi momenti durante i quali Pisa torna ad assumere un proprio ruolo politico (discese di Enrico VII e di Carlo IV), si alternano lunghi periodi durante i quali le lotte interne sono determinate soprattutto dalla diversa politica che si intende seguire nei confronti di Firenze: si succedono più o meno fortunati governi signorili (Uguccione della Faggiola, Castruccio Castracane, i Donoratico, Giovanni dell'Agriello, Pietro Gambacorta, Iacopo e Gherardo da Appiano). Nel 1406, dopo che Gherardo da Appiano aveva venduto a Gian Galeazzo Visconti la città, Firenze, che da tempo mirava al possesso di Pisa e di Porto Pisano, occupa la città riducendola sot to il proprio dominio e ponendo fine al periodo della "" prima libertà "".
Soprattutto gli interessi economici Pisani vengono a soffrire dell'assoggettamento politico della città a Firenze e, nonostante alcuni favorevoli provvedimenti di Lorenzo de' Medici, si apre per Pisa una lungo periodo di decadenza. Sul piano interno la vita politica cittadina gode di scarsa autonomia: sostituiti gli anziani con i priori, Firenze esercita il suo potere dapprima mediante i Dieci di Pisa, poi, dal 1426, mediante i consoli del mare.
Nel 1494 la discesa di Carlo VIII offre ai Pisani l'opportunità di riacquistare la propria autonomia politica. Ma il periodo della "" seconda libertà "" si chiude nel 1509 con il definitivo assoggettamento a Firenze
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sec. XI- 1434: il borgo passa dai suoi fondatori ai Malaspina, marchesi della Lunigiana, ai Fieschi di Genova, a Castruccio Castracani, signore di Lucca, a Pisa, ai Rossi di Parma, agli Scaligeri di Verona, ai Visconti di Milano, a Firenze e, infine a Lucca
1434-1797: Antonio Alberico Malaspina toglie la città alla Repubblica di Lucca e ne diventa signore e, dal 1442, marchese; Ricciarda sposa nel 1530 Lorenzo Cybo, dando origine alla casa Cybo-Malaspina; nel 1473 Carrara passa sotto la signoria dei Malaspina e, da allora lega la sua sorte a quella di Massa
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REGNO DI NAPOLI (ANGIOINI, 1265-1442; ARAGONESI, 1442-1503)
1265-1442: il regno è retto dagli Angioini; Carlo I d’Angiò sposta la capitale a Napoli e non governa sulla Sicilia; inizia una plurisecolare decadenza per l’eccessivo prelievo fiscale e per l’indebitamento dello Stato specie nei confronti dei banchieri fiorentini; si forma una nobiltà feudale che contribuisce a indebolire lo Stato; nel 1302 con la pace di Caltabellotta, che conclude la guerra dei “vespri siciliani”, il titolo di re di Sicilia resta agli Angiò di Napoli, mentre Federico d’Aragona viene incoronato re di Trinacria; con Roberto d’Angiò che diventa re nel 1309, Napoli, legata soprattutto a Firenze e al papato, attraversa una fase di splendore; alla sua morte si apre una crisi profonda economica e dinastica; lotta per la conquista del trono tra i tre rami angioini di Taranto, d’Ungheria e di Durazzo, che temporaneamente prevalgono; difficoltà di rapporti con la Sicilia; la regina Giovanna I, nipote di Roberto, riconosce nel 1372 l’autonomia della Sicilia; il titolo di re di Sicilia passa a Federico III d’Aragona, mentre agli Angiò resta il titolo di re di Napoli; contrasto interno per l’indisciplina dei baroni; nel 1435 muore la regina Giovanna II d’Angiò-Durazzo senza lasciare eredi e la successione viene contesa tra Alfonso, re d’Aragona e di Sicilia, e Renato d’Angiò-Valois; al fianco degli Angiò si schierano il papato, Firenze, Venezia, Milano e Genova; Alfonso, sconfitto, viene consegnato a Filippo Maria Visconti che, temendo l’alleanza franco-angioina, libera Alfonso che nel 1442 diviene re di Napoli;
1442-1503: con Alfonso d’Aragona, il Magnanimo, il regno di Napoli conosce una seconda fase di splendore, anche se, all’interno, continuano i contrasti con i baroni; nel 1458 gli succede il figlio naturale Ferrante che dopo aver affrontato l’ostilità del papa, le pretese al trono del figlio di Roberto d’Angiò e l’indisciplina dei baroni, riesce a consolidare la sua autorità; nel 1494 Carlo VIII d’Angiò entra a Napoli; nel 1495 Napoli torna ai d’Aragona, passa poi sotto Luigi XII d’Orléans e, infine, sotto la reggenza di Isabella d’Aragona, moglie di Ferdinando il Cattolico
VICEREGNO DI NAPOLI (SPAGNA 1503-1707; AUSTRIA 1707-1734)
1503-1707: Napoli passa sotto la dominazione spagnola con Ferdinando il Cattolico (già re d’Aragona, Sardegna e Sicilia dal 1479, re di Napoli dal 1503 e re di tutta la Spagna dal 1512) e i suoi successori; dal 1503 è retta da un viceré;
1707-1734: Napoli passa sotto la dominazione austriaca con Carlo VI d’Austria, fratello dell’imperatore Giuseppe I d’Asburgo (dal 1707 duca di Milano, dal 1711 imperatore e re di Germania, dal 1718 re di Sicilia)
REGNO DI NAPOLI (1734-1799 e 1799-1806)
1734-1759: Carlo III di Borbone (già duca di Parma e Piacenza dal 1731, re di Napoli e Sicilia poi re di Spagna, dal 1759)
1759-1799: Ferdinando IV di Borbone
per documentazione di questo periodo la ricerca può essere estesa a soggetti produttori del periodo precedente
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REGNO DI SICILIA (1282-1412)
1282: scoppia a Palermo la rivolta detta dei “vespri siciliani” che porta alla cacciata dei francesi dall’isola; mentre Carlo I d’Angiò diventa re di Napoli, Pietro d’Aragona è incoronato re di Sicilia; la crisi del potere centrale favorisce la nascita del Comune di Palermo
1302 (pace di Caltabellotta): a seguito della pace di Caltabellotta, con cui si conclude la guerra del “vespro” tra Angioini e Aragonesi, viene sancita la separazione tra i due regni; in Sicilia Federico d’Aragona viene incoronato re di Trinacria, in quanto il titolo di re di Sicilia resta agli Angiò di Napoli; la casa d’Aragona, già padrona delle Baleari, conferma il dominio sulla Sicilia e ottiene poi l’investitura feudale dal papa per la Sardegna e la Corsica
1372: Giovanna I, regina di Napoli, riconosce l’autonomia della Sicilia; il titolo di re di Sicilia passa a Federico III d’Aragona, mentre agli Angiò resta il titolo di re di Napoli
VICEREGNO DI SICILIA (1412-1812)
1412-1516: la Sicilia viene annessa direttamente alla corona d’Aragona con Ferdinando I d’Aragona, re d’Aragona e di Sardegna, e perde la sua autonomia (nel 1512, Ferdinando il Cattolico unifica il Regno d’Aragona con quello di Castiglia, dando inizio al Regno di Spagna); dal 1412 la Sicilia è retta da un viceré
1516-1700: la Sicilia passa sotto la dominazione spagnola con Carlo V d’Asburgo, dal 1516 re di Spagna, dal 1519 di Germania e d’Austria, poi imperatore; unita, nel 1556, agli Asburgo di Spagna
1700-1713: la Sicilia passa a Filippo IV di Borbone, re di Spagna
1713 (trattato di Utrecht)-1718: la Sicilia è sotto il dominio sabaudo, con Vittorio Amedeo, duca di Savoia e Piemonte
1718-1734: dominazione austriaca, con Carlo VI d’Austria, fratello di Giuseppe I d’Asburgo, imperatore e re di Germania
1734-1812: dominazione borbonica, con Carlo di Borbone, già duca di Parma e Piacenza, dal 1731, re di Napoli e Sicilia dal 1734 e re di Spagna dal 1759
1812: viene concessa la costituzione
1812-1814: la Sicilia è retta da Francesco Gennaro, vicario generale del regno
Va rilevato come nel 1412, agli inizi del viceregno, si trova già consolidata l'organizzazione politico amministrativa che, formatasi nel periodo della monarchia a partire dal 1130, sarà destinata a durare parecchi secoli, sia pure con adattamenti e lente trasformazioni. Pochi sono infatti, come si vedrà, gli istituti nuovi introdotti durante la dominazione spagnola nei secc. XVI-XVII. I Savoia e poi gli Austriaci, mediante nuove ""giunte"" o ""deputazioni"", tentarono nei primi decenni del sec. XVIII riforme soprattutto sul piano sociale ed economico; più ampia opera fu tentata dai Borboni, specialmente a partire dalla fine del sec. XVIII sotto l'influsso del riformismo illuminato, finché nel 1812, durante l'occupazione inglese, si giunge alla votazione da parte del parlamento della nota costituzione Per più ampie notizie sulle istituzioni amministrative in Sicilia cfr. il già ricordato lavoro manoscritto del Cosentino (prezioso perché riporta la divisione in serie e la consistenza dei fondi prima del disordine e delle gravi perdite causate dalla seconda guerra mondiale) e, oggi, l'articolo citato della Baviera Albanese nel quale sono contenuti riferimenti alla documentazione della "" amministrazione superiore "" negli Archivi di Barcellona, Simancas, Madrid, Torino, Vienna, Napoli. Per quanto riguarda l'amministrazione locale, si ricorda che presso il comune di Palermo vi e ancora l'antico archivio, con atti a partire dal sec. XIV: F. POLLACI NUCCIO, Dell'archivio comunale, suo stato, suo ordinamento, Palermo 1872 [ristampato in Seminario di storia del risorgimento della facoltà di magistero dell'università di Palermo, n.s., III (1967), pp. 212-299]
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7 mag.-16 ott. 1796: Ercole III d’Este lascia il 7 maggio Modena affidata a un Consiglio di governo, detto anche Reggenza estense, che dura fino all’entrata delle truppe francesi nella città, l’8 ottobre 1796; l’11 ottobre viene istituito un Comitato provvisorio di governo; dal 22 ott. 1796 Modena e Reggio costituiscono un’unica circoscrizione territoriale e, pertanto, il Comitato provvisorio di governo istituito l’11 ottobre 1796 a Modena diventa Comitato provvisionale di governo di Modena e Reggio che opera fino all’unione delle due città con la Repubblica cisalpina (giugno 1797)
19 giu.-16 ott. 1796: le truppe francesi entrano a Bologna il 19 giugno e conservano l’istituzione del Senato, con alcune modifiche, fino al giugno 1797
ago.-16 ott. 1796: Reggio, insorta nell’agosto 1796, partecipa insieme a Modena, Bologna e Ferrara al primo congresso cispadano che si tiene a Modena nei giorni 16-18 ott. 1796
16 ott. 1796: nel primo congresso cispadano si costituisce il 16 ott. 1796 la Confederazione cispadana; viene istituita la Giunta di difesa generale in Bologna come organo principale della Confederazione cispadana, alle dirette dipendenze di Napoleone che opera contemporaneamente, spostando la propria sede, a Bologna, Ferrara, Modena e Reggio; durante il secondo congresso cispadano tenuto a Reggio (27 dic. 1796-9 gen. 1797) la Confederazione diventa il 27 dic. 1796 Repubblica cispadana; il 28 apr. 1797 il Corpo legislativo elegge il Direttorio esecutivo e, a fine maggio, il Comitato centrale della Repubblica cispadana, in Bologna; alla cessazione del Senato, il 1° giu. 1797, si costituisce l’Amministrazione centrale del dipartimento del Reno, con capoluogo Bologna, che continua a operare anche dopo la sua annessione alla Repubblica cisalpina, il 27 lug. 1797; i congressi cispadani hanno sede alternativamente nelle due città; nel terzo congresso cispadano tenuto a Modena (21 gen.-1° mar. 1797) si discute e si approva la costituzione, poi sottoposta al vaglio di Napoleone; si introduce l’ordinamento dipartimentale con l’istituzione dei dipartimenti del Crostolo, Reggio, del Reno, Bologna, del Po, Ferrara, e si stabilisce altresì che Massa e Carrara entrino a far parte della Repubblica cispadana, diventando Massa capoluogo del dipartimento di Luni; vengono poi istituiti anche i dipartimenti del Serchio (Castelnuovo), del Finale (Pavullo), delle Terme (Vergato), del Panaro (Modena), del Padusa (Cento) e del Santerno (Imola)
19 feb.-lug. 1797: a seguito della pace di Tolentino (19 feb. 1797) la Romagna viene unita alla Repubblica cispadana; viene istituita a Ravenna, nel feb. 1797, l’Amministrazione centrale dell’Emilia la cui sede, il 18 apr. 1797, viene trasferita a Forlì
19 mag. 1797: Napoleone ordina che la Romagna, ottenuta a seguito del trattato di Tolentino (19 feb. 1797), venga unita alla Repubblica cispadana, mentre Modena, Reggio e Massa-Carrara debbono essere unite alla Repubblica transpadana (ex-Ducato di Milano) per costituire la Repubblica cisalpina, che verrà proclamata il 29 giugno successivo; dal 19 mag. 1797 i territori unificati di Modena e Reggio tornano a separarsi, assumendo la denominazione di dipartimento del Panaro, Modena, e di dipartimento del Crostolo, Reggio
29 giu. 1797: Modena, Reggio e Massa-Carrara passano alla Repubblica cisalpina
27 lug. 1797: Bologna, Ferrara e anche le città della Romagna vengono unite alla Repubblica cisalpina
- 1. dipartimento del Crostolo, Reggio
- 2. dipartimento di Finale, Pavullo
- 3. dipartimento di Luni, Massa e Carrara (dal mar. 1797)
- 4. dipartimento del Padusa, Cento
- 5. dipartimento del Panaro, Modena
- 6. dipartimento del Po, Ferrara
- 7. dipartimento del Reno, Bologna (dal 1° giu. 1797)
- 8. dipartimento del Santerno, Imola
- 9. dipartimento del Serchio, Castelnuovo
- 10. dipartimento delle Terme, Vergato
istituiti per le province della Romagna, l’8 giu. 1797:
- 11. dipartimento della Marecchia
- 12. dipartimento del Montone
- 13. dipartimento del Savio, Ravenna
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1796-15 feb. 1798:
Napoleone nella sua discesa in Italia occupa dapprima, nel 1796, quei territori dello Stato della Chiesa, le legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna, che unite alle città del Ducato estense, Modena e Reggio, danno vita alla Repubblica cispadana, confluendo poi nella Repubblica cisalpina; segue l’occupazione delle Marche ove a Pesaro, il 4 feb. 1797, viene insediata una Amministrazione centrale della provincia di Urbino, con sede a Pesaro; ad Ancona, il 10 feb. 1797, Napoleone organizza la Municipalità; di fronte allo sfaldamento dello Stato il papa Pio VI accetta le condizioni della pace di Tolentino (19 feb. 1797), in base alla quale si stabilisce la definitiva cessione alla Francia di Avignone, nonché di Bologna, Ferrara e Romagna (dapprima promesse alla Repubblica di Venezia) e l’occupazione militare di Ancona che, dal 17 nov. 1797, diventa Repubblica anconetana, estesa a tutta che tende ad estendersi verso tutta la Marca; sotto la spinta di varie municipalità si costituisce il 22 gen. 1798 il “governo dei paesi riuniti” che riunisce le varie componenti del territorio marchigiano incluso l’Urbinate, restando fuori i territori fermani, ascolani e camerunesi; prendendo a pretesto l’uccisione del gen. Duphot, il 28 dic.1797, da parte di soldati pontifici; sulla base di disposizioni del Direttorio al gen. Berthier dell’11 gen. 1798, viene avviata una spedizione che arriva alle porte di Roma, senza sostanziali resistenze, finché il 10 feb. 1798 vengono dettate le condizioni della resa, che vengono accettate; decade la Congregazione di governo e viene ricostituita la Guardia civica; il giorno dopo il papa ricostituisce una nuova Congregazione di governo del tutto impotente; il 15 feb. 1798 un’adunanza popolare in Campidoglio proclama decaduto il potere temporale e costituisce la Repubblica romana;
15 feb. 1798-29 set. 1799:
con la proclamazione della Repubblica romana si ricostituisce uno Stato che, salvo le città confluite nella Repubblica cispadana e poi passate alla Repubblica cisalpina, recupera i territori che avevano fatto parte dello Stato della Chiesa, inclusi quelli della Repubblica anconetana, nel mar. 1798, e del governo dei paesi riuniti, tranne Pesaro che, come le legazioni, viene annessa alla Repubblica cisalpina; il 17 mar. 1798 viene pubblicata la costituzione repubblicana; le magistrature centrali della Repubblica romana ricalcano il modello della Repubblica cisalpina, assegnando il potere legislativo a due camere (Senato e Tribunato), il potere esecutivo al Consolato da cui dipendono quattro ministeri (giustizia e polizia, interno, finanze, guerra marina e affari esteri) e il potere giudiziario ai tribunali, mentre assumono un particolare rilievo i “grandi questori” e i commissari preposti alla grande contabilità; il territorio è diviso in otto dipartimenti, del Metauro (Ancona), del Musone (Macerata), del Tronto (Fermo), del Trasimeno (Perugia), del Clitunno (Spoleto), del Cimino (Viterbo), del Tevere (Roma), del Circeo (Anagni); i dipartimenti sono divisi in cantoni e i cantoni in comuni, retti da una municipalità, salvo quelli minori; nella primavera del 1798 hanno inizio diffuse ribellioni antifrancesi e antigiacobine, determinate anche dalla fame e dalla mancanza di lavoro, tenute a fatica dalle truppe francesi sotto controllo; nel dic. 1798 Roma occupata per pochi giorni dalle truppe napoletane; nelle ultime settimane della Repubblica (lug.-ago. 1799) il Consolato è sostituito da un Comitato di guerra e finanze, poi da un Comitato provvisorio di governo costituito da tutti i ministri
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a) Occupazione francese (1796) poi Governo provvisorio piemontese e commissario civile del Direttorio (dic. 1798- 2 apr. 1799), poi Direttorio e governo del commissario Musset (2 apr.-3 mag. 1799), poi Direttorio e amministrazione generale del Piemonte (3 mag.-26 mag. 1799)
1796-1798: la Francia, in guerra con l’Austria, avvia nella primavera del 1796 la campagna d’Italia, affidandone il comando a Napoleone Bonaparte che ottiene subito una facile vittoria contro il Regno di Sardegna, costretto all’armistizio di Cherasco (28 apr. 1796) e poi alla pace di Parigi (15 mag. 1796), con la quale la Francia ottiene Nizza e Savoia; i francesi proseguono verso la Lombardia
9 dic. 1798-apr. 1799: a seguito dell’occupazione militare francese in Piemonte, il 9 dicembre 1798, Carlo Emanuele IV, dopo aver perduto nel 1796 il ducato di Savoia e la contea di Nizza, cede alla Francia anche gli ultimi Stati di terraferma; il comandante in capo dell’Armata d’Italia, gen. Joubert, istituisce a Torino un Governo provvisorio piemontese (10 dicembre) che ripartisce in cinque comitati i rami dell’amministrazione (sicurezza pubblica, polizia generale, annona e soccorsi all’indigenza; legislazione, giustizia, istruzione pubblica e culto; finanze, commercio, agricoltura, arti e manifatture; amministrazione dei pubblici, acque e strade; relazioni estere; guerra), istituisce la Guardia nazionale alle dipendenze delle Municipalità, muta le Intendenze provinciali in Direzioni centrali di finanze per coordinare le finanze locali e invia un commissario governativo presso ogni Direzione provinciale; l’ambasciatore francese diventa Commissario civile del Direttorio in Piemonte con cui deve misurarsi il governo repubblicano, che aspira a governare in maniera autonoma mantenendo inoltre contatti con le forze rivoluzionarie italiane, spesso in contrasto con le autorità militari, il comandante della piazza di Torino e il generale divisionario comandante del Piemonte
2 apr.-3 mag. 1799: il 2 aprile il Direttorio sopprime il Governo provvisorio e lo sostituisce con il commissario civile e politico Joseph M. Musset, direttamente dipendente dal Ministero dell’interno, chelmente le precedenti Direzioni di finanze organizza il territorio in quattro dipartimenti; ogni dipartimento è affidato a una Amministrazione centrale che, sotto il controllo del commissario governativo è unica responsabile della vita amministrativa del dipartimento, sostituendo integ
3-26 mag. 1799: con l’avvicinarsi dell’esercito austro-russo il potere torna ai militari e, dopo la partenza del Musset il commissario viene sostituito con una Amministrazione generale del Piemonte, con sede a Pinerolo
- 1. dipartimento dell’Eridano, Torino, include la Valle d’Aosta
- 2. dipartimento della Sesia, Vercelli, include Ivrea, Biella e l’Alto e Basso Novarese, Vigevanasco e
Valsesia
- 3. dipartimento della Stura, Mondovì, include Cuneo, Oneglia e Saluzzo
- 4. dipartimento del Tanaro, Alessandria, include il Tortonese, Asti e il Monferrato
b) Occupazione austro-russa (26 mag. 1799-16 giu. 1800), poi Governo provvisorio piemontese (giu. 1800-set.1802), poi annessione del Piemonte alla Repubblica francese (11 set. 1802)
26 mag. 1799-16 giu. 1800: ai primi di maggio l’esercito austro-russo entra in Piemonte e avanza, nonostante la resistenza del gen. Moreau, favorito anche dall’insorgenza antifrancese nelle campagne; il 26 maggio gli austro-russi entrano a Torino e istituiscono un Consiglio supremo per Sua Maestà, Carlo Emanuele IV, rappresentato da Carlo Francesco Thaon di S. Andrea, ma concentrano i poteri in un Commissario imperiale e nel comandante delle truppe di occupazione; dura è la repressione dei repubblicani e l’epurazione dai pubblici uffici che si accompagna all’obiettivo di annullare tutta la attività legislativa repubblicana
giu. 1800-set. 1802: dopo la battaglia di Marengo (14 giugno 1800) i francesi, riconquistato il Piemonte, provvedono a istituire un Governo provvisorio piemontese formato da una Commissione di governo, con potere esecutivo, ed una Consulta, con potere legislativo, entrambe presiedute dal gen. Dupont, ministro straordinario francese a Torino; anche questo governo provvisorio cerca di governare con una certa autonomia, mantenendo varie istituzioni sabaude e ripristinando alcune delle leggi più rilevanti del precedente governo repubblicano; nel quadro della grave situazione economica, assume particolare importanza la vendita dei beni nazionali, a seguito della demanializzazione dei beni ecclesiastici, i cui proventi vengono contesi alla Commissione di governo dal gen. Jourdan, che ha sostituito il Dupont; il 4 ott. 1800 il gen. Jourdan sostituisce la Commissione di governo con una Commissione esecutiva ristretta che manifesta immediatamente la volontà di legare direttamente le sorti del Piemonte alla Francia; a livello centrale i ministeri vengono sostituiti da Segreterie generali rette da un reggente e sotto il diretto controllo della Commissione esecutiva, mentre a livello locale i Commissari governativi estendono progressivamente le loro funzioni, sostituendosi di fatto agli intendenti, ancor prima della loro formale soppressione; il 25 dic. 1800 viene abolita la Consulta fino al termine delle ostilità;nella pace di Lunéville (9 feb. 1801) non si fa alcun cenno circa le sorti del Piemonte; riprendono diffuse rivolte antifrancesi; la morte dello zar, il 24 marzo, priva Carlo Emanuele IV di una importante protezione e, pochi giorni dopo, viene presa la decisione di trasformare il Piemonte in Divisione militare francese, il cui annuncio ufficiale è dato con decreto del 19 apr. 1801; il Piemonte diventa così 27° Divisione militare e il suo territorio, con decreto 26 apr. 1801, viene articolato in sei dipartimenti che corrispondono a prefetture, articolate in sottoprefetture; vengono anche regolate le amministrazioni comunali; accanto al prefetto, i cui poteri sono amplissimi, vengono istituiti organi collegiali dotati di limitati poteri e di nessuna autonomia, il Consiglio di prefettura, il Consiglio di dipartimento e il consiglio di circondario; l’amministrazione comunale è affidata al maire (sindaco), nominato da Napoleone nelle città con oltre 5.000 abitanti e dal prefetto nei comuni più piccoli, e uno o più vicesindaci, affiancati dal Consiglio municipale commissari straordinari francesi vengono inviati per riorganizzare l’assetto amministrativo e ad inviati speciali francesi viene dato l’incarico di ispezionare i dipartimenti al fine di procedere a misure di centralizzazione; la Commissione di governo viene abolita e si ricostituisce l’Amministrazione generale del Piemonte; tra il settembre e il dicembre 1801 viene riorganizzato il sistema giudiziario che introduce le istituzioni francesi; nell’agosto 1802 vengono soppressi tutti gli ordini religiosi ancora esistenti e i loro beni vengono dichiarati nazionali
11 set. 1802-2 dic. 1804: con senato-consulto organico dell’11 set. 1802, reso pubblico con decreto consolare del 22, in coincidenza con la nascita della Repubblica francese, i sei dipartimenti vengono annessi alla Repubblica francese e, nove giorni dopo, il dipartimento dell’Eridano diventa dipartimento del Po; il Piemonte fa capo alla Francia mediante l’Ufficio dell’amministrazione generale della 27° divisione e il Governatore generale, oltre che mediante i prefetti e i sottoprefetti posti a capo dei dipartimenti e dei circondari; le nuove norme approvate in Francia entrano in vigore anche in Piemonte, mentre, nonostante una esplicita legge di estensione del 28 mar. 1804, non viene esteso l’intero corpo normativo francese precedente, richiedendo una successiva specifica introduzione; al gen. Jourdan subentra, nella direzione dell’Ufficio dell’amministrazione generale della 27° divisione, il gen. Menou, più attento alle esigenze locali
decreto 26 apr. 1801:
- 1. dipartimento dell’Eridano poi del Po, Torino (dal 20 set. 1802)
- 2. dipartimento della Stura, Cuneo
- 3. dipartimento di Marengo, Alessandria
- 4. dipartimento del Tanaro, Asti
- 5. dipartimento della Dora, Ivrea
- 6. dipartimento della Sesia, Vercelli
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a) Governo provvisorio (14 giu. 1797-16 gen. 1798), poi Repubblica ligure democratica (17 gen. 1798-6 dic. 1799)
14 giu. 1797-16 gen. 1798: il 14 giugno viene istituito un Governo provvisorio rivoluzionario affidato ad una Commissione che cessa alla fine di novembre 1797, con la pubblicazione della nuova costituzione che porta alle elezioni dei nuovi organi costituzionali che porta alla nascita della Repubblica ligure democratica
17 gen. 1798-6 dic. 1799: nella Repubblica ligure democratica, che dura dal 17 gen. 1798 al 6 dic. 1799, il potere legislativo è affidato al Consiglio dei sessanta o dei giuniori e al Consiglio dei seniori di trenta membri, mentre un Direttorio di cinque membri esercita il potere esecutivo, le cui funzioni sono fissate con l. 16 feb. 1798 e alle cui dipendenze sono posti quattro ministeri; l’organizzazione territoriale viene stabilita con l. 18 apr. 1798; a seguito del colpo di stato di Napoleone in Francia, nel nov. 1799, il Consiglio dei sessanta il 7 dic.1799 e, successivamente, il Consiglio dei seniori dichiarano abolito il Direttorio, sospendono i consigli e affidano il governo a una Commissione con potere legislativo ed esecutivo, ristretta durante l’assedio del 1800 a una Deputazione militare; il 4 giu. 1800 Genova è occupata dagli austriaci
Governo provvisorio (14 giu. 1797-16 gen. 1798):
- 1. dipartimento di Genova
- 2. dipartimento delle Palme, San Remo (Porto Maurizio dal dic. 1797 al gen. 1798)
- 3. dipartimento del Letimbro, Savona
Repubblica ligure democratica (17 gen. 1798-6 dic. 1799); l. 28 apr. 1798:
- 1. giurisdizione di Genova
- 2. giurisdizione delle Arene Candide, Finale (Finale Marina)
- 3. giurisdizione del Bisagno,San Martino d’Albaro
- 4. giurisdizione di Capo delle Mele, Alassio
- 5. giurisdizione di Centa (Albenga)
- 6. giurisdizione della Cerusa, Voltri
- 7. giurisdizione di Colombo, Savona
- 8. giurisdizione dell’Entella, Chiavari
- 9. giurisdizione della Frutta, Recco
- 10. giurisdizione del Golfo di Venere, La Spezia
- 11. giurisdizione di Gromolo e Vara, Sestri (Sestri Levante)
- 12. giurisdizione del Lemmo, Novi
- 13. giurisdizione della Lunigiana, Sarzana
- 14. giurisdizione di Mesco, Levanto
- 15. giurisdizione dei Monti liguri occidentali, La Croce
- 16. giurisdizione dei Monti liguri orientali, Ottone
- 17. giurisdizione delle Palme, San Remo, include Ventimiglia
- 18. giurisdizione del Polcevera, Rivarolo
- 19. giurisdizione del Tigullio, Rapallo
- 20. giurisdizione degli Ulivi, Porto Maurizio
b) Occupazione austriaca (4-24 giu. 1800), poi Governo provvisorio (26 giu. 1800-30 lug. 1802), poi Repubblica ligure democratica (ago. 1802-6 giu. 1805)
4-24 giu. 1800: occupata dagli austriaci, il 4 giu. 1800, Genova diventa sede di una Reggenza provvisoria imperiale austriaca che dura fino alla battaglia di Marengo e lascia la città il 24 giugno
26 giu. 1800-30 lug. 1802: il 26 giugno il ministro plenipotenziario francese presso la Liguria, Gian Francesco Déjan, impone su disposizioni del Bonaparte, una Commissione straordinaria di governo, con poteri esecutivi, di sette membri, e una Consulta legislativa di trenta membri, presieduta dal ministro francese, quattro magistrati, per le relazioni estere, per la giustizia, per l’interno, per le finanze; la Consulta legislativa ha l’incarico di preparare una nuova costituzione, emanando nel frattempo i provvedimenti più urgenti; la nuova costituzione entra in vigore nel giugno 1802
ago. 1802-6 giu. 1805: la nuova costituzione, con cui si costituisce nuovamente la Repubblica ligure democratica, prevede un Senato, presieduto da un doge, composto di trenta membri e diviso in cinque magistrature, Magistrato supremo, Magistrato di giustizia e legislazione, Magistrato dell’interno, Magistrato delle finanze, Magistrato di guerra e marina, mentre non entra in funzione la Consulta legislativa; il territorio viene diviso in sei giurisdizioni: del Centro, del Lemmo, dell’Entella, del Golfo di Venere, di Colombo, degli Ulivi, articolati in cantoni e comuni; in ogni cantone è istituita una municipalità, in ogni comune un consiglio comunale; pur godendo di autonomia amministrativa, la Repubblica è posta sotto il controllo politico dell’ambasciatore francese Cristoforo Saliceti
Repubblica ligure democratica (ago. 1802-6 giu. 1805):
- 1. giurisdizione del Centro, Genova
- 2. giurisdizione di Colombo, Savona
- 3. giurisdizione dell’Entella, Chiavari
- 4. giurisdizione del Golfo di Venere, Sarzana, include La Spezia
- 5. giurisdizione del Lemmo, Novi (Novi Ligure)
- 6. giurisdizione degli Ulivi, Oneglia, include Porto Maurizio, San Remo, Ventimiglia
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a) Occupazione francese nel Ducato di Milano (21 mag. 1796-29 giu. 1797), poi Repubblica cisalpina (29 giu. 1797-26 apr. 1799)
9-21 mag. 1796: il commissario imperiale e ministro plenipotenziario per la Lombardia, prima di lasciare Milano, istituisce una Giunta interinale di governo (9-21 maggio 1796) che opera fino all’entrata dei francesi a Milano
21 mag. 1796-29 giu. 1797: Napoleone, entrato in Milano il 21 maggio, dichiara l’annessione dei territori alla Repubblica francese, istituendo al posto delle magistrature disciolte l’Agenzia militare come organo supremo di governo, ma dipendente dal comandante delle truppe francesi di stanza in Lombardia e preposta soprattutto all’esazione delle contribuzioni di guerra e alla loro ripartizione e alla riscossione delle imposte; unico precedente organismo provvisoriamente conservato è la Congregazione di stato; a livello locale viene istituita una Municipalità di sedici membri e un sindaco, posta sotto la presidenza del comandante di Piazza, che secondo le intenzioni del Bonaparte deve avere compiti amministrativi, mentre di fatto assume un ruolo politico; a fine agosto viene soppressa l’Agenzia militare e, venuta meno anche la Congregazione di stato, viene istituita l’Amministrazione generale per la Lombardia (o Congregazione dello Stato o Congresso dello Stato) che in pochi mesi assume tutte le competenze politiche e civili, mentre la Municipalità viene ricondotta ai compiti amministrativi; l’Amministrazione generale per la Lombardia, che rappresenta tutte le province lombarde, assume il peso di tutte le rendite e imposte, impegnandosi a versare ogni mese la somma di un milione di lire all’armata d’Italia per il fabbisogno dell’esercito francese, e nei limiti di una intesa con il comandante militare francese in Lombardia opera come un vero e proprio governo provvisorio; il 27 set. 1796 l’Amministrazione generale della Lombardia lancia un concorso per stabilire quale dei governi liberi meglio si addica alla felicità d’Italia; nel profondo contrasto tra una visione liberale e regionale e una democratica e nazionale, prevale la prima che si conforma all’iniziativa politica della Francia direttoriale
29 giu. 1797-26 apr. 1799: il 29 giugno viene proclamata la Repubblica cisalpina, la cui costituzione è approvata l’8 luglio seguente; vengono istituiti a Milano un Direttorio esecutivo con potere di nomina e revoca dei ministri, i ministeri degli esteri, di polizia (poi unito a quello della giustizia), di finanza, di giustizia, della guerra, dell’interno; in attesa della nomina del Corpo legislativo, che verrà istituito il 9 novembre 1797 (con membri nominati da Bonaparte su liste presentate dai Comitati), le relative funzioni vengono affidate a quattro Comitati consulenti; con il trattato di Campoformio (19 ott. 1797) la Repubblica cisalpina ottiene il riconoscimento come “potenza indipendente” dall’Austria; l’ordinamento territoriale prevede l’istituzione di undici dipartimenti che includono oltre ai territori lombardi anche Modena, Reggio e Massa, entrate subito a far parte della Repubblica cisalpina; altri cinque dipartimenti vengono istituiti il 27 luglio 1797, quando le altre città della Repubblica cispadana confluiscono nella Repubblica cisalpina; altri quattro, infine, dopo l’acquisizione di Mantova e, a seguito del trattato di Campoformio, di Bergamo, Brescia e territori del Veronese; successivamente entrano a far parte della Repubblica cisalpina la Valtellina con le contee di Chiavenna e Bormio, già appartenenti alla Svizzera, e Pesaro (dic. 1797), già appartenente allo Stato della Chiesa, come capoluogo di distretto nel dipartimento del Rubicone; il 1° set. 1798 viene approvata una nuova costituzione elaborata dall’ambasciatore Trouvé che non introduce particolari modifiche nelle istituzioni ma, anche se formalmente ispirata alla costituzione francese dell’anno III, ne ha abbandonato le istanze più democratiche e introduce notevoli limitazioni attraverso una regolamentazione minuziosa; a seguito della riforma del Trouvé i dipartimenti vengono ridotti a undici
9 luglio 1797:
- 1. dipartimento dell’Adda, Lodi e Crema, alternativamente
- 2. dipartimento dell’Adda e Oglio, capoluogo da fissarsi
- 3. dipartimento delle Alpi Apuane, Massa
- 4. dipartimento dell’Alto Po, Cremona
- 5. dipartimento del Crostolo, Reggio
- 6. dipartimento del Lario, Como
- 7. dipartimento della Montagna, Lecco
- 8. dipartimento dell’Olona, Milano
- 9. dipartimento del Panaro, Modena
- 10. dipartimento del Ticino, Pavia
- 11. dipartimento del Verbano, Varese
27 luglio 1797:
- 12. dipartimento dell’Alta Padusa, Cento
- 13. dipartimento del Basso Po, Ferrara
- 14. dipartimento del Reno, Bologna
- 15. dipartimento del Rubicone, Rimini
- 16. dipartimento del Lamone, Faenza
3 novembre 1797:
- 17. dipartimento del Serio, Bergamo
- 18. dipartimento del Mella, Brescia
- 19. dipartimento del Benaco, Desenzano (Desenzano sul Garda) con territori del Mantovano, del Bresciano e del Veronese
- 20. dipartimento del Mincio, Mantova (parte dei suoi territori passano ai dipartimenti dell’Alto Po e del Benaco)
5 settembre 1798, i venti dipartimenti sono ridotti a undici:
- 1. dipartimento dell’Olona, Milano
- 2. dipartimento dell’Adda e Oglio, Como
- 3. dipartimento dell’Alto Po, Cremona
- 4. dipartimento del Basso Po, Ferrara
- 5. dipartimento del Crostolo, Reggio (include Massa)
- 6. dipartimento del Mella, Brescia
- 7. dipartimento del Mincio, Mantova
- 8. dipartimento del Panaro, Modena
- 9. dipartimento del Reno, Bologna
- 10. dipartimento del Rubicone, Forlì
- 11. dipartimento del Serio, Bergamo
b) Occupazione austro-russa (1799-1800)
1799-1800: l’assenza di Napoleone dall’Italia, impegnato dall’estate 1798 nella spedizione in Egitto, favorisce la costituzione della seconda coalizione antifrancese (Austria, Inghilterra, Russia, Prussia, Svezia, Regno di Napoli e Turchi); nel corso del 1799 le forze della coalizione fanno crollare tutte le repubbliche democratiche sorte nella penisola, tranne quella di Genova; nell’ott. 1799 Napoleone torna in Francia e, con il colpo di Stato del 18 brumaio (9 nov. 1799) il governo francese viene affidato a tre consoli, uno dei quali è Napoleone; nella primavera del 1800 Napoleone riprende la guida delle truppe francesi in Italia, riportando una vittoria decisiva a Marengo (14 giu. 1800) da cui riprende l’espansione in Italia
28 apr. 1799-2 giu. 1800: con l’entrata delle truppe austro-russe a Milano il Direttorio fugge in Francia; vengono istituite una Commissione imperiale e una Reggenza provvisoria; nell’aprile 1799 le truppe austro-russe assediano Mantova che il 28 luglio è abbandonata dai francesi; dopo la battaglia di Marengo i francesi riconquistano parte del territorio mantovano, mentre la città resta agli austriaci fino alla pace di Lunéville (9 feb. 1801)
12 mag. 1799-25 giu. 1800: a Modena e a Reggio, a seguito dell’occupazione austro-russa, si cerca di ricostituire lo Stato precedente con l’istituzione di una Reggenza imperiale che dura fino al ritorno dei francesi, quando Modena entra nuovamente nella Repubblica cisalpina
7 giu. 1799-23 set. 1801: a Pesaro scoppia una rivolta sostenuta dalla flotta austriaca che porta alla cacciata delle truppe cisalpine; viene instaurato un governo provvisorio austriaco e il 27 giugno 1799 la città viene restituita dall’Austria al papa; dopo la battaglia di Marengo i francesi rientrano nella città il 20 luglio 1800, ma il successivo 6 agosto torna il delegato apostolico; il governo repubblicano viene di nuovo ripristinato il 18 agosto e dura fino al ritorno degli austriaci il 6 dicembre che sopprimono la municipalità; il 25 gennaio 1801 i francesi riprendono la città e vi rimangono fino al 23 settembre quando la città viene definitivamente restituita allo Stato della Chiesa
30 giu. 1799-giu. 1800: le truppe austro-russe entrano a Bologna il 30 giu. 1799 e vi istituiscono una Reggenza provvisoria che dura fino al ritorno dei francesi nel giugno 1800
c) Repubblica cisalpina (4 giugno 1800-26 gennaio 1802)
2 giu. 1800-26 gen. 1802: Napoleone, dopo aver consolidato in Francia il regime consolare, scende in Italia ed entra a Milano, il 2 giugno, senza colpo ferire; a seguito della vittoria decisiva di Marengo (14 giugno 1800) sugli austriaci, Napoleone libera la Lombardia e l’Emilia Romagna ricostituendo la Repubblica cisalpina, accresciuta dei territori sulla riva sinistra della Sesia, Novara (7 set. 1800) e, a seguito della pace di Luneville (9 feb. 1801), di metà del Veronese e del Polesine di Rovigo, oltre alla riconquista della città di Mantova rimasta agli austriaci, mentre il territorio mantovano era stato riconquistato dopo la battaglia di Marengo; a livello territoriale viene mantenuta l’organizzazione in undici dipartimenti, cui si aggiunge quello dell’Agogna con capoluogo Novara; il governo della Repubblica è affidato a una Commissione straordinaria di governo, con poteri esecutivi, cui si affianca un Comitato di governo; sono preposti ai rispettivi dipartimenti il ministro dell’interno e quello della giustizia; in luogo dell’ambasciatore francese c’è un proconsole con poteri molto ampi; il potere legislativo è affidato ad una Consulta legislativa di cinquanta membri, con l’incarico di preparare un progetto di costituzione, il cui processo di elaborazione sarà particolarmente travagliato (progetto del Governo provvisorio dell’agosto 1800, schemi tracciati da Roederer, presidente di sezione del Consiglio di Stato francese, progetto approvato dalla Consulta di stato nell’ottobre 1801 e letto ai delegati nei comizi di Lione); il 14 ott. 1801 Napoleone ordina che venga convocata a Lione una Consulta straordinaria cisalpina con 500 delegati che debbono riunirsi l’11 novembre per avallare, in sostanza, il testo costituzionale già discusso e approvato dalla Consulta e dal Comitato di governo di Milano e che, invece, porta alla proposta di molti emendamenti da parte dei delegati
d) Repubblica italiana (26 gen. 1802-19 mar. 1805)
26 gen. 1802: viene proclamata la Repubblica italiana, nel corso dell’assemblea della Consulta straordinaria presieduta da Napoleone che ne assume la presidenza; vicepresidente è Francesco Melzi d’Eril; il testo costituzionale, trasformato nel tempo in senso più autoritario e accentratore, è per Napoleone uno strumento di potere che ricalca le linee della costituzione francese dell’anno VIII: prevalenza del potere esecutivo sul potere legislativo e riconoscimento della religione cattolica come religione di Stato; vengono istituiti i Collegi dei possidenti, dei dotti e dei commercianti su base censitaria e corporativa dal cui seno viene tratta una commissione detta Censura che procede all’elezione dei candidati agli impieghi costituzionali su liste preparate dai tre collegi con poteri di alta corte di accusa e di tribunale censorio per i pubblici funzionari; i Collegi nominano anche la Consulta di stato, di otto membri, con competenza soprattutto sui trattati internazionali; il Corpo legislativo è composto di 75 membri nominati dai Collegi e nel suo seno è nominata la Camera degli oratori cui vengono comunicati i progetti di legge trasmessi dal governo; il potere è concentrato nel presidente della Repubblica cui spettano l’iniziativa di tutte le leggi, tutte le negoziazioni diplomatiche e l’esercizio esclusivo del potere esecutivo attraverso i ministri da lui nominati e revocati, preposti alla Segreteria di stato, all’interno, al culto, alle finanze; il presidente nomina altresì il vicepresidente, gli agenti civili e diplomatici, il Consiglio legislativo cui spetta un voto deliberativo sui progetti di legge del presidente, i capi dell’armata e dei generali e la presidenza della Consulta di stato; a livello territoriale viene mantenuta l’organizzazione per dipartimenti, ma con l’introduzione del prefetto (decreti 7 mag. 1802 e 24 lug. 1802) questi perdono l’ampia autonomia di circoscrizioni provinciali del triennio rivoluzionario per diventare circoscrizioni amministrative del governo sotto il costante controllo del potere esecutivo centrale; il prefetto è affiancato da due luogotenenti, per gli affari amministrativi e per gli affari di polizia e contenzioso, e dal Consiglio di prefettura; vi è inoltre un Consiglio dipartimentale (non esistente in Francia) per il riparto delle imposte nazionali e dipartimentali, composto di 21 cittadini scelti da una deputazione di possidenti (di nomina governativa; viene introdotto il circondario, presieduto dal viceprefetto, non coincidente con il distretto, ove opera un cancelliere e un consiglio distrettuale; i comuni, con circoscrizioni territoriali legate a interessi locali o ad antichi confini, dipendono dall’autorità prefettizia e sono divisi in tre classi, in base alla popolazione, cui corrispondono municipalità costituite da un diverso numero di membri, mentre organo deliberante è il consiglio comunale
legge 15 mag. 1801:
- 1. dipartimento dell’Agogna, Novara (include anche Varallo e Intra)
- 2. dipartimento dell’Alto Po, Cremona
- 3. dipartimento del Basso Po, Ferrara (dal 1801 include anche il Polesine di Rovigo)
- 4. dipartimento del Crostolo, Reggio (include Massa-Carrara)
- 5. dipartimento del Lario, Como (include Varese, Sondrio e Valtellina)
- 6. dipartimento del Mella, Brescia
- 7. dipartimento del Mincio, Mantova (1801-1803: include una parte della città di Verona)
- circondario dell’Adige, Verona (dal 1803, sostanzialmente autonomo dal dipartimento del Mincio)
- 8. dipartimento dell’Olona, Milano (include Pavia)
- 9. dipartimento del Panaro, Modena
- 10. dipartimento del Reno, Bologna
- 11. dipartimento del Rubicone, Forlì (include tutta la Romagna e Pesaro)
- 12. dipartimento del Serio, Bergamo
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17 ott. 1797-26 dic. 1805:
a seguito del trattato di Campoformio (17 ott. 1797) Venezia e i territori del Veneto, del Friuli, dell’Istria, della Dalmazia, già appartenenti alla Repubblica, le isole già veneziane dell’Adriatico e le bocche di Cattaro vengono ceduti all’Austria; Bergamo, Brescia e Crema vengono cedute alla Repubblica cisalpina; l’Adige segna il confine tra la Repubblica cisalpina e il Veneto e, pertanto, il territorio veronese viene diviso in due parti, ad occidente e ad oriente del fiume; la parte occidentale passa alla Repubblica cisalpina, mentre quella orientale all’Austria; le città di Verona e Legnago passano interamente all’Austria; il 18 gen. 1798 le truppe austriache entrano a Venezia, ove viene instaurato un Governo provvisorio che si propone di sopprimere le istituzioni democratiche, ripristinando autorità e disposizioni in vigore al 1° gen. 1796; vengono confermati di massima i giudici civili e criminali, che però debbono attenersi alle disposizioni precedenti, mentre vengono disciplinati i tribunali di appello e si istituisce un Tribunale di revisione [revisorio]; il 19 gen. 1798 viene istituito un Governo aulico centrale provvisorio che opera fino al mese di settembre, anche se in base a sovrano comando del 31 mar. 1798, con cui si decide la soppressione delle amministrazioni e dei tribunali provvisori, si costituisce un Governo generale del Veneto, organo supremo dell’amministrazione, con competenza limitata agli affari più importanti; il territorio è articolato nelle province di Venezia, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Vicenza e Verona; a seguito del trattato di Lunéville (9 feb. 1801), che conferma sostanzialmente il trattato di Campoformio, la città di Verona viene divisa in due parti separate dal fiume, la parte occidentale in cui si ricostituisce la Municipalità entra a far parte della Repubblica cisalpina (nel dipartimento del Mincio), passando successivamente alla Repubblica italiana, mentre la parte orientale in cui si istituisce un Capitanato provinciale (1803-1805) e a livello comunale una Provveditoria di comune rimane all’Austria (Veronette); anche Rovigo e il Polesine passano alla Repubblica cisalpina; nel 1803 vengono istituiti a livello provinciale i capinati (o capitaniati) alle dipendenze del Governo generale del Veneto; a seguito della sconfitta di Austerlitz, l’Austria è costretta a firmare il trattato di Presburgo (26 dic. 1805) in base al quale deve cedere il Veneto, il Friuli e la parte ex-veneta dell’Istria alla Francia che assegna questi territori al Regno d’Italia
Trattato di Campoformio (17 ott. 1797):
- Venezia
- Padova
- Rovigo
- Treviso
- Udine
- Verona
- Vicenza
- Istria
- Dalmazia
Trattato di Lunéville (9 feb. 1801):
- Venezia
- Padova
- Treviso
- Verona, solo in parte
- Vicenza
- Istria
- Dalmazia
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a) Principato vescovile di Trento e Principato vescovile di Bressanone, occupazioni francesi e austriache (5 set. 1796-9 feb. 1801), poi Principato vescovile di Trento e Principato vescovile di Bressanone (9 feb. 1801-26 dic. 1802)
5 set. 1796-9 feb. 1801:
i francesi entrano a Trento il 5 set. 1796 e vi istituiscono un governo provvisorio detto Consiglio di Trento, ma vengono cacciati il 5 novembre; il Principato è posto sotto l’amministrazione del conte del Tirolo e viene istituito un Imperial regio consiglio amministrativo; con la battaglia di Rivoli, nel gennaio 1797 i francesi tornano a Trento e, nel corso dell’anno, entrano nei territori del Principato vescovile di Bressanone, arrivando il 20 marzo anche a Bolzano (che apparteneva al Tirolo austriaco), ma vengono di nuovo scacciati nell’aprile; le truppe francesi tentano una seconda volta di entrare a Bolzano nei primi mesi del 1799, ma quasi subito vengono ricacciati dagli austriaci; a seguito di un breve ritorno francese, nel gennaio 1801 viene instaurato un Consiglio superiore del governo del Trentino e del Tirolo meridionale
9 feb. 1801-26 dic. 1802:
il Trentino e il Tirolo meridionale vengono abbandonati dai francesi a seguito del trattato di Lunéville (9 feb. 1801) e i Principati hanno un periodo di indipendenza; Trento è governata dal Consiglio aulico capitolare;
b) Monarchia asburgica, provincia del Tirolo (26 dic. 1802-26 dic. 1805) poi Regno di Baviera , provincia del Tirolo (26 dic. 1805-28 mag. 1810
26 dic. 1802-26 dic. 1805:
occupati da truppe austriache il 16 nov. 1802, in base alla convenzione di Parigi (26 dic. 1802) tra Francia e Austria, l’Austria ottiene i due Principati vescovili di Bressanone e di Trento; nonostante l’istanza presentata dal Magistrato di Trento, il 23 nov. 1802, per mantenere distinta l’amministrazione del Trentino, con patente imperiale 4 feb. 1803 i Principati di Trento e di Bressanone vengono uniti al Tirolo, andando a costituire un’unica Provincia del Tirolo; il dominio dei principi vescovi cessa a seguito della secolarizzazione del 15 feb. 1803; con patente 25 dic. 1803 viene stabilito il nuovo ordinamento giuridico che deve entrare in vigore il 1° mar. 1804; la provincia del Tirolo viene così suddivisa in sei circoli, Inn inferiore, con sede a Schwaz, Inn superiore, con sede a Imst, val d’Adige e Venosta, con sede a Bolzano, val d’Isarco e Pusteria, con sede a Brunico, circolo di Trento, con sede a Trento, circolo di Rovereto, con sede a Rovereto; il governo della provincia ha sede a Innsbruck che, a sua volta, dipende dalla Cancelleria aulica di Vienna
26 dic. 1805-28 mag. 1810:
in seguito al trattato di Presburgo (26 dic. 1805) la provincia del Tirolo, che comprende anche il Trentino, viene ceduta al Regno di Baviera; con ordinanza 21 giu. 1808 tutto il territorio viene diviso nei tre circoli dell’Inn, con capoluogo Innsbruck, dell’Eisack (Isarco), con capoluogo Bressanone e dell’Etsch (Adige), con capoluogo Trento, mentre con decreto re ale 21 nov. 1806 erano stati istituiti venti giudizi con funzioni giurisdizionali e di polizia; con ordine sovrano 30 mar. 1807 la val di Fassa viene staccata dal circolo di Eisack e aggregata al giudizio distrettuale di Cavalese; il Trentino acquista una configurazione omogenea, ma perde gli antichi statuti e le “carte di regola”; il 3 mar. 1809 viene introdotta la coscrizione obbligatoria che suscita ribellione, sporadica e passiva a Trento, sentita e connotata di forte rivendicazione del diritto consuetudinario in Tirolo, sotto la guida di Andrea Hofer; le truppe franco-italiane conquistano il territorio trentino-titolese, pongono fine all’insurrezione e creano le premesse per l’annessione al Regno d’Italia; in seguito alla pace di Schoenbunn (14 ott. 1809) il Regno di Baviera cede alla Francia tutti questi territori che, in seguito al trattato di Parigi (28 feb. 1810), vengono suddivisi tra Regno di Baviera e Regno d’Italia; Napoleone, che avrebbe preferito segnare il confine al Brennero, concorda nella cessione alla Baviera di gran parte del Tirolo settentrionale organizzato in un unico circolo che comprende la valle dell’Inn, la val Venosta, la valle dell’Isarco e la Pusteria; con decreto 28 mag. 1810 Napoleone sancisce l’unione al Regno d’Italia del Trentino e del Tirolo meridionale, che include Bolzano e il passo di Dobbiaco, attraverso il crinale della val di Fassa, costituiti in dipartimento dell’Alto Adige; con decreto vicereale 18 ago. 1810 Primiero e Dobbiamo vengono uniti al dipartimento del Piave
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1805-1814: Napoleone si fa incoronare re d’Italia il 26 mag. 1805; il Regno, retto da un sistema costituzionale a base aristocratica, strutturato sullo statuto della Francia consolare ed elaborato per uno Stato a carattere repubblicano viene a poco a poco adattato alla monarchia attraverso modifiche ed adattamenti realizzati con la pubblicazione di periodici statuti costituzionali (ben nove dal 15 mar. 1805 al 15 mar. 1810) in cui prevalgono le norme amministrative rispetto a quelle politiche e civili; nel maggio 1805 viene allontanato il Melzi d’Eril e la nuova carica di viceré è affidata al fedele Eugenio di Beauharnais, mentre Antonio Aldini è nominato segretario di stato e coordinatore di tutta l’amministrazione del Regno; Milano, capitale del Regno e pertanto sede degli organi centrali dello Stato, è un importante centro di affari e culturale; viene soppresso il Corpo legislativo elettivo, mentre viene istituito un nuovo organismo, il Consiglio di Stato, come suprema autorità sotto la direzione e la responsabilità di Napoleone; il Consiglio di stato, istituito con decreto 9 mag. 1805, è articolato in Consiglio dei consultori, Consiglio legislativo e Consiglio degli uditori; nel 1807 il Consiglio dei consultori è trasformato in Senato consulente, assemblea autonoma rispetto al Consiglio di Stato; vi sono poi la Cancelleria del consiglio del sigillo, la Segreteria di stato in Milano, i ministeri per l’interno, per il culto, per le finanze, per la giustizia, per il tesoro; la costituzione di Lione del 1802 prevedeva la redazione di vari codici legislativi, ma Napoleone respinge in blocco l’elaborazione teorica dei giuristi italiani, imponendo l’adozione dei testi francesi; nonostante la soppressione di conventi e congregazioni e la designazione dei vescovi, vengono garantiti protezione e favori agli ecclesiastici e mantenuti certi ordini religiosi di pubblica utilità; è istituito lo stato civile; vengono razionalizzate e sottoposte a controllo dello Stato la beneficenza e la sanità; a livello periferico vengono soppresse le autonomie locali, accentrando tutti i poteri nella figura del prefetto; con la vittoria di Austerlitz e la pace di Presburgo (26 dic. 1805) l’Austria lascia la penisola e tutto il Veneto, il Friuli e la parte ex-veneta dell’Istria che vengono aggregati al Regno articolati in sette dipartimenti, Adriatico, Bacchiglione, Brenta, Istria, Passariano, Piave, Tagliamento; con il successivo accordo di Fontainbleau (10 ott. 1807) il confine orientale del Regno verso il Friuli viene portato all’Isonzo mediante il trasferimento all’Austria del territorio di Monfalcone e la cessione al Regno della Contea di Gradisca sulla riva destra del fiume, mentre l’Istria passerà poi alle Province il liriche, annesse all’Impero francese; il Regno perde la Garfagnana estense e le province di Massa e Carrara cedute alla sorella dell’imperatore Elisa Baciocchi, duchessa di Lucca e Piombino, ricevendone in cambio nel mar. 1806 il Ducato di Guastalla a spese degli Stati parmensi; a seguito della pace di Tilsit (7 lug. 1807) Napoleone si assicura il dominio della sponda orientale dell’Adriatico, mentre con la pace di Schoenbrunn (10 ott. 1809) si assicura il completo controllo dell’Adriatico; l’Austria, ridimensionata nei territori, rinuncia al titolo di imperatore del Sacro Romano Impero; il 2 ott. 1808 erano stati aggregati al Regno Urbino e Camerino, i territori della Marca d’Ancona, la provincia di Macerata e parte della provincia perugina, Fermo, Ascoli e Montalto inquadrati in tre dipartimenti, Metauro, Musone e Tronto; con il trattato di Parigi (28 feb. 1810) il Regno ottiene dal re di Baviera il Tirolo meridionale, che include anche il Trentino, e con decreto 28 mag. 1810 Napoleone sancisce l’unione al Regno d’Italia del Tirolo meridionale, costituito in dipartimento dell’Alto Adige, diviso nei cinque distretti di Bolzano, Cles, Riva, Rovereto e Trento, sedi di sottoprefetture, ma con decreto vicereale 18 ago. 1810 Primiero e Dobbiamo vengono uniti al dipartimento del Piave.
L’organizzazione territoriale del Regno d’Italia si fonda sul decreto napoleonico dell’8 giu. 1805 che modifica in parte i due decreti Melzi del 1802; vengono fissati i confini dei comuni, dei cantoni, dei distretti e dei dipartimenti cui vengono date disposizioni uniformi; i dipartimenti passano da 12 a 14 con l’aggiunta di quello dell’Adda (Sondrio) e dell’Adige (Verona) e con le successive annessioni diventeranno venticinque; a livello territoriale l’autorità assoluta nel dipartimento è il prefetto, presidente del Consiglio di prefettura e capo dell’amministrazione dipartimentale coadiuvata da un Consiglio generale del dipartimento; alla testa del distretto è il viceprefetto, assistito da un Consiglio distrettuale; al cantone è preposto un giudice di pace e, per le materie amministrative e censuarie, un consigliere del censo; i comuni, articolati in tre classi, sono retti dal podestà, quelli più piccoli dal sindaco, coadiuvato dalla Municipalità (consiglio costituito dal podestà, o dal sindaco, e da un numero di componenti diverso a seconda della classe del comune) i cui poteri vengono ristretti con legge 5 giu. 1807; i bilanci dei comuni di prima classe sono approvati dal Ministero dell’interno, sentito il parere del Consiglio di stato; le nomine di tutti i funzionari di grado più elevato delle istituzioni periferiche e dei comuni di prima e seconda classe sono fatte dal re, quelle dei comuni minori dal prefetto; le rappresentanze comunali hanno funzioni consultive;il regolamento organico della giustizia civile e punitiva è emanato nel 1806; l’organizzazione burocratica centralizzata, l’organizzazione territoriale basata su una normativa uniforme, fatto rivoluzionario nella storia della penisola, e l’introduzione del Codice civile napoleonico e degli altri codici in materia commerciale e penale costituiscono un fattore di notevole accelerazione del processo unitario nazionale
nov.-dic. 1813: già l’8 nov. 1813, entrate le armate austriache nei dipartimenti orientali, ovvero le province venete, viene emanato dal quartier generale di Trento un editto che mantiene temporaneamente l’organizzazione amministrativa e giudiziaria del Regno d’Italia, passandola alle dipendenze del gen. De Hiller, commissario principale per le province già occupate (poi detto commissario civile) e con circolare di un governo provvisorio affidato al principe Heinrich di Reuss-Plauen, con il titolo di governatore militare e civile
20 apr.-24 mag. 1814: in area lombarda a seguito di una sommossa interna a Milano, che ha il momento più sanguinoso il 20 aprile con l’assassinio del ministro delle finanze, Giuseppe Prina, il consiglio comunale nomina una Reggenza di sette membri che avvia una dura epurazione; la Reggenza opera in una prospettiva autonomistica e, quando le truppe austriache entrano in Lombardia ai primi di maggio, invia una delegazione a Parigi ove le potenze che avevano combattuto Napoleone stanno avviando i primi contatti diplomatici; l’arrivo a Milano, l’8 mag. 1814, del plenipotenziario austriaco Bellegarde blocca ogni attività della Reggenza fino al 25 maggio quando emana un proclama che annuncia la cessazione della Reggenza come istituto autonomo, assumendone la presidenza
25 nov. 1813-5 lug. 1815: le truppe di Gioacchino Murat, da tempo in rotta con Napoleone e alla ricerca di una propria politica italiana, entrano a Roma il 25 nov. 1813, mentre gran parte delle autorità francesi si danno alla fuga; lo stesso Gioacchino Murat entra nella città, mentre il suo esercito era ormai padrone di tutto l’ex Stato della Chiesa e della Toscana; il 19 gen. 1814 con un colpo di mano insedia in Roma il gen. La Vaugoyon come Governatore generale degli Stati romani, mentre una inefficace resistenza francese si protrae fino al 10 marzo; Napoleone decide allora di liberare il papa Pio VII e di rinviarlo in Italia con solenni riconoscimenti di sovranità e di rispetto; Pio VII si reca, pertanto, a Bologna dove reclama la restituzione dello Stato della Chiesa, quale era quando lo aveva lasciato; lo stesso Murat deve accettare il ritorno del pontefice, rivedendo i suoi piani; il 24 mg. 1814 Pio VII fa il suo ingresso trionfale a Roma, insediandosi al Quirinale; Murat rimane più a lungo nelle Marche, ma il tentativo di rioccupare i territori pontifici sfidando l’Austria, pur procurando un nuovo breve esilio del papa a Genova, si conclude rovinosamente nel maggio 1815 con la battaglia di Tolentino e l’armistizio di Casalanza; nell’incertezza delle soluzioni possibili per i territori che erano stati governati da Napoleone, la riconsegna al papa delle Marche e delle Legazioni avviene soltanto nel luglio 1815, mentre Roma era governata da più di un anno da fiduciari del pontefice; con l’editto del 5 lug. 1815 del card. Con salvi viene dato un assetto provvisorio alle province di seconda recupera
20 feb.-20 apr. 1814: già nel 1813 erano scoppiati in Toscana alcuni tumulti, fomentati da inglesi e tedeschi, ma con oggettive ragioni economiche; le truppe del re di Napoli Gioacchino Murat, passato dalla parte della sesta coalizione antifrancese, invadono la Toscana il 20 febbraio 1814, entrando a Firenze il 23; il breve governo del Murat, che prende misure in favore degli agrari e dei commercianti, subisce sia l’ostilità popolare che la presenza di lord Bentinck e della sua imponente flotta davanti a Livorno; il 20 aprile si conclude a Parma la convenzione tra il plenipotenziario di Murat e l’inviato di Ferdinando III, volta a riportare in Toscana la dinastia degli Asburgo Lorena
decreto 8 giu. 1805:
- 1. dipartimento dell’Adda, Sondrio
- 2. dipartimento dell’Adige, Verona
- 3. dipartimento dell’Agogna, Novara (include anche Varallo e Intra)
- 4. dipartimento dell’Alto Po, Cremona
- 5. dipartimento del Basso Po, Ferrara (dal 1801 include anche il Polesine di Rovigo)
- 6. dipartimento del Crostolo, Reggio (include Massa-Carrara)
- 7. dipartimento del Lario, Como (include Varese, Sondrio e Valtellina)
- 8. dipartimento del Mella, Brescia
- 9. dipartimento del Mincio, Mantova
- 10. dipartimento dell’Olona, Milano (include Pavia)
- 11. dipartimento del Panaro, Modena
- 12. dipartimento del Reno, Bologna
- 13. dipartimento del Rubicone, Forlì (include tutta la Romagna e Pesaro)
- 14. dipartimento del Serio, Bergamo
dopo l’annessione del Veneto:
- 15. dipartimento dell’Adriatico, Venezia
- 16. dipartimento del Bacchiglione, Vicenza
- 17. dipartimento del Brenta, Padova
- 18. dipartimento dell’Istria, Capodistria (fino a ott. 1809, poi Impero francese)
- 19. dipartimento del Passariano, Udine
- 20. dipartimento del Piave, Belluno
- 21. dipartimento del Tagliamento, Treviso
dopo l’annessione delle Marche:
- 22. dipartimento del Metauro, Ancona
- 23. dipartimento del Musone, Macerata
- 24. dipartimento del Tronto, Fermo (include Ascoli Piceno)
dopo l’annessione del Trentino e del Tirolo meridionale:
- 25. dipartimento dell’Alto Adige, Trento (dal 24 lug. 1810)
Tabella n. 1. ORDINAMENTO DEI TRIBUNALI DIPARTIMENTALI E CORREZIONALI DELLA REPUBBLICA CISALPINA
Legge 19 germile anno VI \ 8 aprile 1798. (Raccolta leggi Cisalpina, tomo V, pp. 24-26)
Dipartimenti
Tribunali
1. Adda
Tribunale dipartimentale
a Lodi
Tribunali correzionali
a Lodi; Crema; Treviglio
2. Adda ed Oglio
Tribunale dipartimentale
a Sondrio
Tribunali correzionali
a Sondrio; Tirano; Breno; Bormio; Morbegno
3. Alta Padusa
Tribunale dipartimentale
a Finale
Tribunali correzionali
a Cento
4. Alto Po
Tribunale dipartimentale
a Cremona
Tribunali correzionali
a Cremona; Casalmaggiore; Codogno
5. Alpi Apuane
Tribunale dipartimentale
a Massa
Tribunali correzionali
a Massa; Castelnuovo; Fosdinovo
6. Basso Po
Tribunale dipartimentale
a Ferrara
Tribunali correzionali
a Ferrara; Comacchio; Tercenta
7. Crostolo
Tribunale dipartimentale
a Reggio (Reggio nell'Emilia)
Tribunali correzionali
a Reggio (Reggio nell'Emilia); Castelnuovo Monti; Gonzaga
8. Benaco
Tribunale dipartimentale
a Desenzano
Tribunali correzionali
a Castiglione; Salò; Villafranca
9. Lamone
Tribunale dipartimentale
a Faenza
Tribunali correzionali
a Faenza; Ravenna; Lugo
10. Lario
Tribunale dipartimentale
a Como
Tribunali correzionali
a Como; Chiavenna; Menaggio
11. Mella
Tribunale dipartimentale
a Brescia
Tribunali correzionali
a Brescia; Gardone; Vestone
12. Mincio
Tribunale dipartimentale
a Mantova
Tribunali correzionali
a Mantova; Ostiglia; Isola della Scala
13. Montagna
Tribunale dipartimentale
a Lecco
Tribunali correzionali
a Lecco; Asso; Vimercate
14. Olona
Tribunale dipartimentale
a Milano
Tribunali correzionali
a Milano (1); Milano (2); Monza
15. Panaro
Tribunale dipartimentale
a Modena
Tribunali correzionali
a Modena; Mirandola; Paullo
16. Reno
Tribunale dipartimentale
a Bologna
Tribunali correzionali
a Bologna; Medicina; Vergato; Lojano (Loiano)
17. Serio
Tribunale dipartimentale
a Bergamo
Tribunali correzionali
a Bergamo; Clusone; Piazza (Brembana)
18. Ticino
Tribunale dipartimentale
a Pavia
Tribunali correzionali
a Pavia; San Colombano; Abbiategrasso
19. Rubicone
Tribunale dipartimentale
a Rimini
Tribunali correzionali
a Rimini; Pesaro; Cesena
20. Verbano
Tribunale dipartimentale
a Varese
Tribunali correzionali
a Varese; Luino; Gallarate
Tabella n. 2. DIPARTIMENTI CIRCONDARI E DISTRETTI DELLA REPUBBLICA CISALPINA
Legge 5 vendemmiale anno VII\26 settembre 1798. (Raccolta leggi Cisalpina, tomo VI)
Dipartimento
Circondario
Distretto
Olona
I Pavia
1 Belgioioso, 2 Sant’Angelo, 3 Pavia, 6 Binasco , 7 Bereguardo, 8 Abbiategrasso
II Milano
4 Melegnano, 5 Chiaravalle, 11 Sedriano, 12 Rho, 27 Missaglia, 31 Desio, 32 Bollate, 33 Monza, 34 Vimercate, 35 Pioltello, 36 Milano
III Como
20 Appiano, 21 Olgiate Comasco, 22 Como, 23 Argegno, 24 Porlezza, 25 Asso, 26 Erba, 28 Cantù, 29 Mariano, 30 Seveso
IV Varese
9 Cuggiono Maggiore, 10 Busto Arsizio, 13 Gallarate, 14 Angera, 15 Laveno, 16 Luvino, 17 Arcisate, 18 Varese, 19 Tradate
Alto Po
I Lodi
1 Chignolo, 2 Casal Pusterlengo, 4 Castiglione, 5 Borghetto, 6 Lodi, 7 Paullo, 8 Vaiano, 9 Crema, 10 Castelleone, 11 Soncino
II Cremona
12 Soresina, 13 Pizzighettone, 14 Casalbuttano, 15 Vescovato, 16 Pieve d’Olmi, 21 Cremona, 3 Codogno
III Casal Maggiore
17 Piadena, 18 Casal Maggiore 19 Bozzolo, 20 Viadana
Serio
I Bergamo
18 Bergamo, 5 Imagna, (capoluogo: Almeno San Salvatore), 12 Nesa (capoluogo: Alzano Maggiore), 14 Isola (capoluogo: Ponte), 16 Ghiaie del Serio (capoluogo: Romano), 1 Naviglio (capoluogo: Cassano sopra Adda), 17 Roggia nuova (capoluogo: Treviglio), 13 Cherio (capoluogo: Trescorre), 10 del Sebino inferiore (capoluogo: Sarnico), 15 l Serio e Brembo (capoluogo: Verdello), 7 Sorgenti del Brembo (capoluogo: La Piazza), 6 Ambria e Brembilla (capoluogo: Zogno)
II Lecco
3 Lago (capoluogo: Lecco), 4 Sonna (capoluogo: Caprino), 2 Adda (capoluogo: Brivio)
III Clusone
8 Sorgenti del Serio (capoluogo: Clusone), 9 Sebino superiore (capoluogo: Lovere), 11 Concossola (capoluogo: Gandino)
Mincio
I Mantova
1 Mantova, 2 Governolo, 3 Ostiglia, 4 Isola della Scala, 5 Castellaro, 10 Marcaria
II Castiglione delle Stiviere
6 Villafranca, 7 Castiglione delle Stiviere, 8 Goito, 9 Asola
III Gonzaga
11 Gonzaga, 12 Revere, 13 Sermide
Legge 21 vendemmiale anno VII \12 ottobre 1798. (Raccolta leggi Cisalpina, tomo VI)
Dipartimento
Circondario
Distretto
Mella
I Brescia
1 Centrale (capoluogo: Brescia), 2 Garza Orientale (capoluogo: Brescia), 3 Garza Occidentale (capoluogo: Brescia), 7 Strone (capoluogo: Verola Nuova), 9 Sorgenti (capoluogo: Leno), 10 Colli (capoluogo: Montechiaro), 8 Caccia-libera (capoluogo: Gambara), 14 Armi (capoluogo: Gardone)
II Rovato
5 Sere (capoluogo: Chiari), 4 Sebino (capoluogo: Iseo), 6 Pianure (capoluogo: Orzinovi)
III Salò
12 Ulivi (capoluogo: Salò), 13 Fucine (capoluogo: Vestone), 11 Vigne (capoluogo: Lonato)
Panaro
I Modena
1 Modena, 2 Carpi, 3 Mirandola, 4 Bonporto, 5 Finale, 6 Rubiera, 7 Sassuolo, 8 Spilamberto
II Paullo
9 Paullo, 10 Montefiorino, 11 Fanano
III Castelnuovo
12 Castelnuovo, 13 Camporgiano, 14 Trasilico
Rubicone
I Rimini
12 Rimini, 13 Montescudolo, 14 Saludeccio, 15 Savignano, 17 Pesaro, 11 Montefeltro
II Ravenna
4 Ravenna, 3 Bagnacavallo, 16 Cervia
III Faenza
5 Forlì, 2 Faenza, 1 Brisighella, 6 Meldola
IV Cesena
8 Cesena, 7 Bertinoro, 9 Mercato Saraceno, 10 Longiano
Reno
I Bologna
1 Bologna, 2 Samoggia (capoluogo: San Giovanni in Persiceto) 3 San Giorgio, 4 Minerbio, 5 Budrio, 7 Sasso (capoluogo: Castel del Vescovo), 12 Bazzano, 14 Castelfranco, 16 Molinella
II Imola
21 Santerno (capoluogo: Imola), 20 Tossignano, 23 Senio,22 Lugo, 24 Massa Lombarda, 13 Medicina, 6 Castel San Pietro
III Cento
18 Alta Padusa (capoluogo: Cento), 17 San Pietro in Casale, 13 Crevalcore
IV Vergato
10 Vergato, 11 delle Terme (capoluogo: Porretta), 9 Castiglione, 8 Loiano, 19 Montetortore
Adda ed Oglio
I Gravedone
1 Dongo, 2 Chiavenna, 3 Bellano, 4 Morbegno
II Sondrio
5 Sondrio, 6 Ponte, 7 Tirano
III Bormio
8 Bormio
IV Breno
9 Edolo, 10 Capo di Ponte, 11 Breno, 12 Darfo
La legge 23 vendemmiale a. VII, fissò la residenza dei giudici di pace nel capoluogo del distretto, con alcune eccezioni, p. 49, art. I: « I giudici di pace risiedono rispettivamente nel capoluogo di ciascun distretto, a riserva dei seguenti:
1. Dipartimento del Crostolo, Distretto di Gualtieri: Brescello;
2. Dipartimento del Basso Po, Distretto del Tartaro: Massa;
3. Dipartimento del Basso Po, Distretto Bocche del Po: Mesola;
4. Dipartimento del Reno, Distretto Senio: Cotignola;
5. Dipartimento del Mella, Distretto Vigne: Desenzano;
6. Dipartimento del Mincio, Distretto Goito: Valeggio.
Art. II: “ il comune di Bergamo è diviso in due circondari, il primo è quello racchiuso fra le mura, il secondo è quello dei Borghi, in ciascuno di essi risiede un giudice di pace: 1° entro le mura; 2° circondario dei Borghi: Borgo San Leonardo».
Gli altri giudice di pace risiedono nei capoluoghi di distretto, in base ai nuovi confini dipartimentali, per i quali si veda: Raccolta leggi Cisalpina, tomo VI:
Dipartimento di Olona (leggi 5 vendemmiale e 17 piovoso a.VII, p .11 e p. 127); Dipartimento Alto Po(legge 5 vendemmiale a.VII, p. 11); Dipartimento del Serio (leggi 5 vendemmiale e 7 ventoso a.VII, p. 11 e p. 244); Dipartimento del Mincio(leggi 5 vendemmiale e 7 ventoso a.VII, pp. 11 e 244); Dipartimento del Mella (leggi 21 vendemmiale,17 piovoso e 7 ventoso a.VII, p. 39, p. 227 e p. 244); Dipartimento del Panaro (legge 21 vendemmiale a.VII, p. 41); Dipartimento del Reno (leggi 21 vendemmiale e 17 piovoso a. VII, p. 44 e p. 227); Dipartimento di Adda e Oglio (legge 21 vendemmiale a.VII, p. 47); Dipartimento del Crostolo (legge 23 vendemmiale a.VII, p. 51); Dipartimento del Basso Po (legge 27 vendemmiale a. VII, p. 58); Dipartimento di Adda e Oglio, Distretto di Bormio (legge 7 ventoso a. VII, p. 243).
Legge 23 vendemmiale anno VII \ 14 ottobre 1798. (Raccolta leggi Cisalpina, tomo VI)
Dipartimento
Circondario
Distretto
Crostolo
I Reggio (Reggio nell'Emilia)
1 Reggio (Reggio nell'Emilia), 2 Correggio, 3 Novellara, 4 Gualtieri, 5 Castelnovo di sotto, 6 Montecchio, 7 Bibbiano, 8 Scandiano
II Carrara
13 Carrara, 24 Fosdinovo, 12 Massa, 15 Mulazzo
III Castelnovo ne’ Monti
9 Castelnovo ne’ Monti, 11 Minozzo, 10 Carpineti
Legge 27 vendemmiale anno VII \ 18 ottobre 1798. (Raccolta leggi Cisalpina, tomo VI)
Dipartimento
Circondario
Distretto
Basso Po
I Ferrara
1 Tre Po (capoluogo: Ferrara), 3 Canal Bianco (capoluogo: Occhiobello), 4 Basso Panaro (capoluogo: Bondeno), 5 Po di Marara (capoluogo: Poggio Renatico), 6 Fossa Marina (capoluogo: Argenta), 7 Menabò (capoluogo: Portomaggiore Trava), 11 Due Po (capoluogo: Copparo)
II Comacchio
8 Valli Ariane (capoluogo: Comacchio), 10 Bocche del Po (capoluogo: Ariano), 9 Basso Volano (capoluogo: Codigoro)
III Trecenta
2 Tartaro (capoluogo: Trecenta)
Tabella n. 3. DIPARTIMENTI E DISTRETTI DELLA REPUBBLICA CISALPINA
Legge 23 fiorile, anno IX \13 maggio 1801. (Raccolta leggi Cisalpina, tomo II, pp. 148-149)
Dipartimento
Distretto
I Agogna
Novara (capoluogo); Vigevano; Domo d’Ossola; Varallo; Arona
II Lario
Como (capoluogo); Varese; Sondrio; Lecco
III Olona
Milano (capoluogo); Pavia; Monza; Gallarate
IV Serio
Bergamo (capoluogo); Clusone; Treviglio; Breno
V Mella
Brescia (capoluogo); Chiari; Verola Alghisi; Salò
VI Alto Po
Cremona (capoluogo); Crema; Lodi; Casal Maggiore
VII Mincio
Mantova (capoluogo); Revere; Verona; Castiglione delle Stiviere
VIII Crostolo
Reggio (Reggio nell'Emilia) (capoluogo); Massa-Carrara
IX Panaro
Modena (capoluogo); Castelnovo di Garfagnana
X Basso Po
Ferrara (capoluogo); Comacchio; Rovigo
XI Reno
Bologna (capoluogo); Imola; Cento; Vergato
XII Rubicone
Cesena (capoluogo); Forlì; Faenza; Ravenna; Rimini; Pesaro
Tabella n. 4. PREFETTURE E VICEPREFETTURE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Decreto 6 maggio 1802. (Bollettino repubblica italiana, 1802, n. 27)
Dipartimenti
Prefetture
Viceprefetture
Agogna
Novara
Vigevano; Intra
Lario
Como
Sondrio
Olona
Milano
Pavia
Serio
Bergamo
Breno
Mella
Brescia
Salò
Alto Po
Cremona
Crema; Lodi; Casalmaggiore
Mincio
Mantova
Verona
Crostolo
Reggio (Reggio nell'Emilia)
Massa di Carrara
Panaro
Modena
Castelnuovo di Garfagnana
Basso Po
Ferrara
Rovigo
Reno
Bologna
Imola; Cento
Rubicone
Forlì
Ravenna; Faenza; Rimini; Cesena
Tabella n. 5. COMPARTO TERRITORIALE DEL REGNO D’ITALIA: DIPARTIMENTI, DISTRETTI, CANTONI
In allegato al decreto 8 giu. 1805 c’è tabella portante la ripartizione dei dipartimenti in cantoni e in comuni con relativa popolazione, pp. 153-304. Nella tabella che si pubblica si sono trascritti solamente, per ogni dipartimento, il nome e il numero del capoluogo di cantone dove risiedeva il cancelliere del censo.
Decreto 8 giugno 1805. (Bollettino regno d’Italia, 1805, n. 46, pp. 141-152)
Dipartimento
Distretto
Cantone
Adda
I Sondrio; II Ponte; III Tirano; IV Bormio; V Morbegno; VI Chiavenna
Adige
I Verona
I Verona; II Villafranca; III Isola della Scala; IV Caprino; V Lazise
II Legnago
I Legnago; II Badia
Agogna
I Novara
I Novara; II Oleggio; III Robbio; IV Biandrate; V Borgomanero
II Domodossola
I Domodossola; II Vogogna
III Varallo
I Varallo; II Romagnano
IV Vigevano
I Vigevano; II Garlasco; III San Nazzaro di Borgondi; IV Mede; V Mortara
V Arona
I Arona; II Omegna; III Cannobbio; IV Intra; V Orta
Alto Po
I Cremona
I Cremona; II Pizzighettone; III Soresina; IV Casalbuttano; V Pescarolo; IV Pieve d’Olmi
II Crema
I Crema; II Crema; III Soncino
III Lodi
I Lodi; II Paullo; III Sant’Angelo; IV Borghetto; V Casalpusterlengo; VI Codogno
IV Casalmaggiore
I Casalmaggiore; II Piadena
Basso Po
I Ferrara
I Ferrara; II Bondeno; III Trecenta; IV Fiesso; V Copparo; VI Portomaggiore
II Comacchio
I Comacchio; II Codigoro
III Rovigo
I Rovigo; II Lendinara; III Adria; IV Crespino
Crostolo
I Reggio (Reggio nell'Emilia)
I Reggio (Reggio nell'Emilia); II Brescello; III Correggio; IV Montecchio; V Scandiano; VI Castelnovo né Monti; VII Carpineti; VIII Minozza
II Massa e Carrara
I Massa; II Fosdinovo; III Villafranca
Lario
I Como
I Como; II Como; III San Fedele; IV Erba; V Cantù; VI Appiano
II Varese
I Varese, II Tradate; III Angera; IV Gavirate; V Cuvio; VI Viggiù; VII Maccagno Superiore; VIII Luvino
III Menaggio
I Menaggio; II Bellagio; III Gravedona; IV Dongo; V Porlezza
IV Lecco
I Lecco; II Taceno; III Bellano; IV Asso; V Oggiono; VI Santa Maria Hoè; VII Missaglia
Mella
I Brescia
I Brescia; II Brescia; III Brescia; IV Brescia; V Gardone; VI Bovegno; VIII Lonato
II Chiari
I Chiari; II Iseo; III Adro; IV Orzinovi
III Verola
I Verola Nuova; II Leno
IV Salò
I Salò; II Gargnano; III Preseglie; IV Vestone
Mincio
I Mantova
I Mantova; II Roverbella; III Marcaria; IV Borgoforte; V Bozzolo; VI Sabbioneta; VII Viadana
II Revere
I Revere; II Ostiglia; III Gonzaga; IV Sermide
III Castiglione
I Castiglione; II Goito; III Castelgroffredo; IV Canneto
Olona
I Milano
I Milano; II Milano; III Milano; IV Milano; V Milano; VI Milano; VII Desio; VIII Melegnano
II Pavia
I Pavia; II Gaggiano; III Abbiategrasso; IV Binasco; V Bereguardo; VI Belgioioso; VII Corte Olona
III Monza
I Monza; II Costa; III Vimercate; IV Gorgonzola
IV Gallarate
I Gallarate; II Saronno; III Cuggiono; IV Legnano; V Soma
Panaro
I Modena
I Modena; II Carpi; III Sassuolo; IV Sestola; V Montefiorino
II Mirandola
I Mirandola; II Finale
III Castelnovo di Garfagnana
I Castelnovo di Garfagnana
Reno
I Bologna
I Bologna, II Bazzano; III Budrio; IV Lojano; V Minerbio; VI Praduro e Sasso; VII Montetortore
II Imola
I Imola; II Castel San Pietro; III Fontana; IV Lugo
III Vergato
I Vergato; II Porretta; III Castiglione
IV Cento
I Cento; II San Giovanni in Persiceto
Rubicone
I Forlì
I Forlì; II Medola
II Cesena
I Cesena; II Mercato Saraceno; III Savignano
III Rimini
I Rimini; II Sant’Arcangelo; III Montescudolo; IV Saludecchio; V Pian di Meleto
IV Ravenna
I Ravenna; II Cervia
V Faenza
I Faenza; II Brisighella
Serio
I Bergamo
I Bergamo, II Zogno; III Trescore; IV Almenno San Salvatore; V Ponte San Pietro; VI Alzano Maggiore; VII Caprino; VIII Piazza; IX Sarnico
II Treviglio
I Treviglio; II Martinengo; III Romano; IV Verdello
III Clusone
I Clusone; II Gandino; III Lovere
IV Breno
I Breno; II Edolo
Tabella n. 6. DIVISIONE DEI NUOVI DIPARTIMENTI EX VENETI
Decreto 22 Dicembre 1807. (Bollettino regno d’Italia, 1807, n. 283)
Dipartimenti
Distretti
Cantoni
Adriatico
I Venezia
I Venezia, II Mestre, III Dolo
II Chioggia
I Chioggia, II Caverzere
III Adria
I Adria, II Loreo
IV San Donà
I San Donà, II Aquileia
Bacchiglione
I Vicenza
I Vicenza, II Camisano, III Arzignano, IV Valdagno, V Barbarano
II Schio
I Schio, II Thiene, III Malo
III Bassano
I Bassano, II Asolo, III Marostica, IV Quero
IV Asiago
I Asiago
V Castelfranco
I Castelfranco, II Noale
Brenta
I Padova
I Padova, II Teolo, III Piazzola, IV Battaglia
II Este
I Este, II Montagnana, III Monselice
III Piove
I Piove, II Conselve
IV Campo
I Campo San Pietro, II Cittadella, III Mirano
Istria
I Capo d’Istria
I Capo d’Istria, II Pirano, III Pinguente, IV Parenzo
II Rovigno
I Rovigno, II Degnano, III Albona
Passariano
I Udine
I Udine, II Latizzana, III Codroipo, IV San Daniello, V Tricesimo, VI Gemona
II Tolmezzo
I Tolmezzo, II Paluzza, III Rigolato e Ludaria, IV Ampezzo, V Resiuta
III Gradisca
I Gradisca, II Cormoso, III Palma, IV Cervignano
IV Cividale
I Cividale, II San Pietro degli Schiavoni, III Faedi
Piave
I Belluno
I Belluno, II Longarone, III Agordo
II Feltre
I Feltre, II Fonzaso
III Cadore
I Pieve di Cadore, II Campedello
Tagliamento
I Treviso
I Treviso, II Montebelluna, III Roncade
II Conegliano
I Conegliano, II Oderzo, III Motta
III Ceneda
I Ceneda, II Serravalle, III Pieve di Valdobbiadene
IV Pordenone
I Pordenone, II Portogruaro, III San Vito
V Spilimbergo
I Spolimbergo, II Sacile, III Aviano, IV Maniago, V Travesio
DIVISIONE DELLE EX PROVINCIE PONTIFICIE DELLA MARCA NEI TRE DIPARTIMENTI DEL METAURO, DEL MUSONE E DEL TRONTO
Decreto 20 aprile 1808. (Bollettino regno d’Italia, 1808, n. 160)
Dipartimenti
Distretti
Metaro
I Ancona
II Pesaro
III Senigaglia
IV Urbino
Musone
I Macerata
II Loreto
III Fabriano
IV Tolentino
Tronto
I Fermo
II Ascoli
III Camerino
DIVISIONE DEL DIPARTIMENTO DELL’ALTO ADIGE
Decreto 24 luglio 1810. (Bollettino regno d’Italia, 1810, n. 94)
Distretti
Cantoni
Trento
Trento, Lavis, Pergine, Levico, Borgo
Rovereto
Rovereto, Mori, Ala
Riva
Riva, Tione, Stenico, Condino
Cles
Cles, Malè, Fondo, Denno
Bolzano
Bolzano, Caldano, Egna, Cavalese
Tabella n. 7. ARCHIVI NOTARILI GENERALI E SUSSIDIARI
Decreto 4 Settembre 1806. (Bollettino regno d’Italia, 1806, n. 187)
Dipartimento
Archivio generale
Archivio sussidiario
Adda
Sondrio
Adige
Verona
Agogna
Novara
Intra o Pallanza
Adriatico
Venezia
Alto Po
Cremona
Lodi
Bacchiglione
Vicenza
Basso Po
Ferrara
Rovigo
Brenta
Padova
Crustolo
Reggio (Reggio nell'Emilia)
Istria
Capo d’Istria
Lario
Como
Varese
Mella
Brescia
Salò
Mincio
Mantova
Olona
Milano
Panaro
Modena
Passariano
Udine
Piave
Belluno
Reno
Bologna
Imola
Rubicone
Forlì
Ravenna
Serio
Bergamo
Breno
Tagliamento
Treviso
Bassano
Tabella n. 8. CORTI DI GIUSTIZIA CIVILE E CRIMINALE DEL REGNO D’ITALIA
Decreto 19 giugno 1807. (Bollettino regno d’Italia, 1807, n. 105)
Dipartimento
Residenza delle corti o tribunali
Denominazione dei distretti amministrativi loro sottoposti
1. Adda
Sondrio
Tutto il Dipartimento
2. Adige
Verona
Tutto il Dipartimento
3. Adriatico
Venezia
Venezia
Chioggia
Chioggia
4. Agogna
Novara
Novara e Varallo
Vigevano
Vigevano
Intra
Domodossola e Arona
5. Alto Po
Cremona
Cremona e Casalmaggiore
Lodi
Crema e Lodi
6. Bacchiglione
Vicenza
Vicenza e Lonigo
Schio
Schio e Asiago
7. Basso Po
Ferrara
Ferrara e Comacchio
Rovigo
Rovigo
8. Brenta
Padova
Padova, Piove, Campo San Piero
Este
Este
9. Crostolo
Reggio (Reggio nell'Emilia)
Tutto il Dipartimento
10. Istria
Capo d’Istria
Tutto il Dipartimento
11. Lario
Como
Como e Menaggio
Varese
Varese
Lecco
Lecco
12. Mella
Brescia
Brescia, Chiari, Verola Nova
Salò
Salò
13. Mincio
Mantova
Mantova e Revere
Castiglione delle Stiviere
Castiglione delle Stiviere
14. Olona
Milano
Milano Monza e Gallarate
Pavia
Pavia
15. Panaro
Modena
Tutto il Dipartimento
16. Passariano
Udine
Tutto il Dipartimento
17. Piave
Belluno
Belluno e Cadore
Feltre
Feltre
18. Reno
Bologna
Bologna e Vergato
Imola
Imola
Cento
Cento
19. Rubicone
Forlì
Forlì, Cesena, Faenza e Rimini
Ravenna
Ravenna
20. Serio
Bergamo
Bergamo, Treviglio, Clusone
Brenno
Brenno
21. Tagliamento
Treviso
Treviso, Castelfranco, Conegliano, Ceneda
Bassano
Bassano
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30 mar. 1806-lug. 1808: con decreto imperiale 30 mar. 1806 Napoleone affida la corona del Regno di Napoli, dichiarato indipendente, al fratello Giuseppe Bonaparte; si delineano subito insorgenze antifrancesi con una mobilitazione delle masse, già sperimentate nel 1799; contro la rivolta in Calabria viene inviato il gen. Massena che vi riporta l’ordine entro la fine dell’anno alle segreterie di Stato subentrano i ministeri della giustizia, del culto, degli affari esteri, delle finanze, della guerra; il 31 marzo viene istituito il Ministero dell’interno cui spettano la direzione e la vigilanza dell’amministrazione provinciale e comunale, le competenze in materia di agricoltura, industria e commercio, lavori pubblici, istruzione, opere pie e istituti di pubblica utilità, belle arti, igiene e prigioni, mentre al Ministero della polizia generale, spettano compiti di informazione, prevenzione e repressione; nell’apr. 1807 viene soppresso il Ministero di Casa e siti reali e, in luogo degli intendenti dei siti reali, viene nominato un solo Intendente generale; vengono uniti il Ministero dell’ecclesiastico e culto con quello della marina; nell’apr. 1806 vengono istituiti a Napoli quattro Tribunali temporanei, ciascuno con competenza su tre province, con il compito di sbrigare in due mesi tutti i processi pendenti, avviati all’inizio del 1805 dalle giunte o commissioni istituite dal precedente regime; si realizza in sostanza un sistema fortemente accentrato, semplificato e uniformato, la cui caratteristica determinante è la separazione dell’amministrazione civile dal potere giudiziario; con decreto 15 mag. 1806 era stato istituito il Consiglio di Stato, presieduto dal re o suo delegato e composto di non più di ventiquattro membri, con il compito di esaminare tutte le questioni poste da ogni ministro ed esprimere parere obbligatorio sulle questioni tributarie, che viene modificato con decreti successivi del 1806-1807; con decreto 2 ago. 1806 viene soppresso il sistema feudale in base al quale tutte le terre del Regno debbono essere governate “secondo la legge comune”; le università continuano ad esercitare in nome del governo giurisdizioni e diritti di cui già erano in possesso e aggiungono le giurisdizioni sottratte ai feudatari, lasciando a questi i titoli di nobiltà e beni e diritti che non avessero carattere demaniale; l’applicazione della legge di soppressione della feudalità pone complesse difficoltà, i cui strascichi si protraggono per tutto il sec. XIX, con un contenzioso affidato dapprima ai tribunali ordinari e poi a due commissioni, la Commissione feudale e la Commissione per la legittimità dei diritti suscettibili di indennizzo; con ulteriori provvedimenti del set. 1806 e del giu. 1807 viene deciso che tutti i terreni demaniali (feudali, comunali, ecclesiastici e di luoghi pii) su cui erano esercitati usi civici siano assegnati ai fruitori di quegli usi in proporzione della quota di gradimento, con alcune eccezioni e secondo determinati criteri; le relative operazioni, affidate alle Intendenze, vengono esaminate da una Commissione speciale, nominata il 30 giu. 1807; con l. 15 mar. 1807 vengono aboliti i fedecommessi, mentre con l. 21 mag. 1806 erano state disposte per la Dogana di Foggia la censuazione di terre salde a coltura fra i coloni e loro attuali possessori a fini fiscali e altre misure per favorire la mobilizzazione delle proprietà e lo scioglimento di antiche servitù, cui consegue la soppressione del Tribunale e Dogana delle pecore di Foggia, cui subentra il Tavoliere di Puglia; con l. 24 gen. 1807 vengono sottoposte a censuazione le terre in proprietà dei luoghi pii e con vari provvedimenti si procede alla soppressione della Compagnia di Gesù e poi di altri ordini religiosi, con avocazione dei rispettivi beni allo Stato, lasciando alle tre maggiori abbazie benedettine di Cava dei tirreni, di Montevergine e di Montecassino il privilegio di conservare in loco i loro archivi e le loro biblioteche; la questione del Debito pubblico comporta la rapida costituzione di un fondo di “beni nazionali” derivante dai beni ecclesiastici incamerati e l’avocazione allo Stato degli arredamenti e di altri cespiti; con l. 27 giu. 1806 e l. 31 lug. 1806 viene costituito il Demanio dello Stato e organizzata la sua amministrazione con l’istituzione di una Commissione per la liquidazione del debito pubblico e di una Cassa di ammortizzazione del debito pubblico, nonché di una Cassa delle rendite e di un pubblico registro detto Gran libro del debito pubblico; seguono una riorganizzazione degli istituti finanziari che abilita il solo Banco di San Giacomo come banco di Corte, cioè a servizio del governo, e la riforma tributaria che fa della riforma fiscale parte integrante della sovranità e diritto inalienabile dello Stato, mutando radicalmente l’amministrazione finanziaria; vengono via via istituite le amministrazioni delle imposte dirette, delle imposte indirette, del demanio e del debito pubblico, in sostituzione di uffici della Camera della sommaria, soppressa nel dic. 1807, e sostituita dalla regia Corte dei conti, inaugurata il 3 feb. 1808; dal Ministero delle finanze dipendono le Direzioni delle imposte, istituite nelle province, i Controllori nei distretti e i Ripartitori comunali; al Ministero dell’interno fa capo la direzione e la vigilanza dell’amministrazione provinciale e comunale, disciplinata con l. 8 ago. 1806 che organizza il territorio del Regno di Napoli in quattro dipartimenti, Terra di Lavoro, Capitanata, Abruzzo e Calabria, e questi in tredici province, Napoli, tre Abruzzi, due Calabrie, due Principati, Terra di Lavoro, Capitanata, Bari, Otranto e Basilicata; con l. 27 set. 1806 il Molise è staccato dalla Capitanata; le province sono articolate in distretti e affidate a Intendenze con ampi poteri sui rispettivi territori; vengono istituiti Consigli di intendenza, Consigli generali provinciali per il contenzioso amministrativo, Consigli distrettuali per il riparto del carico tributario; viene uniformata l’organizzazione dei comuni, con sindaci, amministratori e Consigli comunali (Decurionati) eletti dalle assemblee o parlamenti comunali (poi sorteggiati tra i proprietari locali, in base a l. 18 ott. 1806), anche se rigidamente controllati dalle amministrazioni di livello superiore; a Napoli viene mantenuto uno statuto speciale; il Corpo della città di Napoli sostituisce il Senato e, successivamente, vi viene istituito anche il Decurionato come nelle altre città; con provvedimento 2 mar. 1808 vengono emanate norme per i rendiconti morali e materiali degli amministratori locali; con l. 20 mag. 1808 viene approvato un nuovo ordinamento giudiziario articolato in giudici di pace, in ogni comune (a Napoli uno per quartiere), tribunali di primo grado, uno per ciascuna nelle quattordici province, e quattro tribunali di appello (Napoli, Chieti, Altamura, Catanzaro), tribunali di commercio, tribunali criminali, uno per ciascuna nelle quattordici province, e una Corte di cassazione; seguono ulteriori provvedimenti sulla giustizia e, con decreto 22 giu. 1808 viene adottato il Codice napoleonico; con decreto 29 mar. 1807 viene introdotta la leva obbligatoria, mentre si cerca di ricostituire un esercito nazionale; con provvedimenti del lug. 1806 erano stati istituiti il Corpo del genio e la Guardia reale, viene riordinata l’Accademia militare della Nunziatella, sciolta nel 1805, come Scuola politecnica militare, disciplinate le polveri e la fabbrica di armi, nonché la ferriera della Mongiana in Calabria; destinato al trono di Spagna, Giuseppe Bonaparte, in data 20 giu. 1808, emana da Bayonne uno “statuto costituzionale del Regno” che in 11 articoli delinea le norme per l’ordinamento dello Stato e della Corona, stabilendo la religione cattolica come religione di Stato
5 lug. 1808-20 mag. 1815: a seguito di un trattato del 5 lug. 1808 tra Napoleone e Giuseppe Bonaparte, l’imperatore cede al fratello tutti i suoi diritti alla corona di Spagna e delle Indie, mentre Giuseppe restituisce i suoi diritti alla corona delle Due Sicilie; con successivo trattato del 15 luglio si assegna a Gioacchino Murat, grande ammiraglio di Francia, il regno delle Due Sicilie; il 12 ago. 1808 Murat arriva a Napoli e assume i poteri il 15 seguente; nel mese di ottobre Murat riconquista Capri, occupata dagli inglesi, e pensa immediatamente a una spedizione in Sicilia, per la quale tuttavia non ottiene l’assenso dell’imperatore; la difficile posizione del Murat, consapevole della sudditanza del Regno alla Francia, avvia un progressivo incrinarsi dei rapporti con Napoleone; impiega circa un anno per una soddisfacente composizione del governo e nel frattempo si dedica alla riorganizzazione della Guardia nazionale e, più in generale, alla riorganizzazione delle forze armate e con decreto 7 mar. 1809 ordina la coscrizione; l’adozione del Codice napoleonico nel Regno, predisposta già da Giuseppe Bonaparte, comporta discussioni in ordine a esigenze di adattamento a situazioni locali e in materia di matrimonio, per l’introduzione del divorzio; solo dal 1° apr. 1809 entrano in vigore il codice di procedura civile e il codice di commercio, mentre il Codice penale francese viene introdotto con decreto 23 apr. 1812; sotto il Murat si avvia l’applicazione della riforma dell’ordinamento giudiziario approvato con l. 20 mag. 1808; il 17 dic. 1808 viene soppressa la real Camera di Santa Chiara, il 20 tutti gli altri tribunali, primi fra tutti la Gran corte della vicaria e il Sacro consiglio; vengono istituite la Camera di disciplina notarile, con provvedimento 3 gen. 1809, dopo la soppressione dell’Ufficio di mastrodatti dei notai, e il 15 luglio la Camera di disciplina degli avvocati di Napoli, che di massima aderivano in precedenza alla congregazione laicale di Sant’Ivone; già dal 1786 esisteva l’Archivio generale pubblico per la registrazione e conservazione dei contratti e, pertanto, con la Camera di disciplina notarile si perfeziona l’organizzazione della professione dei notai, dichiarati pubblici ufficiali e nominati a vita dal re; Murat dà impulso all’attività della Commissione feudale, istituita dal re Giuseppe, che riesce a concludere i suoi lavori nell’agosto 1810; con l. 7 ago. 1809 Murat realizza la soppressione di tutti gli ordini religiosi che siano in possesso di beni, salvo provvisoriamente gli Scolopi e gli ospedalieri; ulteriori disposizioni vengono prese per il consolidamento e la conversione del debito pubblico; con l. 24 feb. 1809 viene approvata una organica riforma dell’amministrazione delle imposte dirette e, nel 1810, si procede alla soppressione di 36 dogane interne, mentre l’adesione di Napoleone al “blocco continentale” (divieto di commerciare con la Gran Bretagna) per colpire gli inglesi induce aumenti di tariffe contrari ai positivi effetti delle liberalizzazioni realizzate; la riforma fiscale, che si basava sulla contribuzione fondiaria e d’industria, migliora le finanze dello Stato ma non risolve inconvenienti e carenze, cui si cerca di ovviare con il decreto 4 apr. 1809 istitutivo della Giunta delle contribuzioni dirette che però non raggiunge gli obiettivi prefissati e, tra varie misure, si introduce una tassa personale poi abolita nel 1814, a partire dal 1° gen. 1815; Murat istituisce il Banco nazionale delle Due Sicilie, nel quale confluisce anche il Banco di San Giacomo; sia sotto il regno di Giuseppe che con Murat vengono istituite molte scuole pubbliche i cui risultati, tuttavia, non sono positivi e quindi, con decreto 27 gen. 1809, viene istituita una Commissione per l’istruzione con il fine di proporre un testo di legge per un sistema di istruzione pubblica diffuso nel territorio che conclude i suoi lavori con un progetto così costoso da risultare impraticabile; ad altro progetto realizzato presso il Ministero dell’interno, segue la costituzione di una nuova Commissione che elabora un progetto posto a base del decreto organico per l’istruzione pubblica emanato il 29 nov. 1811, con il quale diventa gratuita l’istruzione primaria, già riordinata con decreto 15 set. 1810; vengono riaperti istituti di ordini religiosi se dediti all’istruzione; vengono istituite ulteriori importanti istituzioni culturali; nel corso del 1814 vengono istituite quattro Commissioni per la riforma dei codici, delle finanze pubbliche, delle amministrazioni comunali e dell’esercito; vengono approvate misure per la liberalizzazione dei commerci e il 18 ago. 1814 si decide il ritorno al vecchio sistema monetario dei ducati; con decreti 21 e 22 mag. 1814 viene abolita la coscrizione obbligatoria; a livello periferico si mantiene l’ordinamento approvato da Giuseppe Bonaparte e vengono acquisite al Regno Benevento e Pontecorvo, già enclaves pontificie nello Stato napoletano; erano ripresi, nel corso del 1809, il brigantaggio e ribellioni locali, mentre Murat si propone di organizzare la spedizione in Sicilia, anche se il delinearsi di un’altra guerra della Francia con Vienna ne impongono il rinvio (vittoria di Napoleone sulla quinta coalizione, composta da Inghilterra e Austria, conclusa con la pace di Vienna del 14 ott. 1809, che segna la massima espansione del potere della Francia); a una fallita spedizione anglo-sicula contro il Regno, segue un’ulteriore intensificarsi del brigantaggio fomentato sia dagli inglesi che dai Borboni, rifugiati in Sicilia, mentre i rapporti di Murat con Napoleone si inaspriscono anche dopo aver ricevuto l’autorizzazione imperiale all’impresa siciliana, la cui conclusione infelice acuisce le tensioni con l’imperatore; alla moderazione cui si era improntata la lotta contro il brigantaggio seguono due decreti del set. 1809 che istituiscono le Commissioni militari per una dura repressione che impegna il governo per circa due anni; nel corso del 1811 Murat cerca di accentuare l’indipendenza del Regno da Napoleone e mira alla ricomposizione effettiva del regno delle Due Sicilie; il 7 giu. 1811 viene soppresso l’ufficio di Governatore generale retto da un francese e, con decreto 14 giu. 1811, costringe i quadri francesi dell’amministrazione del Regno a lasciare i loro uffici o ad acquisire la cittadinanza napoletana; Napoleone con decreto 6 lug. 1811 neutralizza l’efficacia del decreto muratiano e affida al gen. Grenier il comando delle truppe francesi nel Regno; nonostante i rapporti tesi, Murat partecipa alla disastrosa campagna di Russia; quando si costituisce la sesta coalizione, cui prendono parte Gran Bretagna, Russia, Prussia, Svezia e, dopo un tentativo di mediazione, l’Austria, che inizia l’offensiva nel feb. 1813, Murat, che non sembra ancora avere un disegno di monarchia italiana sotto di lui, l’11 gen. 1814 stringe un trattato di alleanza con l’Austria che gli garantisce il mantenimento del Regno in cambio della collaborazione tra i due eserciti sulla penisola, e poi un accordo con la Gran Bretagna; il 23 gen. 1814 Murat parte da Napoli e il 31 gennaio stabilisce a Bologna il suo quartier generale occupando tutta la Romagna e le Marche, mentre altre sue truppe avanzano in Toscana fino a Pisa e Lucca; istituisce il Ministero dei dipartimenti italici con il compito di amministrare i territori dell’Italia centro-settentrionale occupati nel periodo gen. 1814-mag. 1815; liberato da Napoleone, giunge a Bologna anche il papa Pio VII che, ottenuto dal Murat il recupero di Roma e delle terre del Patrimonio lasciando a questi il governo degli altri territori ex-pontifici, si trasferisce a Cesena; l’invasione della Francia toglie peso all’intervento di Murat che deve anche fronteggiare ribellioni nel suo Stato; il delinearsi della sconfitta di Napoleone e la stipulazione della Quadruplice alleanza (Gran Bretagna, Russia, Prussica e Austria) il 6 apr. 1814 per gestire il nuovo assetto europeo indeboliscono ulteriormente la posizione di Murat; Napoleone abdica senza condizioni e i Borbone tornano sul trono di Francia; il 20 apr. 1814, in seguito a una convenzione con Parma, Murat restituisce la Toscana a Ferdinando III di Asburgo Lorena, senza neanche preoccuparsi dello Stato dei Presidi che la corona napoletana perde; a seguito della pace di Parigi (30 mag. 1814) i vincitori decidono di affidare a un Congresso delle potenze il futuro assetto dell’Europa, esiliando Napoleone all’isola d’Elba; accordi segreti stabiliti il 30 maggio prevedono la decadenza di tutti i regnanti della famiglia Bonaparte e la rivendicazione da parte dei Borboni che alla loro Casa vengano restituite la Spagna, Napoli e Parma, mentre il papa reclama le Marche occupate dai napoletani e le Legazioni occupate dagli austriaci; in sostanza sia il papa che tutte le potenze europee sono ostili al Murat, il quale riallaccia rapporti con Napoleone e ne appoggia il progetto avventuroso, nella convinzione di poter a sua volta realizzare il proprio disegno italiano; nell’aprile 1815 Murat risale la penisola, stabilendo il quartier generale ad; alla fine di marzo aveva annesso le Marche con i distretti di Urbino, Pesaro e Gubbio; l’Inghilterra, il 9 aprile, e l’Austria il 12 gli dichiarano guerra, quando tutta la penisola fino alla Toscana, all’Emilia e alle Romagne erano cadute in suo potere; dal 15 aprile inizia il ripiegamento che culmina nello scontro di Tolentino (4 mag. 1815) quando già sono perdute la Toscana e Roma e gli austriaci invadono l’Abruzzo; nello Stato si agitano rivolte di Carbonari, mentre ai primi di maggio viene resa nota una costituzione pubblicata da Murat a Rimini il 30 marzo; ma ormai gli austriaci sono a Capua, sei province sono in mano ai Borboni e le altre sembrano attendere il re Ferdinando, pronto a salpare da Messina; affidato l’incarico del comando dell’esercito al Carascosa che con il Colletta deve trattare con i vincitori, Murat lascia Napoli nella notte tra il 19 e il 20 maggio; il 20 maggio viene concluso un armistizio con gli austriaci e gli inglesi che è in sostanza una resa completa con la consegna del Regno ai vincitori, salvo Ancona, Pescara e Gaeta in cui si trovano ancora truppe muratiane; salvo pochi disordini le clausole del trattato-armistizio che prevedono una sostanziale amnistia per tutta la popolazione e misure di salvaguardia per il debito pubblico e il mantenimento delle vendite dei beni dello Stato trovano puntuale applicazione dopo il ritorno dei Borboni.
legge 8 ago. 1806:
- Napoli
- Abruzzo Citeriore (Chieti)
- Abruzzo Ulteriore Primo (Teramo)
- Abruzzo Ulteriore Secondo (Aquila)
- Calabria Citeriore (Cosenza)
- Calabria Ulteriore (Monteleone)
- Principato Citeriore (Salerno)
- Principato Ulteriore (Avellino)
- Terra di Lavoro (Santa Maria di Capua, ora Santa Maria Capua Vetere)
- Capitanata (Foggia)
- Molise (Campobasso, la provincia del Molise è separata da Capitanata con l. 27 set. 1806)
- Terra di Bari
- Terra d’Otranto (Lecce)
- Basilicata (Potenza)
Ripartizione territoriale
Legge “sulla divisione amministrativa delle province del regno”, 8 agosto 1806 n. 132
Province
Capitali
Capoluoghi dei distretti
Napoli
Napoli
Napoli; Pozzuoli; CastellammareCastellammare di Stabia. Il decreto 28 gennaio 1809 n.271 previde un ulteriore distretto con capoluogo Casoria.
Prima d'Abruzzo ulteriore
Teramo
Teramo; Civita di PennePenne, ora in provincia di Pescara.
Seconda d'Abruzzo ulteriore
Aquila (L'Aquila)
Aquila (L'Aquila); Civita DucaleCittà ducale, ora in provincia di Rieti.; Sulmona
Abruzzo Citeriore
Chieti
Chieti; Lanciano
Terra di Lavoro
S. Maria
Santa MariaSanta Maria Capua Vetere. Con decreto 26 settembre 1808 n. 182 l'Intendenza fu trasferita a Capua.; Gaeta; SoraIl decreto 8 giugno 1810 n. 661 stabilì un quarto distretto con capoluogo Nola.
Principato citeriore
Salerno
Salerno; Bonati (Vibonati); Sala (Sala Consilina)
Principato ulteriore
Avellino
Avellino; Montefusco; Ariano (Ariano Irpino)
Capitanata e Contado di MoliseCon legge 27 settembre 1806 n. 189, il Contado di Molise fu separato dalla Capitanata ed eretto in provincia a parte, la sede dell'Intendenza fu fissata in Campobasso, fu prevista una Sottointendenza in Isernia.
Foggia
Foggia; Manfredonia; Campobasso; Isernia
Terra di Bari
BariIn seguito al decreto 26 settembre 1808 n. 182 l'Intendenza di Terra di Bari fu trasferita da Bari a Trani. Il successivo decreto 7 novembre 1808 n. 205, peraltro, revocò la precedente disposizione, sancendo il ritorno dell'ufficio in Bari.
Bari; Barletta; Altamura
Terra di Otranto
Lecce
Lecce; Taranto; Mesagne
Basilicata
Potenza
Potenza; Matera; Lagonegro
Calabria citeriore
Cosenza
Cosenza; Rossano (Rossano Calabro); Castrovillari; Amantea
Calabria ulteriore
Monteleone (Vibo Valentia)
Monteleone (Vibo Valentia); Catanzaro; Reggio (Reggio di Calabria); Gerace
Decreto 4 maggio 1811 n. 922, ""per la nuova circoscrizione delle quattordici province del Regno di Napoli""
Province
Capitali
Capoluoghi dei distretti
Napoli
Napoli
Napoli (distretto urbano); Napoli (distretto extraurbano); Casoria; Pozzuoli; Castellamare
Terra di Lavoro
Capua
Capua; Piedimonte (Piedimone d'Alife); Gaeta; Sora; Nola
Prima d'Abruzzo ulteriore
Teramo
Teramo; Penne
Seconda d'Abruzzo ulteriore
Aquila (L'Aquila)
Aquila (L'Aquila); Città Ducale; Sulmona; Avezzano
Abruzzo citeriore
Chieti
Chieti; Lanciano; Vasto
Molise
Campobasso
Campobasso; Larino; Isernia
Capitanata
Foggia
Foggia; San Severo; Bovino
Terra di Bari
Bari
Bari; Barletta; Altamura
Terra d'OtrantoCon decreto 21 aprile 1813 n. 1697 fu costituito il nuovo distretto di Gallipoli.
Lecce
Lecce; Mesagne Con il decreto sopra citato il distretto di Mesagne si denominò distretto di Brindisi, con Brindisi capoluogo; Taranto
Basilicata
Potenza
Potenza; Melfi; Matera; Lagonegro
Calabria citeriore
Cosenza
Cosenza; Castrovillari; Paola; Rossano
Calabria ultra
Monteleone
Monteleone; Gerace; Catanzaro; Reggio (Reggio di Calabria)
Principato citeriore
Salerno
Salerno; Campagna; Sala; Vallo (Vallo della Lucania)
Principato ulteriore
Avellino
Avellino; S. Angelo dei Lombardi; Ariano
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Torino
Con la restaurazione vennero ripristinati la camera dei conti, gli organi consultivi, da cui derivò nel 1831 il consiglio di Stato, le segreterie di Stato per gli affari interni e per gli affari esteri e la gran cancelleria per gli affari della giustizia alla quale furono uniti nel 1831 gli affari ecclesiastici, in precedenza attribuiti alla segreteria di Stato per gli affari interni. Nell'agosto del 1815 fu costituita la segreteria di guerra e marina, nata dalla fusione della segreteria della guerra, ripristinata nel 1814, e del ministero della marina, istituito con rr. patenti 17 apr. 1815 regno Sardegna, 1815, n. 156.
Nel 1816, con rr. patenti 15 ottobre 7 fu istituito il ministero di polizia nel quale confluivano le competenze di una direzione generale del buon governo, istituita nel 1814 alle dipendenze della segreteria di Stato per gli affari interni - con provvedimento del 13 luglio che istituiva anche il corpo dei reali carabinieri - e soppressa il 15 gennaio 1815. Il ministero veniva poi soppresso nell'ottobre del 1821 a seguito dei moti rivoluzionari.
Sempre nel 1816, con rr. patenti del 12 marzo Raccolta regno Sardegna, 1816, n. 335 veniva istituito un ministero delle finanze che subentrava al generalato di finanze, ripristinato nello stesso anno; con rr. patenti 31 mar. 1817 Ibid., 1817, n. 553 al ministero subentrava la segreteria di Stato delle finanze, unita dal 1841 al 1844 alla segreteria di Stato per gli affari interni.
Con rr. patenti 19 mar. 1816 Ibid., 1816, n. 341 veniva istituita un'intendenza generale per i ponti, strade, acque e selve, le cui competenze furono assorbite nel marzo 1817 dall'azienda economica dell'interno.
Con rr. patenti 31 mar. 1817 Ibid., 1817, n. 553 furono infatti istituite sei aziende economiche: azienda della real casa, azienda economica dell'interno, azienda generale di guerra, azienda di artiglieria, fortificazioni e fabbriche militari, azienda generale delle finanze, azienda generale delle gabelle. Con rr. patenti 29 ag. 1844 Ibid., 1844, n. 451 la regia segreteria di Stato per gli affari dell'interno e delle finanze dava luogo a due distinte segreterie di Stato. Con lo stesso provvedimento divenne segreteria di Stato anche la segreteria di guerra e marina. Con distinti provvedimenti degli anni 1847-1849 le segreterie di Stato si trasformarono in ministeri. Con rr. patenti 7 dic. 1847 Ibid., 1847, n. 650 era stata istituita la segreteria di Stato dei lavori pubblici, agricoltura e commercio, da cui nel 1848 derivarono il ministero dei lavori pubblici e il ministero di agricoltura e commercio, nel quale confluirono, con r.d. 11 ott. 1850 Ibid., 1850, n. 1081 della guerra. Il ministero dell'agricoltura e commercio fu soppresso con r.d. 26 febbr. 1852 8 mentre la marina, dopo una temporanea dipendenza dal ministero delle finanze, fu organizzata in ministero, retto però dal ministro della guerra.
Nel clima creatosi per l'insorgere dei moti rivoluzionari dopo l'avvio di un moderato riformismo nel 1847 in diversi stati della penisola, il re delle Due sicilie, il granduca di Toscana, il papa e il re di Sardegna furono indotti a concedere nei rispettivi stati la costituzione. superata la crisi del 1848-1849 solo Carlo Alberto mantenne lo statuto concesso il 4 marzo 1848. Lo statuto, modellato sulla costituzione francese del 1830 e su quella belga del 1831, rimarrà a fondamento dello Stato anche dopo l'unificazione del regno d'Italia fino al 1946 quando, a seguito del referendum istituzionale che portò alla nascita della repubblica, fu eletta l'assemblea costituente che elaborò la nuova costituzione italiana, entrata in vigore il 1 0 gennaio 1948.
Con r.d. 21 dic. 1850 Ibid., 1850, n. 1122 fu approvato il regolamento relativo alle attribuzioni dei ministeri e del consiglio dei ministri. I ministeri erano otto: affari esteri, interno, guerra, affari ecclesiastici grazia e giustizia, finanze, istruzione pubblica, marina agricoltura e commercio, lavori pubblici.
Con la legge cavouriana del 23 mar. 1853 Raccolta regno Sardegna, 1816, n. 335 e successivo regolamento approvato con r.d. 23 ott. 1853 Raccolta regno Sardegna, 1816, n. 335 si ebbe un organico riordinamento dell'amministrazione centrale su cui venne a modellarsi l'ordinamento del regno d'Italia. In base all'ordinamento cavouriano furono soppresse le aziende economiche, le cui funzioni confluirono nei ministeri cui facevano capo le rispettive competenze. L'articolazione di ciascun ministero prevedeva il gabinetto del ministro, il segretariato generale, direzioni generali articolate in divisioni, a loro volta articolate in sezioni. Talora le divisioni non venivano raggruppate in direzioni generali
Genova
Occupata Genova dagli inglesi nell'aprile 1814, lord Bentinck, con proclama del 26 aprile, nominò un governo provvisorio fornito di potere legislativo ed esecutivo. Tredici membri formavano due collegi: senato o governatori, camera o procuratori. I collegi si suddividevano in tre giunte, ciascuna di tre senatori: giunta degli affari esteri, giunta degli affari interni e giunta degli affari ecclesiastici. Furono quindi istituiti i magistrati della guerra e marina, degli inquisitori di Stato o di alta polizia, dell'università degli studi, dalla commissione di sanità, composta di tre patrizi, tre cittadini, e di un senatore per presidente.
Con decreto 3 mag. 1814 Raccolta delle leggi ed atti pubblicati dal governo provvisorio della serenissima repubblica di Genova, Genova 1814, n. 11., il territorio fu diviso in giurisdizioni, cantoni e comuni. Le giurisdizioni, rette ciascuna da un governatore, erano sette: Polcevera, Ponente, Confini occidentali, Bisagno, Levante, Confini orientali, Oltre Giogo. I cantoni e i comuni mantenevano i confini precedenti ma ai maires subentrarono i capi anziani e ai consigli municipali i consigli o parlamenti degli anziani.
In base alla legge 4 mag. 1814 Ibid., n. 13 erano confermati i giudici di pace (era però abolita la conciliazione), i tribunali di commercio, i tribunali di prima istanza di Genova, San Remo In provincia di Imperia Porto Maurizio (Imperia), Savona, Novi (Novi Ligure) In provincia di Alessandria., Chiavari, Spezia e Sarzana In provincia di La Spezia.
Le cause criminali erano giudicate invece, in luogo della vecchia corte, dai tribunali di prima istanza che, con l'aggiunta di tre membri ai tre giudici ordinari, formavano il tribunale criminale del circondario. A Genova il tribunale criminale, costituito da cinque membri, giudicava anche gli appelli sulle sentenze correzionali. Sempre a Genova furono istituiti un tribunale di appello, competente, nelle cause civili, a giudicare gli appelli contro le sentenze di tutti i tribunali di prima istanza e di commercio e un tribunale di cassazione.
Gli sforzi diretti a conservare l'autonomia della nuova repubblica fallirono. Al congresso di Vienna, nella seduta del 12 novembre, ne fu deliberata l'annessione al Piemonte.
Il 26 dicembre 1814 il governo provvisorio abbandonò il potere. Il 7 gennaio 1815 Ignazio Thaon di Revel, commissario plenipotenziario per l'annessione di Genova al Piemonte ricevette dalle mani dei rappresentanti inglesi il possesso di Genova: la repubblica entrò a far parte del regno sardo
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http://dati.san.beniculturali.it/SAN/CAI4780,http://dati.san.beniculturali.it/SAN/descrizioneCSI,"Con il trattato di Vienna del 9 giu. 1815, a norma dell'art. 98, Maria Beatrice d'Austria Este rientrò in possesso dell'antico ducato di Massa e Carrara. Le vennero assegnati anche gli ex feudi imperiali della Lunigiana che furono da lei ceduti con convenzione 20 dic. 1815 al figlio Francesco IV duca di Modena. Con la morte della duchessa, avvenuta nel 1829, anche il ducato di Massa passò sotto il dominio della casa d'Este, conservando una sua autonomia amministrativa che durò sino al 1 aprile 1840, quando il territorio degli stati di Massa e Carrara fu riunito, insieme a quello della Lunigiana estense, in un'unica compagine amministrativa, con Massa come sede del governatore. Dopo la rivoluzione del 1848-1849, che condusse all'annessione del territorio alla Toscana, il governo cosi unificato tornò agli austro-estensi, che istituirono a Massa una delegazione del ministero dell'interno per Massa e Carrara e la Lunigiana Per la storia istituzionale di questo periodo cfr. le notizie date nella voce [
GG0510026021AS Modena]
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La legge 8 dic. 1816 Collezione regno Due sicilie, 1816, n. 565 stabiliva nell'art. 1 che tutti i "" reali domini al di qua e al di là del Faro "" costituissero il regno delle Due Sicilie. Con legge 11 dic. 1816 Ibid., n. 567. 3 Ibid., 1818, n. 1059 era riconosciuta alla Sicilia una particolare autonomia, anche se veniva confermata l'esigenza dell'unità delle istituzioni politiche. Questa legge prevedeva l'istituzione del luogotenente generale per la Sicilia. Solo però con decreto 9 genn. 1818 Ibid., 1818, n. 1059 furono stabilite le norme per l'organizzazione della real segreteria e ministero di Stato presso il luogotenente generale, mentre gli organi collegiali della consulta e della gran corte dei conti furono istituiti rispettivamente nel 1821 e nel 1818. A partire dal 1818 dunque si ebbero via via puntuali disposizioni per l'organizzazione amministrativa e giudiziaria dell'isola. In particolare per gli organi del potere giudiziario, la legge 22 dicembre 1818, n. 1422, aboliva, dal 1° gennaio 1819, tutti i poteri giudiziari operanti a quella data in Sicilia.
Parallelamente, istituiva in Sicilia, da quella medesima data, in via provvisoria, quattro commissioni: due a Palermo, che sostituivano, l’una la Gran corte civile e criminale, l’altra le curie civile e criminale; una a Messina, per l’esercito delle funzioni proprie di quella regia udienza; una a Catania, con le funzioni della curia di quella città.
Sempre provvisoriamente, si stabiliva che in ciascun comune vi fosse un solo giudice, con funzioni sia civile che criminale; che i capitani giustizieri proseguissero nelle loro funzioni; che il Consolato di mare e terra di Messina continuasse ad esercitare le proprie attribuzioni.
Altre norme per l’attuazione di quanto disposto dal sopra citato decreto, venivano dettate con i decreti 12 gennaio 1819, n. 1453, n. 1454, n. 1455 e n. 1464.
Temperando le disposizioni sull’abolizione dei poteri giudiziari, il decreto 12 gennaio 1819, n. 1465, disponeva che la soppressione del Supremo tribunale di giustizia di Palermo, per quanto riguardava la sua funzione consultiva, prestata alla luogotenenza, doveva intendersi che quella particolare funzione sarebbe stata esercitata da una speciale commissione consultiva che così istituiva in Palermo.
Il 13 gennaio 1819, il decreto n. 1466, prorogava, sino all’espletamento dei loro incarichi, l’attività dei giudici deputati per le vendite col verbo regio.
Le commissioni giudiziarie provvisorie di Palermo, Messina e Catania, in base al decreto 9 febbraio 1819, n. 1491, venivano completate con la nomina, in esse, di supplenti.
Inoltre, il decreto 26 marzo 1819, n. 1643, rilevando che si era determinato un aggravio di lavoro per le due commissioni provvisorie istituite a Palermo, creava un’apposita Commissione straordinaria (costituita da tre giudici, un pubblico ministero, un avvocato dei poveri e un sollecitatore), deputata a giudicare con l’antico procedimento “de mandato”, ma rimettendo, tuttavia, le cause alla prima commissione qualora le parti non accettassero la sentenza “de mandato”.
Infine, il decreto 31 marzo 1819, n. 1551, confermava la permanenza del giudice di scala e porto franco di Messina, essendo egli giudice di revisione per le sentenze pronunciate da quel consolato, che era stato confermato dai decreti 1° settembre 1817, n. 870, 22 dicembre 1818, n. 1422, e 23 marzo 1819, n. 1529.
A seguito della nuova, organica legislazione cessarono di funzionare istituti secolari, sostituiti da organi paralleli a quelli già in vigore nelle province napoletane, sia pure con gli adattamenti e le divergenze che verranno segnalate nella descrizione dei singoli fondi.
Domini al di qua del Faro (Italia meridionale)
Province
Capoluoghi
Napoli
Napoli
Terra di Lavoro
Santa Maria di Capua (poi Santa Maria Maggiore); dal 1820 Caserta
Abruzzo ulteriore primo
Teramo
Abruzzo ulteriore secondo
Aquila (L'Aquila)
Abruzzo citeriore
Chieti
Molise
Campobasso
Capitanata
Foggia
Terra di Bari
Bari
Terra d'Otranto
Lecce
Basilicata
Potenza
Calabria ulteriore prima
Reggio (Reggio di Calabria)
Calabria ulteriore seconda
Catanzaro
Calabria citeriore
Cosenza
Principato ulteriore
Avellino
Principato citeriore
Salerno
Domini al di là del Faro (Sicilia)
Capoluoghi di Valle
Capoluoghi dei distretti
Palermo
1 Palermo; 2 Cefalù; 3 Corleone; 4 Termini
Messina
5 Messina; 6 Castroreale; 7 Mistretta; 8 Patti
CataniaCon decreto 3 febb. 1838, n. 4458 si aggiunse nella valle un quarto distretto ad Acireale
9 Catania; 10 Caltagirone; 11 Nicosia
Girgenti (Agrigento)Abolita con decreto 12 giugno 1828, n. 1878 fu ricostituita con decreto 16 dic. 1828, n. 2167
12 Girgenti; 13 Bivona; 14 Sciacca
Siracusa, dal 1837 NotoIn luogo di Siracusa, con decreto 23 ag. 1837, n. 4209, fu elevata a capoluogo di valle Noto. Con decreto 5 ott. 1838, n. 4859 Siracusa, che era stata declassata a capoluogo di circondario, divenne capoluogo di distretto
15 Siracusa; 16 Modica; 17 Noto
Trapani
18 Trapani; 19 Alcamo; 20 Mazara
Caltanissetta
21 Caltanissetta; 22 Piazza; 23 Terranova
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sec. XI-1285: Umberto I Biancamano diventa conte di Savoia nel 1003; il figlio, sposando Adelaide, marchesa di Torino, estende i suoi domini al di qua delle Alpi, anche se di fatto il dominio di questi territori resta ad Adelaide fino al 1091; verso la fine del sec. XI a Torino che diventa comune indipendente si afferma l’autorità del vescovo, mentre Umberto II di Savoia assume anche il titolo di marchese di Torino, senza riuscire ad occupare la città; i Savoia cercano di rivendicare i loro diritti su Torino, ma nel 1136 l’imperatore Lotario III riconosce ai Torinesi le libertà comunali; nel 1159 Federico Barbarossa riconosce al vescovo la completa signoria comitale sulla città; sorti gravi dissidi tra Amedeo IV di Savoia e i fratelli, negli anni Trenta del sec. XIII, la lunga lotta tra Torino, sostenuta dall’imperatore anche in danno dell’autorità episcopale, e i Savoia sembra concludersi con un trattato perpetuo di pace e di amicizia; dopo la battaglia di Cortenuova, nel 1237, l’imperatore Federico II impone a Torino il governo di un capitano imperiale, ma nel 1248 la concede in feudo ai Savoia che occupano la città nel 1251, ingaggiando una dura lotta con Asti, Chieri e Moncalieri; il conte Amedeo IV investe il fratello Tommaso II di tutto il Piemonte nel 1252, ma dopo la sconfitta dei Savoia a Moncalieri, nel 1255, Torino si ricostituisce in libero comune, sotto il predominio del comune di Asti; dal 1270 Asti e, di conseguenza, anche Torino passano sotto la signoria di Carlo I d’Angiò, poi del marchese del Monferrato e, nel 1280, dei Savoia, cessando così la contrastata indipendenza del Comune torinese
1285-1416: Amedeo V, che ottiene dall’imperatore Enrico VII il titolo di vicario imperiale, concede nel 1285 Torino e i territori italiani come feudo dei Savoia al nipote Filippo (Savoia Acaia) che prende possesso della città solo nel 1295; nel 1310 Amedeo V è nominato vicario per il Piemonte dall’imperatore Enrico VII; Amedeo VI stronca un tentativo di Giacomo Savoia Acaia di costituire con i territori subalpini un piccolo Stato indipendente dalla Contea di Savoia e riconferma gli statuti cittadini nel 1360; dal 1360 al 1363 Amedeo VI governa Torino e i territori subalpini, quando restituisce Torino e i territori subalpini a Giacomo Savoia Acaia con rigidi legami di vassallaggio e dipendenza; nel 1416 Amedeo VIII è nominato duca di Savoia dall’imperatore Sigismondo
1418: con l’estinzione della linea Savoia Acaia, Amedeo VIII, nominato anche duca di Piemonte, unifica definitivamente gli Stati sabaudi, provvedendo a una prima unificazione amministrativa delle vecchie e delle nuove province, e stabilisce a Torino il centro dei territori sabaudi subalpini
1418-1713: Torino e i territori subalpini fanno parte del Ducato di Savoia, salvo il periodo della dominazione francese dal 1536 al 1562, quando Emanuele Filiberto - che aveva ripreso il possesso del Ducato di Savoia nel 1559 - può entrare a Torino, stabilendovi definitivamente la capitale del Ducato
1713-1718: a seguito del trattato di Utrecht, la Sicilia viene unita al Ducato di Savoia e Piemonte sotto Amedeo II che assume anche il titolo di re di Sicilia
1718-1797: a seguito della pace dell’Aia, la Sicilia viene ceduta agli Asburgo d’Austria mentre la Sardegna viene ceduta ai Savoia che diventano re di Sardegna
- 1379: Biella passa alla Contea di Savoia
- 1382: Cuneo passa alla Contea di Savoia
- 1427: Vercelli viene ceduta al Ducato di Savoia
- 1427: Vercelli viene ceduta al Ducato di Savoia
- 1538: Asti passa al Ducato di Savoia, ove rimane definitivamente, dopo alterne vicende, dal 1575
- 1556-1708: il marchesato del Monferrato è unito, per ragioni matrimoniali, al ducato di Mantova
- 1576: il Principato di Oneglia passa al Ducato di Savoia
- 1601: il Marchesato di Saluzzo passa al Ducato di Savoia
- 1707: Varallo (Val Sesia) passa al Ducato di Savoia
- 1708 (a seguito del trattato di Torino del 1703, poi confermato dal trattato di Utrecht del 1713): il Marchesato del Monferrato, Alessandria e Lomellina passano al Ducato di Savoia
- 1713 (trattato di Utrecht): la Sicilia passa sotto il dominio sabaudo, con Vittorio Amedeo, duca di Savoia e Piemonte e re di Sicilia; vengono confermate la cessione ai Savoia di Alessandria, della Lomellina e del Monferrato ai Savoia
- 1718 (trattato di Londra): la Sardegna passa al duca di Savoia, che assume il titolo di re di Sardegna, mentre la Sicilia passa sotto la dominazione austriaca con Carlo VI d’Austria, fratello dell’imperatore Giuseppe I
- 1738 (trattato di Vienna): occupata dai Savoia nel 1734, Novara, insieme al Contado novarese e ai territori del Basso Novarese, passa al Regno di Sardegna; passa altresì al Regno di Sardegna il Tortonese che alla metà del sec. XIV era entrato a far parte della signoria dei Visconti
- 1743 (trattato di Worms): Vigevano, il Contado di Vigevano, parte del Pavese e l’Oltrepò pavese, i territori dell’Alto Novarese, Piacenza (che torna al Ducato di Parma nel 1749) con il suo territorio, oltre ai diritti sul Marchesato di Finale, passano al Regno di Sardegna
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sec. XI-1528: Comune; tra la fine del sec. XI e il sec. XII si sviluppa l’espansione di Genova nel Medio Oriente; dall’alleanza con i Normanni, passa nel 1162 ad un accordo con Federico Barbarossa che garantisce alla città l’infeudazione della Riviera; al consolato collegiale ed ereditario si sovrappone l’istituto del podestà, ma alla vittoria del comune sui feudatari consegue una costante discordia tra le famiglie cittadine che si esprimono nei partiti guelfo e ghibellino; nel 1257 si afferma la borghesia con Guglielmo Boccanegra che istituisce il capitano del popolo che dura per pochi anni, anche se saltuariamente riemerge fino alla definitiva soppressione nel 1477; all’inizio del sec. XIII, durante la minorità di Federico II, Genova aveva affermato la sua egemonia sulla Sicilia, facendone la base per il predominio nel Mediterraneo centrale, in concorrenza con Pisa che a lungo contende a Genova il predominio sulla Sardegna e sulla Corsica, e in antitesi con Venezia che afferma il suo dominio sul Mediterraneo orientale; la sconfitta di Pisa nella battaglia della Meloria (1284) porta al dominio esclusivo di Genova nel mar Tirreno; la vittoria delle isole Curzolari su Venezia, nel 1298, porta allo stremo Genova che ha bisogno della mediazione di Matteo Visconti per la conclusione della pace nell’anno successivo; nel 1311 Genova si dà in signoria all’imperatore Enrico VII; già nel 1317 i guelfi, guidati dai Fieschi e dai Grimaldi, con l’aiuto di Roberto, re di Napoli, s’impadroniscono del potere e, successivamente, neutralizzano i ghibellini, guidati dagli Spinola e dai Doria e aiutati da Castruccio Castracani (1324); nel 1339 il movimento antinobiliare si conclude con la nomina a signore e doge a vita di Simone Boccanegra; inizia così il periodo dei dogi perpetui che dura fino al 1528, turbato dalle lotte tra le famiglie nobiliari che, pur escluse dal dogato, mantengono un peso rilevante, favorendo le contrastanti influenze di Milano e dei francesi. Nel 1353 Genova, sconfitta da Venezia e dagli Aragonesi, si dà in signoria ai Visconti, mentre i re d’Aragona le tolgono il possesso della Sardegna; cacciati i Visconti nel 1356, si afferma il governo popolare che non riesce a superare lo scontro con Venezia nella guerra di Chioggia (1378-1381); dal 1396 al 1409 la città è ceduta a Carlo VI, re di Francia, mentre dal 1421 al 1436 si afferma in Genova la signoria dei Visconti; Genova perde le colonie e, con la caduta di Costantinopoli in mano turca (1453), si chiude la politica coloniale della città che resta comunque emporio commerciale preminente nel Mediterraneo; dal 1459 al 1461 Genova subisce il dominio francese; dal 1464 al 1466 si ha la signoria di Francesco I Sforza, cui il Banco di S. Giorgio aveva ceduto nel 1463 il governo della Corsica, nuovamente ceduta al Banco circa venti anni dopo; salvo il decennio 1478-1487, gli Sforza, duchi di Milano, mantengono tra alterne vicende la loro presenza in Genova finché nel 1499 i Fieschi consegnano al re di Francia, Luigi XII, la città; dal 1506 la città subisce le vicende delle lotte franco-imperiali finché Andrea Doria, passando dai francesi all’imperatore Carlo V, ottiene il riconoscimento dell’autonomia alla città
1528-1797: la città entra nel sistema politico degli Asburgo di Spagna e vi si costituisce la Repubblica aristocratica, retto da dogi biennali, con prevalenza della vecchia aristocrazia, ma anche con larga parte di quella nuova di origine borghese iscritta nel liber civitatis; i successori di Andrea Doria non riescono ad impedire l’occupazione spagnola del Marchesato di Finale (1598), che Genova riconquisterà solo nel 1713 e a fatica recuperano la Corsica, a seguito della sollevazione di Sampietro di Bastelica (1564); l’impegno maggiore è comunque richiesto per arginare i tentativi espansionistici dei Savoia, che indurrà dalla fine del sec. XVII più stretti legami con la Francia; nel 1729 insorge la Corsica che rimane in armi per circa 40 anni; occupata dagli imperiali nel 1746, durante la guerra di successione austriaca, Genova viene aiutata dai francesi e ottiene con la pace di Aquisgrana nel 1748 il riconoscimento del possesso della Corsica, ove però il successo della rivolta di Pasquale Paoli porta alla definitiva cessione della Corsica alla Francia, nel 1768; la Repubblica aristocratica dura fino al maggio-giugno 1797
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sec. IX-XIV: gode di autonomia, sotto la guida del doge; nel 1204, quando Baldovino di Fiandra fonda l’Impero latino di Costantinopoli, una parte del territorio greco resta a Venezia e cioè gran parte della Morea, le isole di Negroponte, Candia, le Cicladi e le Sporadi, Gallipoli, l’Epiro, l’Acarnania, l’Etolia, le isole Jonie e una parte di Costantinopoli; si estende in Dalmazia nelle città di Zara, Spalato, Ragusa e, dopo la perdita di Ragusa, si espande verso l’Albania (1392-1479), eccetto Croia e il suo territorio, che verranno cedute successivamente, tra il 1468 e il 1474; rimane sempre estranea al Sacro romano impero; si forma il patriziato, nelle cui mani si concentra la direzione della città; nel 1297 il doge Pietro Gradenigo emana le leggi note come “serrata del Maggior consiglio”, la cui appartenenza diviene ereditaria, dando origine al governo aristocratico della Repubblica di Venezia; nei secc. XII-XIII, mediante la partecipazione alle Crociate e con l’acquisto di scali ed empori, Venezia getta le basi per l’espansione in Oriente; tra il 1346 e il 1357, sotto l’assalto ungherese, perde la Dalmazia; si delinea lo scontro con Genova che si sviluppa nel sec. XIII e soprattutto nella seconda metà del sec. XIV, dapprima con gli attacchi del 1370-1375 e poi nel 1378-1381 con la penetrazione di Genova nell’Adriatico fino alla presa di Chioggia; la guerra di Chioggia si conclude con il trattato di Torino
secc. XIV-XV: Venezia avvia la politica di espansione in terraferma, ove già possedeva Treviso;
il possesso della terraferma è anche necessario per fronteggiare a oriente l’avanzata dei Turchi, la cui conquista di Costantinopoli, nel 1453, costituisce una minaccia per Venezia che, a seguito della pace del 1479, cede ai Turchi Negroponte, le Sporadi, Lemmo, Argo e, in Albania, Croia e Scutari; nel 1402 riacquista la Dalmazia dal re d’Ungheria;
secc. XVI-XVII: l’espansione verso la pianura padana determina il contrasto con Milano, mentre sempre più gravosa diventa la difesa in oriente contro i Turchi; nel 1508 si costituisce la Lega di Cambrai stretta dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo (che mira alla terraferma veneta), Luigi XII, re di Francia e padrone della Lombardia (che vuole recuperare i territori lombardi), il papa Giulio II (che vuole recuperare le Romane) e Ferdinando il Cattolico, re d’Aragona contro Venezia accusata di aspirare al dominio d’Italia: Venezia viene sconfitta dai Francesi, nel 1509, nella battaglia di Agnadello, ma il papa, temendo l’espansione francese, dopo aver riottenuto i suoi territori, stringe con Venezia e la Spagna la Lega Santa contro i Francesi; la sconfitta di Agnadello segna comunque la fine dell’espansione di Venezia, che tuttavia salvaguarda i possedimenti di terraferma e cerca di limitare le perdite in oriente; nel 1540 perde la Morea, nel 1569-1573 Cipro e, dopo una lunga guerra dal 1645 al 1669, Candia; negli ultimi decenni del sec. XVII Venezia ha una fase di ripresa con la riconquista della Morea, nel 684, poi definitivamente perduta nel 1718
1797: con il trattato di Campoformio cessa la Repubblica di Venezia; abdicazione dell’ultimo doge, Lodovico Manin.
- 1283-1287: occupazione di Trieste
- 1339: acquista Treviso, Bassano e Castelfranco; ne riconferma definitivamente il dominio nel 1389, perduto nel 1381
- 1404: occupa Belluno, che dopo una breve dominazione imperiale (1411-1420), passa definitivamente sotto la Repubblica di Venezia nel 1420
- 1404: occupa Cividale e Vicenza
- 1405: si impossessa di Padova e Verona; Verona, salvo una breve dominazione imperiale (1509-1516), rimane definitivamente nella Repubblica di Venezia
- 1416-1507: Rovereto passa sotto il dominio della Repubblica di Venezia e, nel 1507, viene ceduta agli Asburgo d’Austria
- 1420: occupa il Patriarcato di Aquileia e assoggetta Udine
- 1428: ottiene Bergamo e Brescia dal Ducato di Milano
- 1454: a seguito della pace di Lodi ottiene Crema dal Ducato di Milano
- 1484: ottiene definitivamente Rovigo e il Polesine, a seguito di dedizione alla Repubblica di Venezia, su cui aveva già esercitato il suo dominio negli anni 1395-1438
- 1496-1503: Brindisi rientra nei suoi domini
- 1504: estende il suo dominio a varie città delle Romagne
- 1537: Pordenone passa alle dirette dipendenze della Repubblica di Venezia, che nel 1508 ne aveva rivendicato il possesso all’imperatore Massimiliano I ed era stata ceduta in feudo nel 1514 al condottiero Bartolomeo d’Alviano
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Già ducato longobardo Trento fu capoluogo di marca carolingia. Nel 952 questa marca, assieme a quella di Verona, fu unita da Ottone I al ducato di Carantania ed entrò a far parte del regno di Germana. Gli imperatori tennero ad assicurarsi il controllo della via dell'Isarco e dell'Adige unendo il potere temporale a quello ecclesiastico mediante investiture della regione concesse a vescovi conti. si costituì così al principio del sec. XI il principato ecclesiastico La prima concessione feudale al vescovo viene datata 1004 da quasi tutti gli storici; ma il diploma relativo è andato perduto di Trento che - con diploma del 31 maggio 1027 - l'imperatore Corrado II riconfermava e ampliava. Il principato venne a ricomprendere quasi tutto il bacino dell'Adige, fino alla Chiusa di Verona Questi confini del principato non coincidevano con quelli della diocesi di cui il vescovo era il capo spirituale e durò per quasi otto secoli fino alla sua definitiva, formale secolarizzazione del 1803.
Restavano però fuori del principato i paesi della Valsugana da Roncegno a Tezze e tutta la conca di Tesino e quella di Primiero: paesi questi compresi nel dominio temporale e spirituale del vescovo di Feltre, ma passati, dopo altre varie temporanee dominazioni tra la fine del sec. XIV e il principio del sec. XV, in potere degli Asburgo divenuti anche conti del Tirolo. Nelle valli dell'Avisio il confine fino al 1100 circa passava poco a nord di Predazzo e non molto dopo fu spostato poco a nord di Moena, restando la rimanente Val di Fassa sotto il dominio temporale e spirituale dei vescovi di Bressanone.
Il principato vescovile, come tutte le signorie ecclesiastiche, doveva servirsi in particolari affari temporali (ad es. contese giudiziarie) di un rappresentante laico, detto avvocato della Chiesa. Questa carica, all'inizio solo di rappresentanza, assunse con il tempo sempre maggiore importanza, fino a divenire, con i conti del Tirolo - che ottennero addirittura l'ereditarietà di tale ufficio (1240) - un vero e proprio esercizio del potere temporale. Contemporaneamente all'accrescersi del loro potere e dell'influenza sul principe vescovo, i conti del Tirolo iniziarono con Mainardo II (1265) ad occupare di fatto gran parte del territorio del principato, limitando in tal modo il dominio del principe vescovo. Alla morte del giovane Mainardo III, nel 1363, la madre Margherita, detta Moultasch, cedette i suoi possessi tirolesi a Rodolfo IV duca d'Austria, che aggiunse agli altri titoli anche quello di conte del Tirolo. Nello stesso anno le "" compattate "" del 18 sett. 1363, tra Rodolfo IV e il vescovo di Trento Alberto di Ortenburg, sancivano tale stato di fatto con una serie di clausole che tutelavano soprattutto i diritti e gli interessi dei conti del Tirolo, i quali da allora in poi avrebbero governato direttamente larga parte del principato.
Furono da loro, fra l'altro, recuperati al Tirolo possedimenti che erano appartenuti al principato: così, nel 1509, riebbero dai veneziani, oltre a Rovereto, anche i quattro vicariati di Ala, Avio, Brentonico e Mori; questi ultimi tornati però nel 1532 al principato.
Il territorio del principato nei primi secoli era diviso in gastaldie con a capo un gastaldo, amministratore dei redditi del principe vescovo, giudice in affari civili e, se necessario, capo militare.
verso la fine del sec. XIII ai gastaldi subentrarono i capitani o vicari (in seguito, a volte, sostituiti da luogotenenti o commissari), coadiuvati da un assessore (giudice) e da un massaro (amministratore delle entrate vescovili).
Alcuni territori furono amministrati talvolta solo per alcuni periodi direttamente da funzionari vescovili (così, ad esempio, Castelcorno, le Giudicarie, Levico, Lodrone, Pergine, Riva, Borgo di Storo, Tenno, Trento, la al di Fiemme, la al di Ledro, le valli di Non e di Sole), mentre altre furono concesse in feudo dal principe vescovo a famiglie nobili trentine: Beseno e Caldonazzo ai Trapp, Castellano e Castelnuovo ai Lodron, Fai e Zambana agli Spaur, Grumès ai Barbi, Lodrone ai Lodron, Masi di Vigo e Tuenetto ai Thunn, i Quattro vicariati ai Castelbarco, Rabbi ai Thunn e Segonzano agli a Prato.
Anche le prime circoscrizioni amministrative e giudiziarie che si vennero costituendo nei domini dei conti del Tirolo erano rette da capitani o vicari ed anche in questo caso alcune furono rette direttamente da funzionari dipendenti dai conti del Tirolo (Folgaria e pretura di Rovereto) ed altre invece concesse in feudo a nobili: Arco, Penede e Drena agli Arco, Arsio agli Arsio, Belfort ai saracini, Castelfondo ai Thunn, Castellalto ai Buffa, Castello di Fiemme agli Zenobio, Fiera di Primero ai Welsperg, Fiavon e Sporo agli Spaur, Gresta ai Castelbarco, Konigsberg e Cembra agli Zenobio, Ivano e Tesino ai Wolkenstein, Mezzocorona ai Firmian, Nomi ai Fedrigazzi e Telvana ai Giovanelli.
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PARMA
secc. XII-1512: Comune; vi governano, con alterne vicende, varie famiglie, tra cui i Da Correggio; si sottomette al papa tra il 1326 e il 1328; seguono altre contese che, oltre al prevalere delle famiglie dei Rossi, dei Da Correggio e dei Terzi portano alle dominazioni di Lodovico il Bavaro (1329-1331) e Giovanni di Lussemburgo (1331-1333), degli Scaligeri ( 1335-1341), degli Este (1344-1346 e 1409-1420), dei Visconti (1346-1404 e 1420-1447) e degli Sforza (1449 e 1499-1500) cui segue l’assegnazione al re di Francia, Luigi XII d’Orléans (1500-1512)
1512-1545: dominazione dello Stato della Chiesa alternata al governo francese di Francesco I per il figlio Pier Luigi
1545-1731: il Ducato di Parma e Piacenza è retto dai Farnese
1731-1736: il Ducato di Parma e Piacenza passa ai Borboni, quando Carlo I di Borbone, figlio di FilippoV, re di Spagna, e di Elisabetta Farnese entra nel 1731 a Parma, ove governa fino al 1734, quando gli subentra una r. Giunta di governo che regge il Ducato in suo nome fino al 1736
1736-1748: gli Austriaci occupano il ducato a nome dell’imperatore Carlo VI; nel 1746 Maria Teresa d’Austria unisce Guastalla al ducato; le truppe spagnole occupano Parma a nome di Elisabetta Farnese dal 1745 al 1746; poi gli Austriaci rioccupano Parma ove restano fino al 1748
1749-1802: il Ducato di Parma Piacenza e Guastalla torna ai Borboni
PIACENZA
sec. XII-1414: Comune; nel corso del sec. XIII, con alterne vicende, vi esercita la signoria dei Pelavicino, mentre il Comune si mette sotto la protezione del papa nel 1266 e poi di Roberto d’Angiò, cui subentra Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, dal 1271 al 1281, e riconquista brevi periodi di indipendenza (1281-1290, 1304-1307 e 1310-1311); nel sec. XIV subisce il breve dominio dell’imperatore Enrico VII (1311-1312), il dominio dello Stato della Chiesa (1322-1335), mentre vi si alternano anche le signorie degli Scoto, dei Della Torre, dei Visconti (1313-1322 e 1336-1404); ai Visconti subentra il governo di Facino Cane, signore di Alessandria, Tortona e Novara, dei Terzi, e, dopo una breve occupazione francese, di Giovanni Vignati e di Sigismonso di Lussemburgo
1414-1499: tornano i Visconti e, salvo la breve parentesi di Filippo Arcelli (1415-1418), Piacenza viene unita alla Repubblica ambrosiana (1447-1448) e nel 1448 vi entra Francesco Sforza, rimanendo unita al Ducato di Milano fino al 1499
1499-1512: occupata dai Francesi, passa nel 1512 allo Stato della Chiesa
1512-1556: fa parte, insieme a Parma, dello Stato della Chiesa fino al 1547, quando viene occupata, in nome dell’imperatore Carlo V, da don Ferrante Gonzaga e viene di nuovo annessa al Ducato di Milano fino al 1556
1556-1744: Ottavio Farnese, duca di Parma ottiene Piacenza, sotto la sovranità dell’imperatore, che entra a far parte del Ducato di Parma e Piacenza
1744-1749: in base al trattato di Worms, Piacenza e parte del suo territorio passano a Carlo Emanuele III, re di Sardegna (1744-1745); viene poi occupata dagli Spagnoli, a nome di Elisabetta Farnese (1745-1746) e ancora dagli Austriaci, a nome del re di Sardegna (1746-1749); le truppe spagnole entrano, infine, a Piacenza in nome di Filippo di Borbone, duca di Parma, Piacenza e Guastalla
1749-1796: Piacenza fa parte del ducato retto dai Borbone
GUASTALLA
sec. XII-1509: dal 1186 al 1195, l’imperatore Federico I è riconosciuto signore di Guastalla; nel corso del sec. XIV vi si alternano le signorie dei Da Correggio, dei Visconti (1347-1402), dei Terzi e dei Torelli, finché nel 1509 passa sotto il dominio dei Gonzaga
1509-1748: fa parte del Ducato di Mantova fino al 1746; occupata dai Francesi (1702-1704) e dai Cesarei nel 1734 è ceduta ai Gallo-Sardi dal 1734 al 1738, quando torna ai Gonzaga che vi governano fino all’occupazione degli Austriaci, nel 1746, a nome di Maria Teresa d’Austria che, a seguito del trattato di Aquisgrana del 1748, la cede al Ducato di Parma e Piacenza
1748-1796: fa parte del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla
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ROMA
1177: accordo tra il papa e l’imperatore che rinuncia alle sue pretese su Roma; Alessandro III è riconosciuto legittimamente papa e principe indipendente di Roma
1198-1216: il papa Innocenzo III riorganizza lo Stato pontificio e il potere universale della Chiesa, facilitato dalla crisi in cui versa l’Impero dopo la morte di Enrico VI e di sua moglie Costanza di Altavilla che affida il figlio Federico alla tutela del papa; nel 1198 il papa impone ai baroni tedeschi l’incoronazione di Federico a re di Sicilia; nel 1209 appoggia in Germania il guelfo Ottone di Brunswick contro il ghibellino Filippo di Svevia, ottenendo in cambio la rinuncia dell’Impero alle pretese proclamate da Federico Barbarossa e riprese da Enrico VI sull’Esarcato, sulla Marca d’Ancona e sul Ducato di Spoleto; nel 1211 (o 1212) appoggia l’elezione del suo pupillo Federico a re di Germania, con la promessa di tenere separati il regno di Germania e l’Impero dal regno di Sicilia
sec.XII-1309: mentre la Chiesa diventa una monarchia teocratica, il Comune, che ha vita difficile nell’antagonismo tra Chiesa e Impero, si sottomette nel 1188 o 1198 al papato; l’alleanza papale-angioina e i contrasti tra le grandi famiglie, prime fra tutte i Caetani e gli Orsini, ostacolano sia il consolidarsi delle istituzioni comunali che l’affermarsi di un governo signorile. Il Comune, tuttavia, esplica la sua attività cercando di estendere il suo dominio sui comuni vicini e di limitare la sovranità della Chiesa; la dignità senatoriale, pertanto, viene contesa sia dalle famiglie locali che da sovrani stranieri, ma le cariche pubbliche restano nelle mani delle famiglie romane - Orsini, Colonna, Savelli, Annibaldi, Caetani - cui appartengono anche pontefici e cardinali; nel 1220 l’imperatore Federico II conferma alla Chiesa il possesso degli antichi Stati, della Marca d’Ancona e di quelli lasciatigli da Matilde di Canossa
1309-1377: la sede papale è trasferita ad Avignone; discesa a Roma dell’imperatore Enrico VII e breve signoria di Roberto d’Angiò (1314-1326); il popolo offre l’investitura imperiale a Ludovico il Bavaro; nel 1347 Cola di Rienzo assume il titolo di tribuno della Repubblica romana; l’episodio è indicativo del disordine che regna nello Stato pontificio ove, in particolare nella Romagna e nelle Marche si affermano signorie indipendenti; il cardinale Egidio di Albornoz, su incarico del papa Innocenzo VI, riporta l’ordine a Roma e nel Patrimonio tra il 1353 e il 1367; nel 1357, emana un insieme di leggi, le costituzioni egidiane, intese a riorganizzare lo Stato della Chiesa
1378-1420: Scisma d’Occidente, nato dal contrasto tra gli interessi francesi e quelli del papato che porta alla creazione dell’antipapa ad Avignone, cui si aggiunge dopo il Concilio di Pisa un terzo papa, Giovanni XXIII; a seguito del Concilio di Costanza (1414-1418) i tre papi si dimettono e, nel 1417, viene eletto un unico papa, Martino V della famiglia dei Colonna che solo nel 1420 riesce a rientrare a Roma e a sottoporla al suo potere
1420-1798: nonostante il consolidamento del potere pontificio, si determinano situazioni violente, quali la costituzione della repubblica popolare che costringe alla fuga il papa Eugenio IV e viene duramente piegata da Giovanni Vitelleschi e il sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi nel 1527; sul finire del sec. XV, Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro VI, tenta di riorganizzare lo Stato della Chiesa, sottomettendo i vari signori e signorotti che spadroneggiano a Roma, in Romagna, in Umbria e nelle Marche e di crearsi uno stato nell’Italia centrale con l’appoggio di Luigi XII, ma il papa Giulio II pone fine al progetto, costringendo il Borgia a rifugiarsi in Navarra, e riconquista Perugia e Bologna; con la sconfitta di Venezia ad Agnadello (1509) da parte della lega di Cambrai, ottiene Ravenna e Cervia e con la sconfitta della Francia nella battaglia di Ravenna (1512) occupa Parma e Piacenza. Tra il 1545 e il 1563 si svolge il Concilio di Trento. La controriforma contribuisce ad accentuare i caratteri accentrati e burocratici dello Stato pontificio che si estende con l’occupazione di Ferrara (1598) e di Urbino (1631); con Sisto V si procede a un riordinamento dell’amministrazione dello Stato, in particolare con la bolla Immensi aeterni si porta a compimento la trasformazione iniziata alla chiusura del Concilio di Trento.
Con tale bolla infatti, Sisto V il 22 genn. 1588 istituiva quindici congregazioni per il governo spirituale della Chiesa e temporale dello Stato, in parte riformandone alcune preesistenti, in parte creandone ex novo. Tutte, dunque, congregazioni non camerali. Esse furono:
- I, congregazione pro sancta inquisitione, istituita da Paolo III e incaricata della tutela della fede, presieduta dal pontefice;
- II, congregazione pro signatura gratiae, trasformazione del vecchio omonimo tribunale, per l'esame delle domande di grazia non dipendenti dai tribunali ordinari (cfr.
[
GG0730041709Tribunale della segnatura di grazia e di giustizia]);
- III, congregazione pro erectione ecclesiarum et provisionibus consistorialibus, per l'erezione appunto di nuove chiese, capitoli, benefici, e la preparazione degli affari da trattare in concistoro;
- IV, congregazione pro ubertate annonae (cfr.
[
GG0730041637Presidenze e Deputazioni dell'annona e della grascia]);
- V, congregazione pro sacris ritibus et caeremoniis, incaricata delle materie liturgiche;
- VI, congregazione pro classe paranda et servanda ad Status ecclesiastici defensionem, per l'istituzione di una flotta di dieci galere per la lotta contro i pirati;
- VII, congregazione pro indice librorum prohibitorum, già esistente;
- VIII, congregazione pro executione et interpretatione concilii tridentini, preesistente;
- IX, congregazione pro Status ecclesiastici gravaminibus sublevandis, cfr.
[
GG0730041640Congregazione del buon governo]);
- X, congregazione pro universitate studii romani;
- XI, congregazione pro consultationibus regularium, per le questioni tra ordini religiosi;
- XII, congregazione pro consultationibus episcoporum et aliorum praelatorum, per le questioni tra patriarchi, vescovi, prelati non regolari, preesistente;
- XIII, congregazione pro viis pontibus et aquis curandis, per le opere pubbliche dello Stato (cfr.
[
GG0730041624Congregazione super viis, pontibus et fontibus]);
- XIV, congregazione pro typographia vaticana, tipografia fondata dallo stesso Sisto V;
- XV, congregazione pro consultationibus negociorum Status ecclesiastici: era questa la Sacra consulta, preesistente (cfr.
[
GG0730041622Congregazione della sacra consulta])Amplius, N. DEL RE, La curia romano, Lineamenti storico-giuridici, Roma 1970, pp. 21 ss.; G. MORONI, op.cit., alle singole voci; interessante per il sec. XVII, G. LUNADORO, Relatione della corte di Roma e de' riti da osservarsi in essa, e de' suoi magistrati e officii con la loro distinta giurisdittione..., Venetia 1664. Si ricorda che il termine congregazione, oltre ad indicare sia grandi dicasteri permanenti che commissioni di breve durata incaricate della trattazione di singoli affari, formate da cardinali o prelati, veniva usato anche per indicare le singole riunioni, o adunanze
Ulteriori riforme di Benedetto XIV vengono effettuate nel 1742-1743
Amministrazioni provvisorie dopo la Repubblica romana
29 set. 1799-26 giu. 1800:
il 29 set. 1799 viene annunciata la resa della Repubblica; muore anche il papa Pio VI; i napoletani a Roma, gli austriaci nelle legazioni e nelle Marche, gli inglesi a Civitavecchia cacciano i francesi e instaurano in varie città amministrazioni militari; a Roma, fin dal 30 settembre il comandante francese delle truppe napoletane prende possesso della città e il 3 ottobre, quale incaricato del re delle Due Sicilie, istituisce una Giunta provvisoria di governo, composta di cinque membri, e richiama in vigore magistrature e legislazione pontificia; il 15 ottobre il comando delle truppe è assunto dal generale napoletano Diego Naselli che si intitola, a nome del re Ferdinando IV, Comandante generale militare e politico dello Stato romano e istituisce una Suprema giunta di governo, di quattro persone, che dirige e coordina le magistrature romane; in periferia si costituisce, frattanto, una parallela amministrazione provvisoria austriaca con l’istituzione a Senigallia, il 12 ott. 1799, di una Cesarea regia commissione civile che assume il governo nelle regioni occupate dalle truppe imperiali, trasferendosi, alla metà di novembre, in Ancona ove, con editto 31 gen. 1800 si costituisce un governo generale denominato Cesarea regia provvisoria reggenza di Stato che richiama anch’essa in vigore magistrature e legislazione pontificie, istituendo inoltre una Tesoreria generale e una Depositeria, cui segue la nomina di tesorieri provinciali; il 14 feb. 1800, a Venezia, viene eletto papa Pio VII; le amministrazioni provvisorie cessano tra il 22 e il 26 giugno 1800, quando lo Stato viene restituito a Pio VII
Stato della Chiesa, restaurazione pontificia
26 giu. 1800-17 mag. 1809:
Pio VII chiama al suo fianco il card. Consalvi e si muove nella nuova situazione con un certo equilibrio, come la concessione dell’amnistia per i reati politici o i limiti posti all’annullamento degli acquisti dei beni nazionali mediante ricorso a indennizzi o ancora con l’abolizione di corporazioni di arti e mestieri e introduzione di misure, quali l’abolizione dell’annona e grascia, per rendere più liberi i commerci; vengono altresì attuate riforme finanziarie (dativa reale e dativa personale) e soppressa l’immunità degli ecclesiastici dai tributi comunali, oltre all’abolizione di numerosi privilegi di foro; con editto 22 giu. 1800 del card. Consalvi viene attuata una nuova organizzazione territoriale con l’istituzione dei delegati apostolici e, con editto 9 lug. 1800 vengono istituite quattro congregazioni rette anche da secolari (per gli affari di governo, non essendo ancora ripristinate le congregazioni della sacra consulta e del buon governo né di altre; per il nuovo piano di riforma dell’antico sistema di governo; per la riforma economica del palazzo apostolico; per la revisione dell’enfiteusi e dei beni alienati); con la costituzione “Post diuturnas” viene decretata la stabile riorganizzazione dello Stato; l’editto 31 ott. 1800 conferma l’ordinamento territoriale dei delegati apostolici a capo delle province, alle dipendenze della Sacra consulta e del Buon governo, per gli affari criminali ed economici, e della Segreteria di Stato, per gli affari politici, la cui attività riprende nella prima metà di nov. 1801;nel frattempo il gen. Murat, al comando delle truppe dirette verso il Mezzogiorno, assicura da Terni il papa che la S. Sede non ha nulla da temere dalle prossime operazioni militari; nel 1804 Napoleone si incorona imperatore a Fontainebleau, alla presenza del papa; il 15 ago. 1805 Pio VII ratifica il concordato con Napoleone, a tutto vantaggio di quest’ultimo; Pio VII cerca di porre ostacoli alle continue pretese francesi: chiede lo sgombero di Ancona, rifiuta di riconoscere Giuseppe Bonaparte proclamato re di Napoli il 30 mag. 1806, protesta per l’avocazione dei possedimenti di Pontecorvo e Benevento nel territorio napoletano, rifiuta l’estensione del concordato alle altre province annesse all’Impero e, nel nov. 1807, protesta per l’occupazione delle province di Urbino, Macerata, Fermo e Spoleto; le Marche vengono annesse al Regno d’Italia nell’apr. 1808, mentre il Lazio e l’Umbria vengono occupate tra il gennaio e il febbraio 1808 e Roma il 2 febbraio; il 17 mag. 1809 Napoleone decreta la soppressione del potere temporale, annettendo l’Umbia e il Lazio all’Impero francese; Pio VII, arrestato il 6 lug. 1809, rimarrà prigioniero in Francia fino al mag. 1814
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http://dati.san.beniculturali.it/SAN/CAI1400,http://dati.san.beniculturali.it/SAN/descrizioneCSI,"Repubblica di Venezia, occupazione francese (12 mag.-18 ott. 1797) e Governi democratici (1797-1798)
12 mar.-apr. 1797:
il 12-13 marzo, a Bergamo, e il 17-18, a Brescia, si verificano i primi pronunciamenti democratici e viene istituita in ognuna delle due città una Municipalità provvisoria che ne assume il governo, cacciando i rettori veneti; le campagne si ribellano contro i governi democratici senza un sostanziale appoggio del governo veneziano; a metà aprile i francesi e i democratici bergamaschi e bresciani riprendono il controllo delle valli; nel contrasto tra Francia e Austria si delinea, secondo i preliminari di Leoben (18 apr. 1797), la possibilità di sovvertire gli assetti della Repubblica di Venezia; in particolare la cessione di Bergamo, Brescia e Crema alla Lombardia che si sarebbe costituita in repubblica indipendente; tale cessione verrà sancita con il trattato di Campoformio (18 ott. 1797)
12 mag.-17 ott. 1797:
dopo l’occupazione dei territori della Repubblica di Venezia da parte delle truppe francesi, con deliberazione del Maggior consiglio del 12 mag. 1797, vengono ceduti i poteri a una Municipalità provvisoria, divisa in otto Comitati (salute pubblica, finanze e zecca, banco giro commercio e arti, sussistenza e pubblici soccorsi, sanità, arsenale e marina, istruzione pubblica, militare), da cui derivano varie Commissioni con speciali attribuzioni; i francesi entrano a Verona, nell’apr. 1797, e vi si instaura una Municipalità democratica (27 apr. 1797-feb. 1798) posta poi alle dipendenze del Governo centrale veronese, colognese e legnaghese, istituito il 23 giu. 1797 dal gen. Augerau, che continua a funzionare fino al mar. 1798, dopo il trattato di Campoformio (ott. 1797) e dopo l’entrata delle truppe austriache in città nel gen. 1798, assumendo poi la denominazione di Aulico governo; a Vicenza, dopo una breve occupazione francese (apr.-ott. 1797), si instaura il Governo centrale vicentino-bassanese che rimane in carica fino al gen. 1798 quando entra in Vicenza l’armata austriaca; a Padova, a seguito dell’occupazione francese viene istituito nel 1797 il Governo centrale del Padovano, Polesine di Rovigo e Adria con poteri su tutto il territorio; a Treviso, a seguito dell’occupazione delle truppe francesi (2 maggio 1797) viene istituita, alle dipendenze del Governo democratico del Padovano, Polesine di Rovigo e Adria, una Municipalità con competenze generali sulla città
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Il 14 febbraio 1814 il governo francese cessò in Parma e vi si costituì un governo provvisorio.
Il prefetto si ritirò a Piacenza che era rimasta alla Francia. Dopo un breve ri torno dei francesi, dal 2 al 9 marzo, fu riconfermato il governo provvisorio, esteso ora anche a Piacenza. In base al trattato di Fontainebleau (11 aprile 1814) e poi all'art. 99 del trattato di pace concluso al congresso di Vienna (1815), i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla vennero assegnati all'imperatrice Maria Luigia ad eccezione delle terre poste sulla riva sinistra del Po. Il 6 giugno veniva proclamata una reggenza provvisoria in nome di Maria Luigia Raccolta Stati parmensi, 1814, semestre I, t. II, n. 46 e il 30 giugno fu nominato un commissario imperiale Ibid., n. 67, il conte Ferdinando Marescalchi. Al commissario imperiale subentrò il 6 agosto 1814, in qualità di ministro di Stato, il conte Filippo Magawly Cerati Ibid., semestre II, t. I, n. 88, che provvide immediatamente alla riorganizzazione dello Stato. Maria Luigia prese possesso dei suoi Stati soltanto il 17 marzo 1816.
Alla morte di Maria Luigia, il 17 dicembre 1847, i ducati, in virtù del trattato di Parigi del 10 giugno 1817, passarono all'infante Carlo Lodovico di Borbone (Carlo II). Il ducato di Guastalla fu ceduto ai duchi di Modena, assieme ai territori parmigiani sulla riva destra dell'Enza, mentre passavano al ducato di Parma Pontremoli e alcuni territori della Lunigiana, in esecuzione del trattato segreto di Firenze del 28 novembre 1844.
Nel marzo 1848, in seguito ai moti, Carlo II fu costretto a nominare una reggenza. Pochi mesi dopo gli Austriaci entravano in Parma, nominavano un governo provvisorio militare e riaffermavano i diritti di Carlo II. Alla ripresa della guerra del Piemonte contro l'Austria il sovrano abdicò, il 14 marzo 1849 Ibid., 1849, semestre I, t. unico, n. 168 in favore del figlio Carlo III. Questi fu ucciso nel 1854; gli subentrò come reggente la moglie Luisa Maria Teresa di Berry.
Con decreto del 26 dic. 1816 Ibid., 1816, semestre II, t. unico, n. 147. Il conte Magawly Cerati fu nominato vicepresidente del consiglio straordinario di Stato col rango di ministro fu soppresso il ministero di Stato e furono costituite due presidenze, dell'interno e delle finanze. Con decreto 30 apr. 1821 Ibid., 1821, semestre I, t. II, n. 41 fu istituita una segreteria di Stato e di gabinetto; rimasero ferme le presidenze dell'interno e delle finanze anche se ora ufficialmente vennero chiamate dipartimenti (talvolta ancora presidenze poiché erano dirette da due presidenti). Il 27 gennaio 1831 Ibid., 1831, semestre I, t. unico, n. 6. Vedi anche il regolamento relativo approvato con decreto del 28 gennaio (Ibid., n. 8) fu creato un consiglio intimo di Stato e delle conferenze, diretto da un segretario di Stato: l'amministrazione dello Stato venne divisa in quattro sezioni, con un direttore a capo di ciascuna: della giustizia e polizia, dell'interno, delle finanze, delle acque e strade. Ma di lì a poco (decreto 9 giu. 1831) Ibid., 1831, semestre I, t. unico, n. 120 si ritornò alle vecchie due partizioni delle finanze (I) e dell'interno (II), dette ancora sezioni ma dirette da presidenti.
Con decreto 5 dic. 1846 Ibid., 1846, semestre II, t. unico, n. 329 si ebbero invece tre dipartimenti presieduti da direttori generali: della grazia, giustizia e buongoverno; dell'interno; delle finanze. Questi dipartimenti dopo gli sconvolgimenti del'48, furono riconfermati nel 1849 (decreto 21 luglio) Raccolta Stati parmensi, 1849, semestre II, t. I, n. 324.
Ad essi si aggiunse nel 1851 (decreto 11 gennaio) Ibid., 1851, semestre I, t. I, n. 2 un dipartimento per gli affari esteri.
Quanto alla organizzazione territoriale va rilevato che con regolamento organico del 6 ag. 1814 Ibid., 1814, semestre II, t. I, n. 89 i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla furono divisi in due governi: il governo di Parma comprendeva, oltre al circondario di Parma, il ducato di Guastalla, Borgo Taro e sue adiacenze, e quella parte del circondario di Borgo San Donnino che comprendeva i cantoni di Borgo San Donnino, Salso, Busseto, Zibello, San Secondo, Soragna, Fontanellato, Noceto e Pellegrino. Il governo di Piacenza comprendeva il circondario di Piacenza, e i cantoni di Monticelli d'Ongina, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Castell'Arquato, Lugagnano e Carpaneto, tutti nel circondario di Borgo San Donnino.
Con decreto 30 apr. 1821 Ibid., 1821, semestre I, t. II, n. 42 il territorio dei ducati fu diviso in distretti e comuni. In ciascun distretto risiedeva un commissario di governo; nelle città di Parma e Piacenza le funzioni del commissario furono affidate ad un consigliere di Stato col titolo di delegato del governo. Il ducato di Parma comprendeva i distretti di Parma, Borgo San Donnino, Busseto, Colorno, Langhirano e Montechiarugolo; la delegazione ducale del Valtarese i distretti di Borgo Taro e Bardi; il ducato di Piacenza i distretti di Piacenza, Monticelli, Borgo di Bettola, Castel San Giovanni, Fiorenzuola; il ducato di Guastalla il distretto di Guastalla.
Con decreto 9 giu. 1831 Ibid., 1831, semestre I, t. unico, n. 120 i medesimi Stati furono così divisi: governo di Parma, governo di Piacenza, commesseria di Guastalla, commesseria di Borgo San Donnino e commesseria di Borgo Taro. Con decreto 9 lu. 1849 Ibid., 1849, semestre Il, t. I, n. 279 in luogo della commesseria di Guastalla, ceduti i relativi territori ai duchi di Modena, fu istituita una commesseria in Pontremoli per l'acquisita Lunigiana parmense. Infine, con decreto 4 nov. 1849 Ibid., t. II, n. 612 le circoscrizioni amministrative ebbero il nome di province. Fermi restando i governatori a Parma e Piacenza, a capo delle altre province furono posti dei prefetti
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Essendosi spento l'ultimo Estense senza discendenza maschile, gli ex domini estensi furono assegnati, con la restaurazione, ai discendenti di sua figlia Maria Beatrice e dell'arciduca Ferdinando di Asburgo-Lorena, cadetto dell'imperatrice Maria Teresa, e ad essi rimasero fino a quando Francesco V non abbandonò definitivamente Modena l'11 giugno 1859.
L'art. 98 dell'atto finale del Congresso di Vienna parla dei ""ducati di Modena, Reggio e Mirandola nella medesima estensione che avevano all'epoca del trattato di Campoformio""; col che ovviamente si intendeva alludere, ignorando le partizioni minori, all'intera compagine territoriale in possesso degli Estensi al principio del 1796 (cfr. nota alla nota archivistica di [
GG0510025849Carteggi dei rettori dello Stato]). Tale compagine ebbe poi ad accrescersi ulteriormente. In primo luogo già nel 1815 per la cessione degli ex feudi imperiali di Lunigiana (Fosdinovo, Aulla, Podenzana, ecc.) fatta al duca di Modena dalla madre Maria Beatrice, cui tali domini erano stati assegnati con lo stesso art. 98 insieme ai ducati di Massa e Carrara, spettantile per eredità materna. In secondo luogo nel 1829 per l'incameramento dei menzionati ducati di Massa e Carrara in seguito alla morte della stessa Maria Beatrice. In terzo luogo nel 1847 per l'acquisto del ducato di Guastalla, delle tre vicarie già lucchesi della Garfagnana (cfr. nota citata) e di altri luoghi della Lunigiana (Fivizzano, Calice, Albiano, Terrarossa) in seguito alla entrata in vigore, con la morte di Maria Luisa di Parma, del trattato di Firenze del 29 nov. 1844. Con tale trattato le potenze interessate si erano accordate per l'applicazione dell'art. 102 dell'atto finale del congresso di Vienna relativo alla reversione del principato di Lucca, e del trattato di Parigi del 1817, relativo alla reversione dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla. Un ultimo incremento fu determinato nel 1849, dalla cessione da parte dell'Austria dei territori di Gonzaga e Rolo.
Gli Asburgo-Este, più comunemente noti come Austro-Estensi, si innestarono per quanto possibile nella vecchia tradizione dei loro predecessori, della quale perpetuarono altresì il particolare stile di governo. In questo senso, come è stato accennato in sede introduttiva, si può dire che il complesso di archivi riflettente l'esercizio della loro sovranità in Modena costituisce un prolungamento, dopo la parentesi napoleonica, di quello descritto per il periodo estense. Il che non toglie tuttavia che ne differisca profondamente dal punto di vista strutturale, sia per l'inevitabile diversità degli ordinamenti politico-amministrativi, sia per la minore rilevanza che vi ha la componente familiare
Col piano di governo 28 ag. 1814 - divenuto operante a tutti gli effetti col 1 ottobre successivo, data in cui vennero definitivamente soppresse le residue strutture del periodo napoleonico - gli Stati austro-estensi venivano suddivisi in tre province: Modena, Reggio e Garfagnana (capoluogo Castelnuovo), cui nel 1816 si venne aggiungendo una delegazione governativa per la Lunigiana estense (capoluogo Fosdinovo). A capo di ogni provincia vi era un governo (governatore e relativi uffici).
I governi, i cui compiti vennero fissati con circolare del governatore di Modena 29 sett. 1814 Collezione Stati estensi, t. I, n. 111, pp. 51 e seguenti non facevano capo ad alcun ministero, ma rispondevano direttamente al principe; essi avevano amplissimi poteri soprattutto in materia di controllo dei comuni (l'organizzazione e distrettuazione dei quali, pur mutando a più riprese in seguito, rimase fondamentalmente quella fissata con ducale decreto 29 dic. 1815 Ibid., t. II, n. 50, pp. 233 e seguenti ), nonché sulle istituzioni pie e di beneficenza, ma non mancavano importanti attribuizioni anche in fatto di lavori pubblici e di polizia. Queste ultime ebbero particolare rilievo fino al 1831, quando cioè, non essendo ancora stato creato il ministero di buongoverno, gli organi provinciali di polizia dipendevano a tutti gli effetti dai governatori; e la cosa è soprattutto vera per il governo di Modena, privilegiato del resto anche sotto altri riguardi, al quale, come abbiamo visto ([
GG0510026040Miscellanea di alta polizia]), faceva praticamente capo il servizio di polizia per tutto lo Stato.
Nel 1832 venne ripristinata l'antica provincia del Frignano (capoluogo Pavullo) con una delegazione governativa dipendente peraltro dal governo di Modena. Nel 1836 il ducato di Massa e Carrara, aggregato dapprima come tale nel 1829 in seguito alla morte di Maria Beatrice madre di Francesco IV, fu ridotto a sua volta in provincia con un normale governo e assorbì, nel 1839, la delegazione governativa della Lunigiana. Talché da quest'ultima data al 1848 il quadro delle province risultò il seguente: Modena con una delegazione governativa per il Frignano, Reggio, Massa e Carrara e Lunigiana, Garfagnana.
con il già menzionato decreto 11 ag. 1848, di importanza fondamentale anche e soprattutto a questo riguardo, furono soppressi i governi e istituite al loro posto tante delegazioni ministeriali dell'interno (o delegazioni provinciali del ministero dell'interno) quante erano le province, il cui quadro fu così ristrutturato: Modena, Reggio, Massa con la Lunigiana, Garfagnana, Frignano (staccato da Modena), Guastalla (territorio di recente acquisto Cfr. G. BERTUZZI, II trattato di Firenze del 28 novembre 1844, in Atti e memorie della deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. X, III (1968), pp. 173-199 ); dal 1853 al 1856 ebbe altresì vita una vicedelegazione a Fivizzano.
Le delegazioni ministeriali, o provinciali, avevano di fatto le medesime competenze amministrative dei precedenti governi, accresciute semmai da attribuzioni nuove in materia di pubblica istruzione, ma politicamente erano assai meno importanti, in quanto non operavano più in proprio, ma come organi decentrati del ministero dell'interno, creato insieme ad esse sulla base del vecchio ministero di pubblica economia ed istruzione. Una singolare, quanto logica, conseguenza di tutto ciò fu che proprio la delegazione di Modena finì con l'avere tanti poteri in meno rispetto alle altre quanti il governo di Modena ne aveva avuti in più.
Dal [
GG0510026048ministero di pubblica economia ed istruzione poi dell'interno] dipendevano, per tramite dell'ufficio centrale del censo, le campionerie del censo su base distrettuale (vedi [
GG0510026280Catasti]) per i rilievi censuari e catastali.
Quanto all'organizzazione periferica della polizia, si ebbero fino al 1831 una direzione provinciale di polizia in Modena, un ufficio di buongoverno con competenza provinciale in Reggio ed una commissione governativa alle carceri in Garfagnana; per la provincia di Modena esistevano inoltre, dipendenti essi pure dal governo, un commissariato di polizia comunale in Modena stessa e alcuni viceispettorati locali (altrove sembra che le competenze subprovinciali fossero di spettanza dei comuni). Dal 1831 al 1848, costituitosi il ministero di buongoverno, troviamo alle sue dirette dipendenze tre direzioni provinciali di polizia con relative organizzazioni di delegati, ispettori ed eventualmente commissari: una a Modena, una a Reggio ed una a Massa, oltre al commissariato di polizia comunale nella capitale. Tuttavia si nota verso la fine del periodo una certa fluidità di denominazioni e di competenze (tra l'altro le direzioni di Reggio e di Massa tornarono a far parte a un certo punto dei rispettivi governi). Più capillarmente articolata appare la situazione a seguito delle riforme del 1848, che ci presenta, sempre dipendenti dal ministero di buongoverno: fino al 1852 tre assessorati provinciali di polizia, uno a Modena, uno a Reggio, uno per le province d'oltreappennino e una delegazione provinciale politica a Guastalla, oltre al solito commissariato di Modena e a numerose delegazioni politiche nelle principali località dello Stato; dal 1853 al 1859 di nuovo tre direzioni provinciali di polizia, di Modena, di Reggio e Guastalla, di Massa, Carrara e Lunigiana, più numerosissimi commissariati locali di prima e seconda classe.
Organi periferici, infine, del ministero delle finanze erano: fino al 1835 una intendenza di finanza per le province di Modena, Garfagnana e Lunigiana, e una per la provincia di Reggio; dal 1836 al 1848, un'intendenza di finanza per le province di Modena e Garfagnana e una per la provincia di Reggio, più una delegazione di finanza per i ducati di Massa e Carrara (poi provincia di Massa e Carrara); dal 1849 in poi, un'intendenza di finanza di Modena, un'intendenza di finanza di Reggio e un'intendenza di finanza di Massa. Da ogni intendenza dipendevano, tra l'altro, uno o più uffici delle ipoteche, tasse, successioni e contratti, detti poi uffici del registro.
L'amministrazione della giustizia, dopo che era stato richiamato in vigore il codice estense del 1771, fu affidata da Francesco IV, con ducali decreti 28 ag. 1814 Collezione Stati estensi, t. I, n. 104, pp. 19 e seguenti e 4 lu. 1815 Ibid., t. II, n. 23, pp. 86 e seguenti alle seguenti magistrature: a) trenta giusdicenze con sede e circoscrizione corrispondenti a quelle delle giudicature di pace dell'ultimo periodo napoleonico; b) due tribunali di giustizia, uno a Modena e uno a Reggio (un terzo a Castelnuovo di Garfagnana venne poi subito soppresso nel 1817) con competenza di prima istanza rispettivamente nelle province di Modena e Garfagnana e in quelle di Reggio e Lunigiana, e competenza di appello contro le sentenze dei giusdicenti della propria circoscrizione nonché, reciprocamente, ciascuno su quelle di prima istanza emesse dall'altro tribunale; c) un supremo consiglio di giustizia residente in Modena, con competenze di revisione (cassazione) nonché di controllo sulle magistrature giudiziarie in tutto lo stato. Presso le magistrature sub b) risiedeva un procuratore fiscale, presso quella sub c) un avvocato generale. Le giusdicenze maggiori avevano sotto di sé una o più vicegerenze locali; a Modena e a Reggio, per di più, erano rette ciascuna da due giusdicenti, uno al civile e uno al criminale, e furono ben presto (1819) affiancate da un ufficio di conciliazione.
È del 14 mar. 1821 Ibid., t. IX, n. 2, pp. 10 e seguenti il provvedimento ducale che prevede la costituzione ad hoc di tribunali "" statari "" nei casi di ribellione, alto tradimento e lesa maestà. Con ducale decreto 20 dic. 1827 Ibid., t. XIII, n. 11, pp. 35 e seguenti i due tribunali di giustizia di Modena e Reggio vennero articolati ciascuno in due sezioni, una di prima istanza e una di appello; col che cessò la competenza di appello contro le reciproche sentenze di prima istanza. Fu inoltre attribuito al presidente del supremo consiglio di giustizia il titolo di consigliere intimo per gli affari di giustizia e di grazia, con alcune di quelle competenze in materia di concessioni speciali e di regolamentazione e vigilanza sull'intero assetto giudiziario che saranno poi prerogativa del nuovo apposito ministero.
In seguito all'annessione dei ducati di Massa e Carrara nel 1829, vi si mantenne dapprima l'ordinamento preesistente, che consisteva in un supremo tribunale di giustizia, in un tribunale d'appello e in due tribunali di prima istanza rispettivamente a Massa e a Carrara.
Poi si soppresse nel 1833 il supremo tribunale di giustizia, demandando la revisione, anche per quei territori, al supremo consiglio di giustizia in Modena, che tenne a Massa fino al 1836 un consigliere delegato.
L'istituzione del ministero per gli affari di giustizia, grazia ed ecclesiastici (menzionato decreto 11 ag. 1848) non portò mutamenti di rilievo nell'ordinamento.
Ultima e radicale riforma fu quella sancita dal decreto 27 ag. 1852 Collezione Stati estensi, t. XXXI, n. 17, pp. 80 e seguenti a seguito della promulgazione del nuovo codice civile. si ebbero allora: a) sedici giusdicenze di prima classe, sei di seconda e sei di terza; b) tre tribunali di prima istanza, uno a Modena, uno a Reggio e uno a Carrara con competenza per tutti i territori oltrappennino; c) due tribunali d'appello, uno a Reggio e uno a Massa, con competenza rispettivamente per le province a nord e a sud del crinale appenninico; d) un supremo tribunale di revisione residente in Modena, con competenza per tutto lo stato. Inoltre, l'avvocato generale cambiò il proprio nome in quello di procuratore generale, e i procuratori fiscali in quello di procuratori ducali.
Vale la pena di rilevare che, con chirografo 14 giu. 1828 Non pubblicato nella collezione Stati estensi era stato definitivamente soppresso l'antico istituto dei notai [
GG0510025927 attuari], probabilmente non cessato di fatto in [
GG0510026001periodo napoleonico], le cui funzioni vennero integralmente assunte dalle cancellerie giudiziarie.
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http://dati.san.beniculturali.it/SAN/CAI4710,http://dati.san.beniculturali.it/SAN/descrizioneCSI,"Dopo l'occupazione francese, col ritorno di Ferdinando III e la restaurazione della indipendenza politica, in Toscana vennero ristabiliti gli organi di governo e, in parte, le strutture amministrative che erano in funzione fino al 1808. Vennero ristabilite il 22 aprile 1815 la regia corte e la carica del maggiordomo maggiore; fu restaurato il consiglio di Stato, finanze e guerra. Lo stesso si dica della segreteria intima di gabinetto, delle segreterie di Stato, di finanze, di guerra e degli esteri, i cui direttori erano membri do consiglio di Stato, quella del regio diritto, la consulta, la presidenza del buon governo, la depositeria e tutti gli altri organi centrali e periferici che, pur con successive modificazioni, risalivano alle riforme di Pietro Leopoldo.
Altri nuovi organi si aggiunsero però a quelli vecchi: la giunta straordinaria di liquidazioneper riconoscere i crediti vantati sia dalle pubbliche amministrazioni, sia dai privati, contro la Francia. Fu in un primo tempo abolito, poi ristabilito il servizio dello stato civile toscano, in un primo tempo alle dipendenze della segreteria di Stato.
Per quanto riguardava le finanze fu riformata l'imposta diretta che gravava sui beni immobili e quella del macinato, trasformata in "" tassa di famiglia "". Esse furono riscosse come nel passato dai camarlinghi comunitativi, ma gestite dalla depositeria generale. Fu ripristinata l'amministrazione generale delle regie rendite, fu istituita quella del registro ed aziende riunite in ottemperanza alle leggi sulla imposta di registro, sulla carta bollata e sulle carte da gioco. Nel 1817 fu istituita la deputazione sopra il catasto, per sovrintendere alla compilazione del catasto particellare.
Per quanto riguarda la ripartizione del territorio e l'organizzazione delle amministrazioni comunitative, nel 1814 furono ripristinate le vecchie circoscrizioni territoriali delle comunità.
La loro amministrazione era controllata da cinque uffici periferici che dividevano in altrettanti compartimenti il territorio del granducato: la camera delle comunità di Firenze, l'ufficio generale delle comunità di Siena, l'ufficio dei fossi di Pisa, dal 1815 l'ufficio dei fossi di Grosseto e dal 1825 la camera di soprintendenza comunitativa di Arezzo.
Veniva anche ripristinata per gli affari più importanti la carica di soprassindaco e soprintendente generale alle comunità.
Era abolita la direzione dei ponti e strade istituita dal governo francese e le sue competenze aggregate a quelle degli organi di controllo delle comunità.
Nel 1825 fu istituita la soprintendenza alla conservazione del catasto e al corpo degli ingegneri il cui capo conservava le attribuzioni del soprintendente generale alle comunità ed inoltre aveva il controllo sugli ingegneri i ed ispettori che nei cinque compartimenti dirigevano i lavori pubblici. La separazione fra queste due funzioni avvenne nel 1834 quando la soprintendenza alla conservazione del catasto ed al corpo degli ingegneri fu abolita e sostituita da due uffici separati: l'ufficio per la conservazione del catasto e la direzione del corpo degli ingegneri d'acque e strade. Nel 1840 con la creazione della soprintendenza generale alle comunità veniva ripristinato un organo centrale di controllo che faceva da tramite fra le camere di soprintendenza comunitativa e le segreterie.
Il sistema comunale rimase così invariato fino al 1848.
Per quanto riguardava l'amministrazione della giustizia la sua organizzazione fu profondamente modificata da quella in vigore fino al 1808.
Nel 1814 il territorio del granducato era stato diviso in vicariati ciascuno dei quali comprendeva più podesterie, mentre nelle città più importanti come Pistoia, Pontremoli In provincia di Massa-Carrara e Grosseto erano stati istituiti i commissari regi. In Firenze erano stati istituiti tre commissari di quartiere, mentre solo nel 1840 fu creato il commissario regio con funzioni analoghe agli altri. In Pisa, Siena, Livorno e Portoferraio In provincia di Livorno furono istituiti governi civili e militari con annessi i tribunali degli auditori equiparabili a quelli dei commissari regi.
Questi funzionari e magistrati erano alle dipendenze del buon governo come ufficiali di polizia. Essi come giudici, a parte i podestà, che avevano la sola giurisdizione civile, avevano giurisdizione civile e criminale.
Nello stesso 1814 fu rimessa in vigore la consulta, organo supremo che, oltre a funzionare come consulente del governo, controllava l'amministrazione della giustizia civile e criminale e fungeva da giudice supremo per la revisione delle sentenze. Fu inoltre istituito in Firenze il consiglio supremo di giustizia civile come tribunale di secondo ed ultimo appello.
La funzione di giudice collegiale di primo appello fu attribuita a cinque ruote civili di prime appellazioni istituite in Firenze, Siena, Pisa, Arezzo e Grosseto. Ciascuna di esse giudicava le cause sulle quali si erano pronunziati i tribunali del rispettivo circondario.
Questi erano i vicari e i podestà. I primi avevano la giurisdizione criminale in circoscrizioni territoriali che comprendevano più podesterie ed erano giudici civili parificati ai podestà nella loro circoscrizione.
Nelle città capoluogo e nei centri più importanti vi erano inoltre i seguenti tribunali: in Firenze il magistrato supremo civile, il tribunale commerciale e i tre commissari di quartiere; in Siena, Pisa e Livorno l'auditore di governo e il suo cancelliere civile; in Arezzo, Pistoia, Pontremoli In provincia di Massa-Carrara e Grosseto il commissario regio e il cancelliere civile. In Livorno vi era anche il magistrato civile e consolare di prima istanza e a Pistoia il tribunale civile collegiale.
Il sistema che regolava le varie istanze era il seguente. Le cause civili in cui il valore della cosa controversa era inferiore alle duecento lire erano giudicate in prima istanza dai podestà, e in appello davanti al vicario competente, quelle giudicate dai vicari in prima istanza erano discusse davanti ai commissari regi ed agli auditori territorialmente competenti.
In Firenze queste cause minori venivano discusse davanti ad uno dei tre commissari di quartiere competenti per territorio o ai "" coadiutori "" inviati a reggere le sette podesterie suburbane di Campi (Campi Bisenzio), San Casciano (San Casciano in val di Pesa), Fiesole, Galluzzo (Galluzzo-Certosa) Nel comune di Firenze Fiorentino), mentre l'appello si teneva presso il magistrato supremo civile. Per esse non era concesso secondo appello.
Le cause che riguardavano i minori e gli incapaci e quelle in cui interveniva il fisco come reo o come convenuto si celebravano in prima istanza davanti ai vicari o ai commissari regi, o agli auditori. Il sistema giudiziario del granducato prevedeva solo due appelli per le cause maggiori. Era però concesso presentare al sovrano una supplica per ottenere la revisione della sentenza, nel qual caso la cognizione della causa spettava alla consulta.
Per quanto riguardava la giurisdizione penale, furono istituite presso i governi civili e militari di Siena, Livorno e Portoferraio In provincia di Livorno e presso i commissariati regi, che avevano un auditore come giudice e consulente legale, cancellerie criminali che istruivano i processi giudicati dall'auditore.
Per i reati più gravi fu istituita una ruota criminale in Firenze con giurisdizione su tutto il granducato e fu affidata la giurisdizione criminale alla ruota civile di Grosseto, con competenza territoriale per la provincia inferiore senese. Le sentenze penali erano inappellabili; la parte lesa poteva interporre appello presso i tribunali civili solo per la liquidazione dei danni ed altri riflessi civili delle sentenze penali. Era tuttavia permesso inoltrare ricorso alla consulta per chiedere la revisione del processo.
Questo stato di cose durò fino al 1838, quando con motuproprio del 2 agosto l'organizzazione dei tribunali civili e criminali venne profondamente mutata. La consulta venne divisa in due "" collegi "" di cui il primo mantenne la funzione di supremo regolatore dell'amministrazione della giustizia e di organo di consulenza del governo, il secondo, chiamato corte suprema di cassazione, ebbe le mansioni di supremo giudice dei ricorsi che non ammettevano appello ed ebbe competenza nei conflitti di giurisdizione.
Venne istituita in Firenze la corte regia, giudice d'appello civile e criminale, con giurisdizione per l'intero granducato. Abolite le ruote, furono creati i tribunali collegiali di prima istanza civili e criminali in Firenze, Livorno, Pisa, Siena, Arezzo, Grosseto, Pistoia, San Miniato In provincia di Pisa Montepulciano In provincia di Siena e Rocca San Casciano In provincia di Forlì furono creati due tribunali dell'auditore giudice di prima istanza, con la sola giurisdizionecivile, mentre i processi criminali dovevano essere portati davanti ai tribunali di Pisa e di Livorno.
Venne riformata la giurisdizione dei vicari, dei commissari regi, dei direttori di atti criminali e dei podestà.
L'amministrazione della giustizia civile era affidata ai vicari regi, ai giudici civili di Firenze, Arezzo, Livorno, Pisa, Siena e Pistoia e ai podestà, che erano al grado più basso della gerarchia, ai tribunali di prima istanza, alla corte regia e alla consulta come corte di cassazione.
I primi potevano giudicare cause nelle quali la cosa controversa non superasse il valore di quattrocento lire. Per quelle fino a settanta lire le sentenze erano inappellabili, mentre per le cause di valore superiore era ammesso il ricorso ai tribunali di prima istanza.
Questi ultimi erano competenti per determinate materie e per ' cause di qualsiasi valore e le loro sentenze erano definitive nelle cause di appello contro quelle dei vicari regi, dei giudici civili e dei podestà e in quelle di valore non superiore alle ottocento lire.
Per le cause superiori era concesso l'appello alla corte regia, che era esclusivamente tribunale di appello, le cui sentenze erano definitive. La consulta come suprema corte di cassazione trattava, fra l'altro, i ricorsi per la cassazione delle sentenze definitive.
La giustizia criminale era amministrata dalla consulta come corte di cassazione, dalla corte regia, dai tribunali di prima istanza e dai vicari regi e dai giudici , direttori degli atti criminali presso i tribunali di prima istanza. Furono anche istituite le procure che sostenevano nei giudizi la parte del pubblico ministero. La consulta doveva giudicare sulla cassazione delle sentenze inappellabili, la corte regia aveva competenza per i reati puniti con pena superiore a quella dell'esilio dal compartimento governativo. I tribunali di prima istanza erano competenti per i reati puniti con l'esilio dal compartimento nel quale si estendeva la loro giurisdizione e con pene minori; i vicari regi e i giudici degli atti criminali giudicavano i furti semplici e altri lievi reati per i quali la pena prevista non fosse superiore a otto giorni di carcere o a venticinque lire di multa. Le sentenze della corte regia e dei tribunali di prima istanza erano inappellabili. Il 22 settembre 1841 la corte di cassazione fu definitivamente separata dalla consulta.
Questo ordinamento restò in vigore fino al 1848. In questo anno, in conseguenza della promulgazione dello statuto, anche alcune strutture più strettamente legate ai centri della direzione politica subirono profonde trasformazioni. Venivano abolite infatti le segreterie e al loro posto istituiti i ministeri dell'interno, degli esteri, di giustizia e grazia, della guerra, degli affari ecclesiastici e della pubblica istruzione. Il vecchio consiglio di Stato, finanze e guerra fu sostituito dal consiglio dei ministri.
Furono aboliti la consulta, la presidenza del buon governo, l'ufficio delle revisioni e sindacati, la soprintendenza generale alle comunità, le camere di soprintendenza comunitativa, i vicari, i podestà e creata una nuova organizzazione centrale e periferica. AI posto della consulta fu creato il consiglio di Stato, organo consultivo e giurisdizionale competente per la giustizia amministrativa; l'ufficio delle revisioni e sindacati fu sostituito dalla corte dei conti. La direzione della polizia e la tutela dei comuni furono assunte direttamente dal ministero dell' interno che a tale scopo fu organizzato in due sezioni: comunità e guardia civica e polizia.
Alle camere di soprintendenza comunitativa, già sottoposte alla segreteria di finanze, fu rono sostituite le prefetture, in Firenze, Lucca, annessa col suo territorio nel 1847, Siena, Pisa, Arezzo, Grosseto e Pistoia, quest'ultima abolita nel 1851. In Livorno e Portoferraio In provincia di Livorno furono istituiti due governi civili e militari. Nell'ambito territoriale della prefettura di Firenze furono istituite le sottoprefetture di Pistoia (dal 1851), San Miniato In provincia di Pisa e Rocca San Casciano In provincia di Forlì, in quella di Pisa fu istituita la sottoprefettura di Volterra, in quella di Siena la sottoprefettura di Montepulciano. I vicari e i commissari di polizia furono sostituiti dai delegati di governo, ufficiali di polizia con funzioni di pubblico ministero nelle cause criminali davanti ai pretori.
Ai podestà subentrarono i pretori, che esercitavano le funzioni di giudici civili e criminali minori. Inoltre erano ufficiali di polizia giudiziaria e, dove mancavano i delegati di governo, esercitavano mansioni di polizia amministrativa.
Questa ripartizione territoriale in compartimenti e circondari rimase alla base di tutta l'organizzazione amministrativa del granducato.
Anche le comunità furono ristrutturate con la legge del 20 nov. 1849.
Fu abolito nel 1850 l'ufficio per la conservazione del catasto e le sue mansioni passarono alla direzione del pubblico censimento.
L'organizzazione delle finanze rimase invariata, a parte la istituzione degli organi periferici nel territorio dell'annesso ducato di Lucca.
Per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia fu istituita una corte regia a Lucca e le furono sottoposti i tribunali di prima istanza di Lucca, Pisa, Volterra In provincia di Pisa, Portoferraio In provincia di Livorno
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http://dati.san.beniculturali.it/SAN/CAI0160,http://dati.san.beniculturali.it/SAN/descrizioneCSI,"CAGLIARI
secc. XI-XIII: articolata da secoli in giudicati, subisce l’influenza della Repubblica di Pisa, cui viene concessa in feudo dall’imperatore Federico I; i Pisani ne confermano la suddivisione in quattro giudicati, Cagliari, Gallura, Torres o Logodoru e Arborea; l’imperatore Federico II conferisce al proprio figlio naturale Enzo, sposato con Adelasia erede di Gallura e di Torres, il titolo di re di Sardegna; nel 1257 i due giudicati ritornano indipendenti; nel sec. XIII, la Repubblica di Genova contende l’isola ai Pisani che, dopo la sconfitta navale del 1284 ad opera dei Genovesi, perde parte dei territori
secc. XIII-XIV: il Giudicato di Cagliari viene diviso tra i Visconti di Gallura, i Capraia d’Arborea e i Gherardeschi di Pisa; nel 1323 Giacomo II d’Aragona diventa re di Sardegna e Cagliari passa sotto il dominio aragonese
1323-1512: i d’Aragona, già infeudati dell’isola dal papa Bonifacio VIII nel 1297 in cambio ella loro rinuncia alla Sicilia, si impadroniscono a varie riprese di tutta l’isola, con la definitiva conquista del Giudicato d’Arborea, nel 1478; il comune di Sassari, retto a repubblica, si sottomette agli Aragonesi nel 1323; i Pisani lasciano l’isola nel 1326, mentre i Doria di Genova vengono cacciati nel 1348; nel 1355 Pietro IV d’Aragona istituisce il parlamento di Sardegna, le cui riunioni cesseranno nel 1699, ma quando si allontana dall’isola scoppia una insurrezione antiaragonese, cui segue una guerra che dura vari decenni; sotto il dominio aragonese l’isola è retta dal governatore e, dal 1417, dal viceré; nel 1479 Ferdinando “il Cattolico” succede a Giovanni II d’Aragona come re d’Aragona, di Sardegna e di Sicilia; sposato a Isabella di Castiglia, diventa nel 1474 re di Castiglia e nel 1503 re di Napoli; dà origine nel 1512 al regno unificato di tutta la Spagna che, nel 1516, passa all’imperatore Carlo V (Carlo I d’Asburgo-Austria)
1512-1708: dominazione spagnola
1708-1720: dominazione austriaca con Carlo VI d’Asburgo; occupata per conto del card. Alberoni, d’accordo con la regina di Spagna, l’isola è governata da Filippo V di Borbone dal 1717 al 1720
1720-1848: a seguito del trattato di Londra la Sardegna, restituita all’Austria, viene ceduta al duca di Savoia e re di Sicilia, che diventa ora duca di Savoia e re di Sardegna; le istituzioni sabaude lasciano un’ampia autonomia all’isola che viene governata da un viceré
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Dal 1420 al 1797 il Friuli fece parte dei domini di terraferma della repubblica di Venezia con a capo un luogotenente. Il Friuli veneto corrispondeva territorialmente alle attuali province di Udine e di Pordenone. vi erano compresi anche il territorio di Portogruaro e di Concordia (Concordia sagittaria), attualmente nella provincia di Venezia, mentre erano soggette all'arciduca d'Austria le zone di Aquileia, San Giorgio di Nogaro, Porpetto, Torre di Zuino Castions (Castions di Strada), Aiello (Aiello del Friuli) e Strassoldo. La regione era divisa in territori giurisdizionali, con gradi diversi di potere e di immunità. Alle comunità la repubblica di Venezia confermò i privilegi di cui avevano goduto nel periodo patriarcale
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a) Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla (mag. 1796-ott. 1802)
mag. 1796-ott. 1802:
Napoleone, entrato nel Piacentino nel maggio 1796, detta condizioni durissime nel trattato di pace firmato a Parigi il 5 novembre; il Ducato diventa un facile territorio di passaggio delle truppe, in pratica senza frontiere verso la Repubblica cisalpina; nell’anno successivo l’occupazione ha effetti più pesanti, mentre sia la Repubblica romana che la Repubblica partenopea avanzano pretese sui beni ex-farnesiani; alla momentanea sconfitta dei francesi e a moti di ribellione locali segue, dopo la vittoria di Marengo, il trattato di Lunéville (9 feb. 1801) che prevede la cessione della Toscana al duca di Parma Ferdinando di Borbone; Ferdinando rifiuta di lasciare il suo ducato e, con il trattato di Aranjuez (21 mar. 1801), è costretto a rinunciare ai diritti sui suoi domini in favore della Francia, mentre la Toscana viene affidata al figlio Ludovico con il titolo di re d’Etruria; nell’ott. 1802 muore Ferdinando; Napoleone non riconosce la Reggenza che si era immediatamente costituita e incarica il Merau de Saint Méry, residente francese, di assumere il governo a suo nome
b) Amministrazione generale francese (1802-1808) poi annessione all’Impero francese
ott. 1802-24 mag. 1808:
Mereau de Saint Méry assume le funzioni di Amministratore generale, mantenendo in funzione quasi tutti gli uffici del passato regime; il 16 giu. 1805 viene estesa al ducato la legge francese sulla coscrizione militare; il 1° luglio entra in vigore il Codice napoleonico che sopprime tutti i diritti e le giurisdizioni feudali; il 21 luglio i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla vengono inseriti nella coscrizione militare dell’Impero come appartenenti alla 28° Divisione di Genova; le funzioni dell’amministratore generale vengono equiparate a quelle dei prefetti; il territorio è diviso in quattro circondari o suddelegazioni con a capo un sottoprefetto, con sede a Parma, Piacenza, Borgo San Donnino (Fidenza) e Guastalla; nel gen. 1806 viene aggiunto il circondario di Bardi; al Moreau de Saint Méry succede il 28 gen. 1806 l’amministratore generale Nardon sotto il cui governo gli Stati parmensi vengono di fatto assimilati ai dipartimenti francesi; nel mar. 1806 il territorio di Guastalla viene ceduto a Paolina Borghese, sorella dell’imperatore e consorte del re d’Italia, passando quindi al Regno d’Italia; nei primi del 1806, in seguito alla rivolta antifrancese dei montanari piacentini, il gen. Junot viene nominato Governatore generale, con autorità superiore a quella dell’amministratore generale, per ristabilire l’ordine; con senato consulto 24 mag. 1808 la formale annessione degli Stati parmensi all’Impero francese viene sancita con l’istituzione del dipartimento del Taro; la lingua francese diventa lingua ufficiale nei documenti
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a) Governo provvisorio francese in Toscana (25 mar.-7 lug. 1799) e Suprema deputazione di Arezzo, governo provvisorio dell’insorgenza antifrancese (6 mag.-set. 1799), poi Restaurazione austriaca e Governo toscano in nome di Ferdinando di Lorena poi Reggenza granducale e Quadrunvirato (7 lug. 1799-27 nov. 1800)
25 mar.-7 lug. 1799:
l’occupazione francese nel Granducato di Toscana inizia nel marzo 1799 e, sebbene fosse stata dichiarata la neutralità dello Stato, l’esercito francese guidato dal gen. Luis Gualtier entra a Firenze il 25 marzo e vi instaura un Governo direttamente dipendente dalla Francia mentre a Charles de Reinhard, ambasciatore a Firenze dal giu. 1798, vengono conferiti poteri politici e civili in qualità di Commissario del governo francese; il 27 marzo il granduca Ferdinando III parte per Vienna; vengono confermati provvisoriamente tribunali, giudici e amministratori e viene istituito un Bureau di consultazione, di cui fanno parte tre ministri, della polizia, della giustizia e delle finanze, privo di poteri effettivi; vengono istituite Municipalità a Firenze, Arezzo, Cortona, Livorno, Massa di Maremma, Pisa, Pistoia, Pontremoli, Prato, Siena e Volterra, cui si aggiunge successivamente Pescia, che debbono anche costituire una Guardia nazionale; già alla fine del mese di aprile iniziano segni di rivolta da parte di un movimento nato per ragioni di fame e soprattutto religiose (insorgenza del “Viva Maria”) che il 6 maggio genera una sollevazione antifrancese diffusa in varie località; gli insorti cacciano i francesi da Arezzo (favoriti oltre che dal malcontento suscitato dai sequestri di beni e dalle ruberie degli occupanti anche dalla decisione del gen. Macdonald di dividere il passaggio delle truppe francesi da Roma al nord tra Siena e Perugia) e vi instaurano un governo con poteri civili e militari affidato alla Suprema deputazione composta di un governo civile e uno militare; nella prospettiva di cacciare i francesi dalla Toscana, i ribelli di Arezzo cercano di affidare le loro truppe al comandante austriaco Schneider che ne assume il comando nella seconda metà di giugno; già il 9 dello stesso mese i ribelli avevano occupato Cortona, il 28 occupano Siena, il 7 luglio entrano a Firenze e il 17 a Livorno
7 lug. 1799-27 nov. 1800:
con l’occupazione di Firenze il potere torna al Senato fiorentino che dalla fine di agosto intende sciogliere le bande aretine per ripristinare il precedente sistema politico; l’8 settembre le truppe austriache entrano in Firenze mentre quelle russe occupano Livorno; Franz von Hohenzollern viene nominato generale maggiore e Comandante generale della Toscana e, in settembre, vengono sciolte le bande aretine mentre si conclude l’attività della Suprema deputazione; inizia una dura repressione contro i giacobini toscani e tutte le sentenze debbono essere approvate da una Delegazione di polizia guidata da Luigi Cremani, assessore del Supremo tribunale di giustizia; la repressione è approvata dal granduca Ferdinando che, comunque, resta a Vienna; le difficoltà finanziarie, determinate anche dal mantenimento delle truppe austriache, impegnano la Segreteria di stato, finanze e guerra, e vengono inoltre istituiti il 23 settembre una Deputazione per l’approvvigionamento e magazzini frumentari; nello stesso mese scoppiano disordini in varie località; poco prima della vittoria di Napoleone a Marengo (1800) il Senato aveva ordinato la leva in massa e il 19 giugno nomina una Reggenza presieduta dal gen. Annibale Sommariva che cerca di riorganizzare le forze armate volontarie; il 1° ott. 1800 viene stipulata una convenzione segreta franco-spagnola che prevede il passaggio della Luisiana dalla Spagna alla Francia in cambio di un ampliamento dei domini di Ferdinando di Borbone, duca di Parma, cugino e cognato del re di Spagna, che secondo Napoleone può avvenire a spese della Toscana, anche per sottrarre il porto di Livorno agli inglesi e colpire nel contempo gli Asburgo; il 14 ottobre i francesi entrano di nuovo in Toscana, insieme a cisalpini e reparti di esuli italiani, disperdendo le truppe del Sommariva, mentre la Reggenza lascia Firenze dopo aver affidato il governo a una Giunta di quattro persone; vengono ricostituite due Municipalità, a Pistoia e a Prato
b) Governo provvisorio francese e Giunta triumvirale (27 nov. 1800-21 mar. 1801) poi Quadrumvirato (21 mar.-2 ago 1801) poi Regno d’Etruria (12 ago. 1801-10 dic. 1807)
27 nov. 1800-21 mar. 1801:
alla fine di ottobre il gen. Miollis assume il comando delle forze francesi in Toscana e il 27 novembre costringe alle dimissioni i quadrunviri, sostituendoli con una Giunta di tre patrioti di scarso prestigio, ordinando la formazione di un battaglione toscano; Ugo Redon de Belleville viene chiamato come Commissario generale delle relazioni commerciali nei porti d’Italia e incaricato degli interessi della Repubblica francese in Toscana; la Presidenza del buongoverno ed altre cariche vengono affidate a fiorentini; nel mese di dicembre la Toscana è investita dalla guerra dei francesi contro truppe austriache, austro-toscane e napoletane mentre il governo provvisorio francese si rifugia a Pisa; i francesi prevalgono e il 15 gen. 1801 viene concluso l’armistizio di Treviso; alla fine di gennaio il gen. Miollis è sostituito da Gioacchino Murat che alle requisizioni e alle spese per il mantenimento delle truppe aggiunge un’ingente imposizione fiscale; i triumviri cercano di salvaguardare l’autonomia toscana e il 13 marzo ripristinano la legislazione Leopoldina, istituendo anche un Comitato di finanze per far fronte alla disastrosa situazione dell’erario; il trattato di Lunéville (9 feb. 1801), pubblicato in Toscana ai primi di marzo, prevede la rinuncia del granduca alla Toscana con la parte dell’isola d’Elba che ne dipende in favore del duca di Parma; ma Ferdinando di Borbone, duca di Parma, non intende lasciare il proprio Stato; un nuovo accordo franco-spagnolo stipulato nel marzo ad Aranjuez assegna il 21 marzo la Toscana, eretta a Regno d’Etruria, a Ludovico, figlio del duca Ferdinando, che ne prende possesso 12 agosto 1801
21 mar.-12 ago. 1801:
in attesa del nuovo sovrano il gen. Murat fa dimettere i triunviri e richiama i quadrunviri che formano un Governo provvisorio; in luogo del Comitato di finanze il 4 apr. 1801 viene istituita una nuova Deputazione economale consultiva, prima di quelle che si avvicenderanno nel Regno d’Etruria; il re, d’accordo con Murat nomina un commissario che cerca, senza riuscirvi, di ripristinare il Consiglio di stato con persone del Granducato lorenesi, che declinano l’invito
12 ago. 1801-27 mag. 1803:
il Regno d’Etruria ha effettivo inizio quando Ludovico arriva a Firenze il 12 agosto; licenzia tutti i membri del Governo provvisorio, ripristina il Consiglio di stato e di finanza e nomina persone di scarsa esperienza per ricoprire le più alte cariche (quali quelle di primo direttore delle reali Segreterie consigliere di stato e ministro delle relazioni straniere, di ministro dell’interno, di ministro delle finanze), scelte comunque tra toscani; vengono fatte nuove nomine alla direzione dei conti della regia Depositeria e della Zecca, mentre resta in funzione la Deputazione economale; viene varato nell’agosto del 1802 un piano di risanamento del debito pubblico e viene istituita una nuova Giunta di revisione, con sospensione del Monte redimibile e el acostituzione di un Monte comune; a Livorno, ove dal 1798 era stata rinnovata la Deputazione del commercio, si istituisce la Camera di commercio; viene rivista in senso reazionario la legislazione ecclesiastica Leopoldina; il 27 mar. 1803 Ludovico muore
27 mag. 1803-10 dic. 1807:
Maria Luigia, moglie di Ludovico, che già dall’anno precedente, sedeva nel Consiglio di stato, assume la Reggenza in nome del figlio; in considerazione delle sempre più gravi condizioni economiche e finanziarie nel 1804 viene nominata una seconda Deputazione economica, o di finanze, e nel dicembre dello stesso anno viene riorganizzata l’amministrazione e direzione delle finanze con attribuzioni e competenze già conferite alla Segreteria di finanze; la Deputazione di finanze, che aveva acquisito funzioni e competenze già spettanti al ministro delle finanze ma è vista con sospetto dai francesi per la presenza di personalità già in auge sotto il granduca Ferdinando, è soppressa su pressioni francesi da Maria Luigia e il Consiglio di stato viene ristretto a soli tre membri; una nuova legislazione penale, elaborata dai giudici del Supremo tribunale di giustizia, viene promulgata nel 1807; in base al trattato di Fontainebleau (27 ott. 1807) viene sancita la fine del Regno d’Etruria e l’annessione della Toscana alla Francia; a seguito dell’occupazione francese, Maria Luigia lascia il 10 dic. 1807 Firenze; Napoleone istituisce una Giunta straordinaria di governo che prepara l’annessione della Toscana all’Impero francese
- Firenze
- Arezzo
- Grosseto (Provincia inferiore)
- Livorno
- Pisa
- Pistoia
- Siena
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a) Repubblica lucchese, primo governo democratico (4 feb.-17 lug. 1799)
4 feb.-17 lug. 1797: a seguito dell’occupazione francese al comando del gen. Sérurier, si instaura una Repubblica democratica, modellata sulla costituzione ligure del 1797; ha un Corpo legislativo, diviso in due consigli, Gran consiglio di quarantotto giuniori per preparare e discutere le leggi e Consiglio di ventiquattro seniori con potere di sanzionarle o respingerle; un Direttorio esecutivo con un segretario generale e cinque ministri, affari esteri, giustizia e polizia, finanze, interno, guerra e marina
b) Reggenza austriaca (18 lug. 1799-8 lug. 1800) poi Governo democratico (9 lug.-14 set. 1800) poi Reggenza austriaca (15 set.-9 ott. 1800) poi Governo democratico (10 ott.1800-31 dic. 1801) poi Repubblica luchese (1° gen. 1802-13 lug. 1805)
18 lug. 1799-31 dic. 1801: alla vittoria austro-russa, segue una Reggenza nominata il 24 luglio 1799 e costituita dello stesso personale della Repubblica aristocratica; dopo la vittoria di Napoleone a Marengo i francesi rioccupano la città costituendo un secondo Governo democratico che dura dal 9 luglio al 14 settembre 1800; ma subito dopo gli austriaci, guidati dal gen. Sommariva rioccupano la città costituendo una seconda Reggenza austriaca che dura appena dal 15 settembre al 9 ottobre 1800; il terzo Governo provvisorio francese, 10 ott. 1800-31 dic. 1801, prepara la formazione della Repubblica lucchese; la costituzione del 26 dic. 1801 introduce in luogo delle vicarie la suddivisione del territorio in tre cantoni, del Serchio, del Litorale, degli Appennini
1° gen. 1802-13 lug. 1805: la nuova costituzione della Repubblica lucchese entra in vigore il 1° gen. 1802; ha un Corpo legislativo (o Collegio o Gran consiglio) composto di trecento cittadini) che deliba in sede legislativa e nomina le altre cariche amministrative e giudiziarie; un Consiglio amministrativo formato dagli anziani e dai magistrati che prepara i disegni di legge da presentare al Gran consiglio; il Potere esecutivo o Anziani è costituito da dodici membri; i Magistrati, che nel Consiglio amministrativo hanno solo funzioni consultive, sono preposti a giustizia relazioni estere e istruzione pubblica, a finanze e interno, a polizia forze armate e difesa pubblica; vengono istituiti giudici di pace e giudici sia civili che criminali di prima istanza e tribunali di appello; l’elevazione di Napoleone a imperatore prelude a mutamenti politico-istituzionali che portano il 14 luglio all’arrivo di Pasquale Baiocchi a Lucca per prenderne possesso
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Piemonte
2 dic. 1804-14 mag. 1805: il 18 maggio 1804 il Senato francese aveva approvato la mozione che concedeva a Napoleone il titolo di imperatore dei francesi e il 2 dicembre 1804 Napoleone si incorona imperatore nella chiesa di Notre Dame alla presenza del papa Pio VII; con decreto 14 mag. 1805 viene soppressa in Piemonte l’Amministrazione generale della 27° Divisione militare e viene istituito un Governatorato generale dei dipartimenti transalpini, Piemonte e Liguria (28° Divisione militare), di cui il gen. Menou in qualità di comandante militare assicura l’interim nella temporanea assenza del titolare, Luigi Bonaparte, chiamato nel frattempo ad assumere il trono d’Olanda; di fatto viene a mancare, nei territori annessi alla Francia, una autorità intermedia e i prefetti costituiscono ora i veri rappresentanti locali dell’autorità governativa; nel 1804, Piombino, presidiato dal 1801 da truppe francesi, passa all’Impero
14 mag. 1805-27 apr. 1814: l’assetto politico e amministrativo non muta neanche quando, il 2 feb. 1808, il principe Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, viene nominato Governatore dei dipartimenti italiani in quanto i suoi poteri sono molto limitati e tendono a ridursi ulteriormente nei sei anni di governatorato durante i quali si estendono i poteri dei prefetti, rappresentanti locali di tutti i ministeri in Parigi; nel 1804 era entrato in vigore il Codice civile, cui seguono il Codice di procedura civile (1807), il Codice di commercio (1807), il Codice di istruzione penale (1809) e, infine, il Codice penale (1810); nelle forme prescritte dal Codice Napoleone (nome assunto nel 1807 dal Codice civile) viene esteso a tutti i dipartimenti italiani dell’Impero lo “stato civile”, mentre in Piemonte, già con provvedimento del 1798 era stata affidata al maire la conservazione dei registri prima affidati ai parroci; dopo le sconfitte francesi e l’ingresso degli alleati a Parigi, Napoleone è costretto ad abdicare il 6 apr. 1814; Camillo Borghese ne viene informato dopo qualche giorno e, soltanto il 27 apr. 1814, firma con il generale austriaco Bubna una convenzione con la quale gli cede il governo provvisorio delle province piemontesi; il giorno successivo, poco prima dello sbarco di Vittorio Emanuele I a Genova, lascia Torino
Liguria
4 giu. 1805-apr. 1814: con decreto del Senato 25 mag. 1805, presentato a Napoleone il 4 giu. 1805, Genova viene annessa all’Impero francese; con decreto 6 giu. 1805 il territorio viene diviso in tre dipartimenti, di Genova, con capoluogo Genova, di Montenotte, con capoluogo Savona, degli Appennini, con capoluogo Chiavari
apr. 1814-7 gen. 1815: nell’aprile 1814 Genova viene occupata dagli inglesi e il 26 aprile lord Bentinck nomina un Governo provvisorio con potere legislativo ed esecutivo; vengono formati due collegi, Senato o governatori e Camera o procuratori, suddivisi in tre giunte, per gli affari esteri, per gli affari interni, per gli affari ecclesiastici; vengono inoltre istituiti i magistrati della guerra e marina, degli inquisitori di stato o di alta polizia, dell’università degli studi, della commissione di sanità; con decreto 3 mag. 1814 il territorio è diviso in sette giurisdizioni (Polcevera, Ponente, Confini occidentali, Bisogno, Levante, Confini orientali, Oltre Giogo) rette ciascuna da un Governatore, suddivise in cantoni e comuni; in base a legge 4 mag. 1814 vengono confermati i giudici di pace, i tribunali di commercio e i tribunali di prima istanza che con diversa composizione formano i tribunali criminali di circondario; il tribunale criminale di Genova ha anche funzioni di civile e commerciale e un tribunale di cassazione; la nuova Repubblica non riesce a mantenere la sua autonomia e, nella seduta del 12 nov. 1814 del congresso di Vienna viene deliberata l’annessione al Piemonte; il 26 dicembre il Governo provvisorio lascia il potere e il 7 gen. 1815 Ignazio Thaon di Revel, commissario plenipotenziario per l’annessione di Genova al Piemonte, riceve dagli inglesi il possesso di Genova che viene così a far parte del Regno di Sardegna
Toscana
10 dic. 1807-3 mar. 1809: l’assimilazione della Toscana alla Francia risale in sostanza al trattato di Fauntainbleau (27 ott. 1807); nel mese di dicembre 1807 l’intendente del tesoro per i dipartimenti d’Italia, Dauchy, viene inviato a Firenze in qualità di Commissario imperiale per avviare l’attività tendente all’inserimento della Toscana nell’Impero francese; viene costituita una Giunta straordinaria di governo, mentre il gen. Menou assume la carica di Governatore generale accanto alla Giunta; vengono riorganizzati i comandi militari dei Commissariati di Livorno, Pisa e Siena e della Provincia inferiore (Grosseto), assegnando loro solo funzioni civili; il 4 feb. 1808 viene costituita una Commissione per procedere alla verifica e liquidazione dei debiti della passata Corte; viene soppresso il Dipartimento giurisdizionale e, il 9 mar. 1808, viene soppresso il Senato e poi anche il Concistoro senese; il 18 mar. 1808 viene soppresso il Consiglio di stato, poi l’Avvocatura regia, la Consulta di grazia e giustizia, la Depositeria generale, la Giunta di revisione e, a poco a poco, tutte le altre istituzioni con decreto 24 mar. 1808 si procede alla soppressione delle corporazioni religiose, salvo alcune eccezioni; la Giunta opera alla semplificazione della complessa normativa francese; decide di procedere ai lavori di estimo, come già nel 1802 si era tentato del Regno d’Etruria, riuscendo ad avviare le operazioni di catastazione; viene introdotto il Codice napoleonico; con senatoconsulto organico del 24 mag. 1808 vengono istituiti i dipartimenti, dell’Arno, con capoluogo Firenze, dell’Ombrone, con capoluogo Siena, del Mediterraneo, con capoluogo Livorno, retti dai prefetti; vengono istituiti i Consigli dipartimentali, circondariali e municipali; il 22 ottobre viene riconosciuta la franchigia al porto di Livorno
3 mar. 1809-20 apr. 1814: Elisa Baciocchi, sorella dell’imperatore e consorte del sovrano del Principato di Lucca e di Piombino, viene nominata granduchessa di Toscana con decreto imperiale 3 mar. 1809 che definisce anche l’organizzazione di governo dei tre dipartimenti in base alla quale la granduchessa esercita le funzioni di governo generale; ha, cioè, il compito di sorveglianza generale su tutte le autorità militari, civili e amministrative, senza tuttavia poter modificare alcun ordine dell’imperatore, restando l’effettiva direzione dello Stato agli alti funzionari dell’Impero; Elisa arriva a Firenze il 1° apr. 1809, ove trova la Giunta straordinaria già attiva da un anno, e un Consiglio straordinario di liquidazione istituito con decreto imperiale 31 dic. 1808, incaricato di estinguere i debiti del precedente periodo; tra le varie misure si delinea quella della vendita dei beni ecclesiastici; viene abolito anche l’Ordine di S. Stefano e i suoi beni uniti al demanio; l’amministrazione del debito pubblico procede alla vendita dei beni e l’11 lug. 1809 Elisa nomina il Consiglio di amministrazione della commissione; vengono istituite la Camera di commercio e la Borsa a Firenze e Tribunali di commercio a Firenze e a Livorno; viene istituita la Scuola normale a Pisa ed altre iniziative vengono prese a favore delle istituzioni scolastiche e culturali; il 20 feb. 1814 le truppe di Gioacchino Murat, ormai nemico di Napoleone, invadono la Toscana, entrando dapprima a Livorno e il 23 successivo a Firenze; Elisa si rifugia a Lucca e poi a Genova, mentre si diffondono ribellioni contro le truppe napoleoniche; dall’8 marzo il gen. Murat deve accettare la presenza della flotta di lord Bentinck davanti a Livorno e, dopo lo sbarco, il semplice mantenimento per sé dell’amministrazione civile della città; il 20 aprile viene conclusa a Parma la convenzione tra il plenipotenziario di Murat e l’inviato di Ferdinando III intesa al ritorno in Toscana degli Asburgo-Lorena
1814-1815: con il ritorno di Ferdinando III di Lorena in Toscana vengono ripristinati fin dal settembre 1814 gli organi di governo e, in parte, le strutture amministrative in funzione fino al 1808, mentre l’amministrazione della regia corte viene ripristinata con motuproprio 22 apr. 1815
Stati parmensi
24 mag. 1808-14 feb. 1814: negli Stati Parmensi, affidati fin dal 1802 ad una amministrazione francese, il processo di assimilazione alla legislazione francese avviene nel corso di alcuni anni, fino al senatoconsulto del 4 mag. 1808 che ne sanziona formalmente l’annessione all’Impero con l’istituzione del dipartimento del Taro, con capoluogo Parma, che include anche Licenza; il 14 feb. 1814 il governo francese cessa a Parma, ove si costituisce un Governo provvisorio, mentre il prefetto si ritira a Piacenza, rimasta ancora alla Francia; dopo un breve ritorno dei francesi dal 2 al 9 marzo, viene confermato il Governo provvisorio, esteso ora anche a Piacenza
14 feb.-6 giu. 1814: in base al trattato di Fontainbleau (11 apr. 1814) e all’art. 99 del trattato di pace concluso al congresso di Vienna (1815), i Ducati di Parma Piacenza, cui viene ricongiunto anche quello di Guastalla, vengono assegnati all’imperatrice Maria Luigia, salvo le terre sulla sinistra del Po; il 6 giu. 1814 viene istituita una Reggenza provvisoria in nome di Maria Luigia e il 30 giugno viene nominato un Commissario imperiale, il conte Ferdinando Marescalchi
Umbria e Lazio
17 mag. 1809-mag. 1814: l’Umbria e il Lazio, con decreto di Napoleone 17 mag. 1809 vengono annessi all’Impero francese e dal 1° giugno viene istituita a Roma una Consulta straordinaria per gli Stati romani; con decreto della consulta 15 giu. 1809 viene soppressa la Camera apostolica e regolate le attribuzioni già delle Presidenze; con decreto della consulta 17 giu. 1809 vengono soppressi i tribunali pontifici e istituiti i nuovi tribunali civili, dichiarando esplicitamente la distinzione tra le funzioni amministrative e quelle giudiziarie; con decreto della consulta 21 giu. 1809 vengono istituiti i nuovi tribunali penali; con decreto 15 lug. 1809 gli Stati romani vengono organizzati in due dipartimenti, del Tevere (con capoluogo Roma) e del Trasimeno (con capoluogo Spoleto), a loro volta articolati in circondari comunicativi, divisi in cantoni e i cantoni in comuni; Roma, dichiarata “città imperiale e libera”, è capoluogo di un dipartimento che corrisponde ai tre dipartimenti (Cimino, Tevere e Circeo) della Repubblica romana, articolato nei circondari di Roma, Frosinone, Rieti, Tivoli, Velletri e Viterbo
mag. 1814: i territori di Roma e del Lazio e quelli umbri, uniti all’Impero francese, vengono riconsegnati al pontefice nel maggio 1814, costituendo, secondo una dizione dell’epoca, le province di prima recupera
Province illiriche
1809-1813: l’Austria mantiene il suo dominio sul Governo del Litorale fino al 1809 quando, a seguito della pace di Schoenbrunn, l’Austria cede alla Francia i territori che dalla Carinzia alla Dalmazia, vanno a formare le Province illiriche dell’Impero francese, con capitale a Lubiana sede del Governo generale; le Province illiriche sono articolate in undici intendenze con sede a Adelsberg (Postumia), Cattaro, Karlstadt (Karlovac), Zara, Fiume, Gorizia, Laybach (Lubiana), Neustadt (Nuovo Mesto), Ragusa, Trieste, Willach (Villaco); nel 1810 passa alle Province illiriche il dipartimento dell’Istria incluso nel Regno d’Italia e, a seguito di una successiva riorganizzazione territoriale del 15 apr. 1811, le intendenze vengono ridotte a sette, Carinzia (Willach), Carniola (Lubiana), Croazia civile (Karlovac), Croazia militare (Segna), Istria (Trieste), Dalmazia (Zara), Ragusa (Ragusa); Trieste, capoluogo dell’Istria, include i distretti di Trieste, Gorizia, Capodistria e Rovigno ed è retta da un intendente provinciale con poteri analoghi a quelli dei prefetti; la parte dell’Istria che da secoli apparteneva all’Austria (Contea di Pisino) viene unita con Fiume e le isole del Quarnaro alla Croazia civile; nelle Province illiriche viene introdotta la legislazione francese che incide anche sull’ordinamento giudiziario e introduce la coscrizione obbligatoria, mentre il magistrato municipale è sostituito dal maire, assistito da un consiglio (Consiglio patrizio) e dipendente gerarchicamente dalle autorità di governo; nell’ottobre 1813 il Litorale è rioccupato dalle truppe austriache, accolte con favore
ott. 1813-lug. 1814: le truppe austriache occupano il Litorale e, dal mese successivo, le province riconquistate vengono sottoposte a un Governo provvisorio generale dell’Illirio; dal 23 luglio 1814 Trieste e il Litorale diventano parte interante dell’Impero austriaco
- 1. dipartimento delle Alpi Marittime, Nizza, include San Remo e Ventimiglia
- 2. dipartimento degli Appennini, Chiavari, include Sarzana
- 3. dipartimento dell’Arno, Firenze
- 4. dipartimento della Dora, Ivrea
- 5. dipartimento di Genova, Genova
- 6. dipartimento di Marengo, Alessandria, include Asti (dal 1805) e parte del territorio di Pavia
- 7. dipartimento del Mediterraneo, Livorno
- 8. dipartimento di Montenotte, Savona, include Porto Maurizio e l’Imperiese
- 9. dipartimento dell’Ombrone, Siena
- 10. dipartimento del Po, Torino
- 11. dipartimento della Sesia, Vercelli, include Biella
- 12. dipartimento della Stura, Cuneo, Alba, Mondovì, Saluzzo, Savigliano
- 13. dipartimento del Taro, Parma, include Piacenza
- 14. dipartimento del Tevere, Roma, include Frosinone, Rieti e Viterbo
- 15. dipartimento del Trasimeno, Spoleto, include Foligno, Orvieto, Perugia e Terni
- 16. provincia dell’Istria, Trieste, include Gorizia
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14 lug. 1805-mag. 1814: il 18 mar. 1805 Napoleone annuncia che aveva assegnato lo Stato di Piombino, ove già dal set. 1801 un distaccamento francese presidiava il territorio poi unito all’Impero, alla sorella Elisa Baciocchi che così diventa principessa erede dei domini già appartenenti ai Ludovisi Boncompagni; il marito, Pasquale Baciocchi, oltre a diventare principe di Piombino, assume il comando delle truppe incaricate della difesa della costa e delle comunicazioni tra l’Elba e la Corsica; il 24 giu. 1805 viene concesso ai Baciocchi lo Stato lucchese; Pasquale Baiocchi, marito di Elisa Bonaparte, prende possesso del territorio lucchese col nome di Felice I, principe di Lucca e Piombino, dopo il voto espresso dal Gran consiglio della Repubblica lucchese; in breve tempo l’ordinamento dello Stato lucchese viene radicalmente modificato; il potere, fino ad allora affidato sempre a un organo collegiale (salvo il trentennio della signoria di Paolo Guinigi, 1400-1430), assume un carattere autoritario e personalistico anche se la nuova costituzione prevede due organi collegiali, il Senato, con funzioni legislative, e il Consiglio di Stato, organo consultivo del principe; spetta al Senato, regolamentato il 14 gen. 1806, discutere e approvare i progetti di legge proposti dal principe presentate, l’elezione dei giudici civili e criminali e sanzionare determinati atti, anche se di fatto dovrà provvedere soprattutto a sanzionare l’introduzione della legislazione francese per quanto attiene alle riforme amministrative e giudiziarie e ai codici (codice Napoleone, codice di commercio e poi codice penale e codice di procedura penale), salvo eventuale adattamento alla realtà locale; rilevanti riforme riguardano la soppressione di enti ecclesiastici, il catasto, l’assistenza pubblica e l’istruzione,la promozione dell’agricoltura delle arti e del commercio, il notariato, lo stato civile; ogni progetto di legge deve essere presentato al Senato da un membro del Consiglio di Stato; il Consiglio di Stato, articolato in una sezione legislativa e una sezione di finanza, esamina gli affari rimessi al principe; una terza sezione per il contenzioso amministrativo esercita, se alla presenza di tutto il consiglio e presieduta dal Gran giudice, anche funzioni di Corte di cassazione; all’Intendenza della casa dei principi di Lucca e Piombino spetta l’amministrazione della lista civile e del demanio dei Baiocchi, mentre la Segreteria di Stato e il Gabinetto operano uniti nella stessa persona; con decreto 27 gen. 1806 ai tre cantoni istituiti nel dic. 1801 subentra una articolazione in quindici cantoni (Lucca, Capannoni, Nozzano, Compito, Villa Basilica, Pescaglia, Borgo, Bagno, Gallicano, Castiglione, Coreglia, Minacciano, Camaiore, Viareggio e Montignoso) corrispondenti alle comunità centrali delle singole vicarie di antico regime; con decreto imperiale 30 mar. 1806 il Ducato di Massa el Principato di Carrara e, con decreto imperiale 29 apr. 1806, la Garfagnana vengono annesse al Principato Baciocchi; nel mag. 1806 vengono istituite tre prefetture, a Lucca, a Massa, a Castelunovo, riunite nel 1808 in una sola, divisa in tre circondari, governati dal prefetto a Lucca, da viceprefetti a Massa e Castelnuovo; nel 1810 Lucca è governata direttamente dai ministri, ciascuno per le proprie competenze, mentre Massa e Castelnuovo sono amministrate da suddelegati; al Principato di Piombino, che Napoleone aveva unito a quello di Lucca con il pretesto di assegnargli una funzione precisa nel complessivo quadro politico dell’Impero, viene mantenuta un minimo di autonomia, ma viene incluso nella diocesi francese di Ajaccio, di cui già faceva parte l’Elba; nello Stato lucchese, occupato dalle truppe di Gioacchino Murat, viene istituito, con decreto 6 apr. 1814, un Governo provvisorio che cessa dopo un mese (decreto 4 mag. 1804), quando vengono ripristinate le leggi anteriori al periodo napoleonico; nel Congresso di Vienna (9 giu. 1815) il territorio del principato di Piombino viene assegnato al granduca di Toscana, Ferdinando III di Lorena
- Lucca
- Massa
- Carrara
- Castelnuovo (Castelnuovo di Garfagnana)
- Piombino
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Al ritorno delle truppe austriache nel veneto il comandante in capo barone de Hiller emanò l'8 nov. 1813 dal quartier generale in Trento un editto Collezione province venete, 1813-1814, I, parte I, n.1 con il quale furono provvisoriamente mantenuti i dipartimenti e in genere tutta l'organizzazione amministrativa e giudiziaria del regno d'Italia e furono provvisoriamente confermati gli impiegati statali e comunali, che passarono alle dipendenze dello stesso generale "" commissario principale per le province già occupate "" (detto poi negli atti stessi "" commissario civile "").
Tutti gli uffici passarono quindi alle dipendenze del principe Enrico XV di Reüss-Plauen che ebbe il titolo di "" governatore militare e civile "" (circolare 18 dic. 1813) Collezione province venete, n. 10.
In data 20 apr. 1814 un avviso Ibid., n. 47 congiunto del tenente maresciallo barone de Marchal e del generale divisionario conte de Seras annunciò la capitolazione di Venezia: la città venne assoggettata al barone de Marchal comandante le truppe austriache che - per ordine del principe Enrico XV, ora definito "" governatore generale civile e militare in italia "" - doveva assumere "" provvisoriamente la direzione superiore di tutti gli affari sì civili, che militari... "".
Dopo la costituzione del regno lombardo-veneto nell'aprile del 1815 il Veneto ebbe un proprio governo, parallelo a quello milanese
Il 22 marzo 1848 l'autorità austriaca capitolava Raccolta governo provvisorio, t. I, parte I, pp. 56-63 e il 23 marzo si formava un governo provvisorio presieduto da Daniele Manin Ibid., pp. 71-72. Questi, il giorno stesso, ripartiva le funzioni governative in otto ministeri: esteri e presidenza, culto e istruzione, giustizia, finanze, guerra, marina, interno e costruzioni, commercio.
Il 5 luglio 1848, essendo stata decisa dall'assemblea dei deputati della provincia di Venezia l'annessione al Piemonte, il potere esecutivo venne diviso in sei dipartimenti, che sostituirono i ministeri: presidenza, giustizia e culto; interno, costruzioni e istruzione; finanze; marina; guerra; commercio, arti.
Dal 7 all'11 agosto 1848 il potere fu tenuto, a nome del re di Sardegna Carlo Alberto, dai tre regi commissari Vittorio Colli, Luigi Cibrario e Iacopo Castelli, i quali divisero tutta l'amministrazione in tre dipartimenti: guerra, marina, porto, relazioni politiche ecc.; finanze, commercio) industria, poste, ecc.; culto, grazia e giustizia, interno, costruzioni ed istruzione.
L'11 agosto i regi commissari, in seguito all'armistizio di Salasco In provincia di Vercelli del 9 agosto 1848, si ritirarono e il 13 agosto il potere venne concentrato nel triumvirato formato da Daniele Manin, Gio. Battista Cavedalis e Leone Graziani. ognuno dei triumviri assunse un dipartimento: il primo, quello della guerra, fu assunto dal Cavedalis; il secondo, della marina, dal Graziani; il terzo, suddiviso nelle cinque sezioni - presidenza e guardia civica; personale, finanze e commercio; passaporti, ordine pubblico; giustizia, istruzione, beneficenza; interno, costruzioni, assemblea - dal Manin.
Con decreto del governo provvisorio del 10 marzo 1849, n. 4030 (91) Bollettino governo provvisorio, p. 113 i dipartimenti vennero portati a sei: affari esteri e presidenza; finanze, commercio, arti e manifatture; giustizia ed interno; culto, istruzione e beneficenza; marina; guerra. Tale assetto durò fino al 24 ag. 1849, giorno in cui il governo provvisorio delegò i suoi poteri al municipio Bollettino governo provvisorio, p. 195 e si sciolse in seguito alla capitolazione firmata a villa Papadopoli il 22 agosto Per questo periodo è indispensabile integrare la ricerca d'archivio consultando le carte Manin presso il civico museo Correr
Il 24 ag. 1849 il governo provvisorio seguito ai moti del'48 si dimise delegando i suoi poteri al municipio Bollettino governo provvisorio, p. 113. Il governo austriaco - che da Verona governava i territori rimasti sotto il suo dominio mediante un commissario imperiale plenipotenziario - riprese possesso della città con le truppe del generale Gorzkowski che vi assunse il governo civile e militare. Nell'ottobre dello stesso anno venne poi nominato, nella persona del Radetzky, sempre con sede in Verona, un governatore civile generale per gli affari interni del regno lombardo-veneto. Nel novembre vennero quindi attivate a Venezia e a Milano - in luogo dei precedenti governi - le luogotenenze, rispettivamente per le province venete e lombarde, assieme alla ricostituzione di vecchi uffici e alla istituzione di nuovi. Mentre la Lombardia veniva unita al regno di Sardegna nel 1859, il Veneto passò al regno d'Italia a seguito della pace di Vienna del 3 ott. 1866. Per la "" pronta attivazione delle nuove autorità politiche "" venne istituita, a Venezia come a Milano, una apposita commissione di organizzazione, presieduta appunto dal luogotenente e dipendente dal ministero dell'interno; la commissione agiva di concerto con un'altra commissione di organizzazione giudiziaria, ai sensi dell'ordinanza sovrana 31 dic. 1850 Bollettino Venezia, 1850, n. 19
Le preture nel Lombardo-Veneto
Si riportano gli elenchi delle preture indicate -provincia per provincia- nelle tabelle annesse rispettivamente alla notificazione del 3 febbraio 1818Raccolta governo Lombardia, 1818, parte I, n. 5 per la Lombardia e 4 febbraio 1818Collezione province venete, 1818, n. 28 per il Veneto. Non si riporta la divisione in classi delle preture né l’ambito della giurisdizione territoriale delle medesime, che per il Veneto è definito con riferimento al “compartimento territoriale” del 30 novembre1815Ibid, 1815, n. 122. Si segnalano inoltre le variazioni intervenute a seguito del decreto 11 ottobre 1852Bollettino Lombardia, 1852, n. 449; Bollettino Venezia, 1852, n. 334.
Lombardia
Milano
Nel 1818 la provincia aveva due preture urbane e otto preture foresi: Monza, Desio, Gallarate, Busto Arsizio, Cassano, Saronno, Vimercate e Melegnano.
Nel 1852 non figura la pretura di Vimercate.
Bergamo
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, dodici preture foresi: Breno, Romano, Treviglio, Clusone, Verdello, Zogno, Edolo, Sarnico, Gandino, Lovere, Caprino e Piazza.
Nel 1852 si ebbero due preture urbane; non figura inoltre Verdello e figura invece Trescorre e Almeno San Salvatore.
Brescia
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, nove preture foresi: Lonato, Salò, Chiari, Verolanuova, Iseo, Leno, Vestone, Orzinuovi e Gardone.
Nel 1852 figurano anche le preture di Montechiari e Gargnano.
Como
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, dodici preture foresi: Varese, Lecco, Oggiono, Brivio, Asso, Introbbio, Gavirate, Luino, Gravedona, Cantù, Menaggio e San Fedele.
Nel 1852 non figurano Oggiono, Introbbio e Cantù e figura invece Bellano.
Cremona
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, cinque preture foresi: Soresina, Casalmaggiore, Pizzighettone, Casalbuttano e Piadena.
Nel 1852 non vi furono variazioni.
Lodi e Crema
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana in Lodi, cinque preture foresi: Crema, Codogno, Casal Pusterlengo, San Colombano e Sant’Angelo.
Nel 1852 non figura la pretura di San Colombano.
Mantova
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, dieci preture foresi: Gonzaga, Bozzolo, Castiglione delle Stiviere, Viadana, Revere, Canneto, Sermide, Goito, Ostiglia e Sabbionetta.
Nel 1852 non figura Goito e figurano invece Asola, Volta e San Benedetto.
Pavia
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, tre preture foresi: Corte Olona, Abbiategrasso e Binasco.
Nel 1852 non vi furono variazioni.
Valtellina
Nel 1818 la provincia della Valtellina (di Sondrio nel 1852) aveva, oltre alla pretura urbana, quattro preture foresi: Tirano, Morbegno, Chiavenna e Bormio.
Nel 1852 non vi furono variazioni.
Veneto
Venezia
Nel 1818 la provincia aveva due preture urbane e nove preture foresi: Ariano, Cavarzere, Chioggia, Dolo, San Donà, Loreo, Mestre, Portogruaro (con una cancelleria in Caorle) e Murano.
Nel 1852 non figurano Ariano, Loreo e Murano e fugura invece Mirano.
Belluno
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, sei preture foresi: Agordo, Auronzo, Pieve di Cadore, Feltre, Fonzaso e Mel.
Nel 1852 non vi figurano le preture di Fonzaso e Mel.
Friuli
Nel 1818 la provincia del Friuli (di Udine nel 1852) aveva, oltre alla pretura urbana, diciassette preture foresi: Aviano, Codroipo, San Daniele, Faedis, Gemona, Latisana, Maniago, Moggio, Palma, Cividale, Pordenone, Sacile, Spilimbergo, Tolmezzo, Travesio, Tarcento e San Vito.
Nel 1852 non figurano Faedis e Travesio.
Padova
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, undici preture foresi: Battaglia, Campo San Piero, Conselve, Este, Mirano, Monselice, Montagnana, Noale, Piazzola, Piove e Teolo.
Nel 1852 non figurano Battaglia, Mirano, Noale e Piazzola e figura invece Cittadella.
Polesine
Nel 1818 la provincia del Polesine (di Rovigo nel 1852) aveva, oltre alla pretura urbana, sei preture foresi: Adria, Badia, Crespino, Lendinara, Massa e Occhiobello.
Nel 1852 figurano anche la pretura di Loreo e Ariano.
Treviso
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, nove preture foresi: Asolo, Castelfranco, Ceneda, Conegliano, Motta, Montebelluna,Oderzo, Serravalle e Valdobiadene.
Nel 1852 non figura Montebelluna e figura invece Biadene
Verona
Nel 1818 la provincia aveva, oltre alla pretura urbana, undici preture foresi: Badia Calavena, Caprino, Cologna, San Pietro Incariano, Isola della Scala, Legnago, Malcesine, Sanguinetto, Soave, Villafranca e Zevio.
Nel 1852 non figurano Badia Calavena, Malcesine, Sanguinetto e Zevio e figurano invece Bardolino e Tregnago.
Vicenza
Nel 1818 la provincia aveva, oltre la pretura urbana, dodici preture foresi: Arzignano, Asiago, Barbarano, Bassano, Camisano, Cittadella, Lonigo, Malo, Marostica, Schio, Thiene e Valdagno.
Nel 1852 non figurano Camisano, Cittadella e Malo.
I distretti nel Lombardo-Veneto
Si riportano i soli distretti - con le province di appartenenza - elencati nelle tabelle annesse alla notificazione 12 febbraio 1816Raccolta governo Lombardia, 1816, parte I, n. 25 per la Lombardia e alle notificazioni 30 novembre 1815Collezione province venete, 1815, n. 122 e 8 luglio 1818Ibid.,1818, n. 106 per il Veneto. Si segnalano poi le variazioni intervenute nel 1853 a seguito dell’ordinanza del ministero dell’Interno 7 maggio 1853Bollettino Lombardia e Bollettino Venezia, 1853, parte I, n. 80, comune ai due governi.
A meno di evidenti errori di stampa (es. Malusine invece di Malcesine) i nomi delle località sono stati riportati così come compaiono nelle tabelle annesse ai due provvedimenti di legge citati, avvertendo che nell’ordinanza del 1853 - come del resto già in leggi precedenti - la scrittura di alcuni di essi presenta delle varianti.
Lombardia
Milano
Nel 1816 la provincia comprendeva i seguenti distretti: I e II Milano, III Bollate, IV Saronno, V Barlassina, VI Monza, VII Verano, VIII Vimercate, IX Gorgonzola, X e XI Milano, XII Melegnano,XIII Gallarate, XIV Cuggiono Maggiore, XV Busto Arsizio, XVI Somma.
Nel 1853 è elencato il nuovo distretto di Carate mentre non sono più menzionati i distretti di Milano X e XI e di Verano.
Bergamo
Nel 1816 la provincia comprendeva i seguenti distretti: I Bergamo, II Zogno, III Trescorre, IV Almeno San Salvatore, V Ponte San Pietro, VI Alzano Maggiore, VII Caprino, VIII Piazza, IX Sarnico, X Treviglio, XI Martinengo, XII Romano, XIII Verdello, XIV Clusone, XV Gandino, XVI Lovere, XVII Breno, XVIII Edolo.
Nel 1853 non sono più menzionati Alzano Maggiore, Martinengo e Verdello e figura invece Bergamo II.
Brescia
Nel 1816 la provincia comprendeva i seguenti distretti: I Brescia, II Ospitaletto, III Bagnolo, IV Montechiari, V Lonato, VI Gardone, VII Bovegno, VIII Chiari, IX Adro, X Iseo, XI Verolanuova, XII Orzinovi, XIII Leno, XIV Salò, XV Gargnano, XVI Preseglie, XVII Vestone.
Nel 1853 non sono più menzionati Bovegno, Adro e Preseglie.
Como
Nel 1816 la provincia comprendeva i seguenti distretti: I e II Como, III Bellagio, IV Menaggio, V San Fedele, VI Porlezza, VII Dongo, VIII Gravedona, IX Bellano, X Taceno, XI Lecco, XII Oggiono, XIII Canzo, XIV Erba, XV Angera, XVI Gavirate, XVII Varese, XVIII Cuvio, XIX Arcisate, XX Maccagno, XXI Luvino, XXII Tradate, XXIII Appiano, XXIV Brivio, XXV Missaglia, XXVI Mariano.
Nel 1853 è elencato il nuovo distretto di Cantù mentre non sono più menzionati Dongo, Taceno, Erba, Cuvio, Maccagno e Mariano.
Cremona
Nel 1816 la provincia comprendeva i seguenti distretti: I Cremona, II Soncino, III Soresina, IV Pizzighettone, V Robecco, VI Pieve D’Olmi, VII Casalmaggiore, VIII Piadena, IX Pescarolo.
Nel 1853 è elencato il nuovo distretto di Sospiro mentre non sono più menzionati Pieve D’Olmi e Pescarolo.
Lodi e Crema
Nel 1816 la provincia (capoluogo Lodi) comprendeva i seguenti distretti: I Lodi, II Zelo Buon Persico, III Sant’Angelo, IV Borghetto, V Casalpusterlengo, VI Codogno, VII Pandino VIII e IX Crema.
Nel 1853 non è più menzionato Zelo Buon Persico.
Mantova
Nel 1816 la provincia comprendeva i seguenti distretti:I Mantova, II Ostiglia,III Roverbella, IV Volta, V Castiglione delle Stiviere, VI Castel Goffredo, VII Canneto, VIII Marcaria, IX Borgoforte, X Bozzolo, XI Sabbionetta, XII Viadana, XIII Suzzara, XIV Gonzaga, XV Revere, XVI Sermide, XVII Asola.
Nel 1853 non sono più menzionate Roverbella, Castel Goffredo, Marcaria, Borgoforte, Sabbionetta e Suzzara.
Pavia
Nel 1816 la provincia comprendeva i seguenti distretti: I Pavia, II Bereguardo, III Belgioioso, IV Corte Olona, V Rosate, VI Binasco, VII Landriano, VIII Abbiategrasso.
Nel 1853 non figurano Rosate e Landriano.
Valtellina
Nel 1816 la provincia (di Sondrio nel 1853) comprendeva i seguenti distretti: I Sondrio, II Ponte, III Tirano, IV Morbegno, V Traona, VI Bormio, VII Chiavenna.
Nel 1853 non sono più menzionati come appartenenti alla provincia – ora detta di Sondrio – i distretti di Ponte e Traona.
Veneto
Venezia
Nel 1815 i distretti della provincia furono i seguenti: I Venezia, II Mestre, III Dolo, IV Chioggia, V Loreo, VI Ariano, VII San Donà, VIII Portogruaro.
Nel 1818 la provincia comprendeva gli stessi distretti.
Nel 1853 furono soppressi Loreo ed Ariano ed aggiunto Mirano.
Belluno
Nel 1815 i distretti della provincia furono i seguenti:I Belluno, II Longarone, III Pieve di Cadore, IV Auronzo, V Agordo, VI Fonzaso, VII Feltre, VIII Mel.
Nel 1818 la provincia comprendeva gli stessi distretti.
Nel 1853 fu soppresso Mel.
Friuli
Nel 1815 i distretti della provincia del Friuli (di Udine nel 1853) furono i seguenti: I Udine, II San Daniele, III Spilimbergo, IV Travesio, V Maniago, VI Aviano, VII Sacile, VIII Pordenone, IX San Vito, X Codroipo, XI Latisana, XII Palma, XIII Cividale, XIV San Pietro, XV Faedis, XVI Moggio, XVII Paluzza, XVIII Rigolato, XIX Ampezzo, XX Tolmezzo, XXI Gemona, XXII Tarcento.
Nel 1818 furono soppressi Travesio e Tarcento con conseguente spostamento della numerazione ed aggiunto Tricesimo come XXI distretto.
Nel 1853 furono soppressi Faedis, Paluzza e Tricesimo ed aggiunto Tarcento.
Padova
Nel 1815 i distretti della provincia furono i seguenti: I Padova, II Mirano, III Noale, IV Campo San Piero, V Piazzola, VI Teolo, VII Battaglia, VIII Montagnana, IX Este, X Monselice, XI Conselve, XII Piove.
Nel 1818 la provincia comprendeva gli stessi distretti.
Nel 1853 furono soppressi Mirano (passato alla provincia di Venezia), Noale, Piazzola, Teolo e Battaglia ed aggiunto Cittadella (già nella provincia di Vicenza).
Polesine
Nel 1815 i distretti della provincia del Polesine (di Rovigo nel 1853) furono i seguenti: I Rovigo, II Lendinara, III Badia, IV Massa, V Occhiobello, VI Crespino, VII Adria.
Nel 1818 fu aggiunto Polesella come VII distretto ed Adria divenne VIII.
Nel 1853 fu soppresso Crespino ed aggiunto Ariano (già nella provincia di Venezia).
Treviso
Nel 1815 di distretti della provincia furono i seguenti: I Treviso, II Oderzo, III Conegliano, IV Serravalle, V Ceneda, VI Valdobiadene, VII Montebelluna, VIII Asolo, IX Castelfranco.
Nel 1818 fu aggiunto Motta che divenne distretto III col conseguente spostamento dei successivi sette distretti.
Nel 1853 furono soppressi Serravalle e Motta.
Verona
Nel 1815 i distretti della provincia furono i seguenti: I Verona, II Villafranca, III Isola della Scala, IV Sanguinetto, V Legnago, VI Cologna, VII Zevio, VIII San Bonifacio, IX Illasi, X Badia Calavena, XI San Pietro Incariano, XII Caprino.
Nel 1818 fu aggiunto Bardolino come XIII distretto.
Nel 1853 furono soppressi Zevio, Illasi, Badia Calavena ed aggiunto Tregnago.
Vicenza
Nel 1815 i distretti della provincia furono i seguenti: I Vicenza, II Camisano, III Cittadella, IV Bassano, V Marostica, VI Asiago, VII Thiene, VIII Schio, IX Malo, X Valdagno, XI Arzignano, XII Lonigo, XIII Barbarano.
Nel 1818 la provincia comprendeva gli stessi distretti.
Nel 1853 furono soppressi Camisano (passato alla provincia di Padova), Cittadella e Malo.
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http://dati.san.beniculturali.it/SAN/CAI4400,http://dati.san.beniculturali.it/SAN/descrizioneCSI,"Governo del Litorale in Trieste
Nell'ottobre 1813 il Litorale fu rioccupato dalle truppe austriache e dal mese successivo le province riconquistate furono sottoposte ad un governo generale provvisorio dell'Illirio. Dal luglio 1814 Trieste e il Litorale furono considerati parte integrante dell'impero austriaco e inseriti nel suo sistema legislativo, per decisione del congresso di Vienna. Retta da un i.r. governo del Litorale in Trieste, la provincia del Litorale venne divisa nei circoli (Kreise) di Gorizia, Trieste, Fiume e Carlstadt. La città di Trieste, amministrata da un organo municipale denominato magistrato politico-economico, non dipendeva da un'autorità circolare, ma era immediatamente sottoposta al governo del Litorale. In seguito al distacco dei circoli di Carlstadt e di Fiume avvenuto nel 1822, fu istituito un circolo dell'Istria con sede in Pisino, che nel 1825 assorbì la competenza territoriale dell'allora soppresso circolo di Trieste. Il Litorale fece formalmente parte del regno d'Illiria istituito nel 1816 e abolito nel 1849, per le innovazioni politiche e amministrative del 1848-1849. Le trasformazioni degli organi centrali a Vienna, con la sostituzione del ministero dell'interno alla cancelleria aulica, furono pure la causa prima dell'abolizione dei governi provinciali e della loro sostituzione con le luogotenenze (Statthaltereien). Nel Litorale la luogotenenza ebbe sede in Trieste, e il territorio subordinatole venne diviso fra i circoli di Gorizia e dell'Istria, mentre la città di Trieste costituì un'entità a sé quale "" città immediata dell'impero "". In corrispondenza al sistema parlamentare istituito in Austria, nel 1861, sia Trieste, sia Gorizia, sia l'Istria ebbero ognuna una propria dieta provinciale (a Trieste coincideva col consiglio comunale) con diritto di nomina di deputati al parlamento di Vienna. L'i.r. governo prima e l'i.r. luogotenenza più tardi, fino alla caduta dell'impero austriaco, furono posti al vertice delle autorità locali in campo amministrativo-politico, in diretta dipendenza dai dicasteri viennesi. Trieste fu sede di vari altri uffici dell'amministrazione politica subordinati alla luogotenenza e di uffici finanziari; ebbe pure propri tribunali, fra i quali, per la sua notevole importanza, è da ricordare il tribunale commerciale, che rispecchia per un lungo arco di tempo (dal 1769) l'attività mercantile dell'emporio triestino.
L'organizzazione territoriale del Litorale rimase sostanzialmente invariata, sotto la sovranità austriaca, sino alla dissoluzione della monarchia asburgica. L'ampia documentazione relativa all'attività di uffici amministrativi e giudiziari qui descritta interessa pertanto un arco temporale che si estende dal 1813 ai primi decenni del sec. XX. Molti uffici continuarono la loro attività secondo l'ordinamento austriaco anche dopo il 1918 e, di conseguenza - fino all'introduzione dei corrispondenti uffici italiani che si realizzò, in momenti diversi, nel corso degli anni Venti - i fondi relativi comprendono gli atti prodotti sotto la sovranità italiana.
Sono stati consegnati alla Jugoslavia nel 1961, in base al principio della provenienza, archivi dei capitanati distrettuali dell'Istria e del Carso
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http://dati.san.beniculturali.it/SAN/CAI4800,http://dati.san.beniculturali.it/SAN/descrizioneCSI,"Il 13 maggio 1814 mons. Agostino Rivarola, nominato da Pio VII delegato apostolico in Roma con il compito di riassumere l'esercizio della sovranità pontificia in tutto lo Stato, pubblicava un editto con disposizioni che in realtà ebbero efficacia molto breve e solo nelle province dette di prima recupera, già unite all’impero francese, cioè il Lazio e l'Umbria. L’editto Rivarola aboliva i codici napoleonici civile, di commercio, penale e di procedura, ma manteneva il sistema ipotecario ""che corrisponde all'antica intavolazione"", e richiamava in vigore la legislazione civile e penale vigente nel 1809 alla cessazione del governo pontificio (art. 1); dichiarava cessata ogni giurisdizione dei magistrati civili e penali, che sarebbero stati sostituiti da magistrati di nuova nomina, quindi aboliva tutti i tribunali (art. 2); dichiarava soppresso ""il così detto stato civile"" e ordinava la restituzione ai parroci di tutta la documentazione, ""libri, carte, e scritture appartenenti alle parrocchie"" (art. 3); aboliva ""in tutta la loro estensione i diritti e percezioni del registro, la carta bollata e il sacrilego demanio"". Tutte le rendite e i diritti sarebbero stati sottoposti all'amministrazione di una speciale commissione che avrebbe provveduto alla restituzione dei beni non alienati, ai pagamenti delle pensioni del mese di maggio e alla manutenzione delle chiese già sussidiate dalla soppressa commissione delle chiese (artt. 4-6); infine riportava al valore del dicembre 1808 il prezzo del sale e il dazio sul vino e ribassava anche la dativa reale sui beni rustici e urbani (art. 8)Pochi giorni dopo la notificazione del soprintendente provvisorio delle poste del 17 maggio ordinava la riduzione alla metà della tassa delle lettere e affrancazione dei corrieri..
Nelle province di seconda recupera, Bologna e Romagne e Marche, che avevano fatto parte del regno d’Italia, e Benevento, che aveva fatto parte del regno di Napoli - territori riconsegnati al pontefice con l’atto finale del congresso di Vienna - un editto del segretario di Stato card. Ercole Consalvi datato 5 luglio 1815 pubblicava norme diverse da quelle del Rivarola, molte delle quali rimarranno fondamentali per la restaurazione pontificia. Il Consalvi istituì governi provvisori nelle tre legazioni (Bologna, Ferrara, Forlì), nelle Marche (Ancona, Macerata e Fermo) e ducato di Camerino, ed anche nel ducato di Benevento, mentre il territorio di Pontecorvo fu affidato al preside di Frosinone (art. 1); tali governi provvisori sarebbero stati esercitati da congregazioni governative residenti nei capoluoghi suddetti e presiedute da un prelato alle cui dipendenze erano posti i commissari pontifici preposti agli istituti già prefetture napoleoniche, i presidenti dei tribunali, i capi delle forze armate (artt. 2 e sgg.). Il preside dipendeva direttamente dalla Segreteria di Stato (art. 15). Erano aboliti i codici civile, penale e di procedura ma si vollero mantenere il codice di commercio ed i tribunali commerciali (artt. 22-34) e fu conservata altresì la legislazione ipotecaria già mantenuta dall’editto Rivarola.
Con lo stesso editto erano dichiarati “provvisoriamente” istituiti tribunali di prima istanza in tutti i luoghi in cui fossero al momento presenti, quindi furono in realtà mantenuti i tribunali preesistenti composti da tre giudici, competenti in primo grado per le cause di valore superiore ai cento scudi e in secondo grado per le sentenze pronunciate dai giusdicenti locali. Furono mantenuti anche i due tribunali di appello, uno a Bologna, l’altro in Ancona (art. 36); per sentenze difformi il terzo grado sarebbe stato portato dinanzi alla Rota romana per somme rotali, dinanzi all’altra sezione dello stesso tribunale di appello per le cause minori (art. 37); da Benevento e Pontecorvo l’appello era portato dinanzi alla Rota (art. 38). Il tribunale romano di Segnatura sostituì il napoleonico tribunale di cassazione (art. 39-41).
Le cause minori penali sarebbero state giudicate dai giusdicenti locali, le maggiori da un tribunale criminale che avrebbe anche giudicato in appello le minori (artt. 49-50); l’appello delle cause maggiori sarebbe stato portato dinanzi ai tribunali di appello di Bologna e Ancona, a numero pieno di sette giudici e con la presenza di due assessori criminali (art. 51).
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Regno d'Italia (1861-1946)
1861-1922: età liberale
- 1861-1866
- 1866-1870
- 1870
- 1871-1900
- 1900-1914
- 1914-1922
1922-1943: lo Stato fascista
1943 luglio-1946 giugno: dalla caduta del regime fascista al referendum istituzionale
Repubblica italiana (dal 2 giugno 1946)
Regno d'Italia (1861-1946)
1861-1922: età liberale
1861-1866
Nel corso della seconda guerra di indipendenza (1859) Giuseppe Garibaldi occupa la Lombardia mentre le truppe franco-piemontesi in decisive battaglie sconfiggono le truppe austriache. Scoppiano insurrezioni nell'Italia centrale, in Toscana, ove al granduca Leopoldo II subentra una Reggenza assunta dal conte Carlo Boncompagni nominato da Vittorio Emanuele II, poi nelle Legazioni pontificie e nei Ducati padani che chiedono l'annessione al Regno di Sardegna e ottengono l'invio di Commissari regi, Diodato Pallieri a Parma, Luigi Carlo Farini a Modena, Massimo D'Azeglio nelle Legazioni, mentre i moti nelle Marche e nell'Umbria vengono stroncati. In questo contesto interviene l'armistizio di Villafranca, deciso da Napoleone III, che porta alla cessione della Lombardia, salvo Mantova, al Regno di Sardegna, mentre i Savoia debbono ritirare i Commissari regi dall'Italia centrale, ove, senza intervento armato dell'Austria, dovevano tornare i sovrani spodestati. Quando il governo sabaudo, guidato ora da Alfonso Ferrero La Marmora (subentrato nel luglio a Camillo Cavour che si era dimesso) richiama i Commissari regi le popolazioni dell'Italia centrale eleggono Governi provvisori cui vengono delegati i pieni poteri per impedire il ritorno dei sovrani spodestati e per preparare l'annessione al Regno di Sardegna. Cavour, tornato al governo nel marzo 1860, promuove, con l'appoggio britannico, i plebisciti dell'11 e del 12 marzo che sanciscono l'annessione della Toscana, dell'Emilia e della Romagna allo Stato sabaudo. Nell'aprile successivo Nizza e la Savoia vengono cedute alla Francia.
Nell'Italia meridionale, dopo le annessioni dell'Italia centrale, insorge Palermo con una rivolta rapidamente domata. Ne consegue la preparazione della spedizione dei Mille, affidata a Giuseppe Garibaldi, che nel maggio 1860 occupa la Sicilia orientale. Garibaldi ne assume la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II e nel mese di luglio conquista il resto dell'Isola. Le truppe garibaldine risalgono la penisola, occupano Napoli il 7 settembre e sconfiggono definitivamente l'esercito borbonico nella battaglia del Volturno (1-2 ottobre). Nel frattempo le truppe sabaude occupano le Marche e l'Umbria, sconfiggendo le truppe del papa. Marche e Umbria, con voto plebiscitario proclamano la loro annessione al Regno di Sardegna. Anche l'Italia meridionale vota per l'annessione e, con l'incontro di Teano tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, il 26 ottobre, si conclude l'impresa dei Mille. Poco dopo muore Cavour.
Il 17 marzo Vittorio Emanuele II viene proclamato re d'Italia. Il 18 febbraio 1861 si inaugura a Torino il primo Parlamento italiano: lo Statuto albertino, concesso da Carlo Alberto nel 1848, diventa la carta fondamentale del nuovo Stato. Il dibattito sull'organizzazione dello Stato, che includeva posizioni centralistiche e posizioni federative e regionalistiche, vede l'affermarsi della soluzione centralistica, nella linea risorgimentale dell'unità e indipendenza nazionale. Il nuovo Stato si modella sulla legge cavouriana del 1853 in un ordinamento per ministeri e si incardina a livello territoriale sulla figura del prefetto, sul modello dei dipartimenti francesi, ancorché derivante dalla figura dell'intendente, che rappresenta in ogni provincia il governo centrale ed esercita il controllo politico ed economico sulle amministrazioni provinciali e comunali e su tutte le amministrazioni periferiche dello Stato. Dopo una prima fase in cui rimangono in vigore alcune norme di Stati preunitari e operano varie amministrazioni stralcio, viene affrontata la complessa questione dell'unificazione amministrativa e giudiziaria che ha in un complesso di norme del 1865 il risultato più rilevante.
1866-1870
A seguito della terza guerra di indipendenza (1866) il regno d'Italia ottiene la cessione del Veneto e di Mantova dall'Austria. Mentre falliscono i tentativi di Garibaldi (1862 e 1867) per conquistare Roma, prevale la linea diplomatica che comporta il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, nel 1864, in cambio dell'impegno di Napoleone III a ritirare le sue truppe da Roma. Quando le truppe francesi vengono ritirate per la guerra franco-prussiana, il governo italiano decide di intervenire a Roma con un'azione di forza.
1870
Il 20 settembre 1870 le truppe italiane entrano a Roma dalla breccia di Porta Pia; con un successivo plebiscito anche Roma e il Lazio vengono annesse all'Italia e, nel 1871, Roma è proclamata capitale d'Italia.
1871-1900
In base allo Statuto albertino l'Italia è una monarchia costituzionale, ma di fatto – anche in considerazione delle forti personalità politiche che guidano i governi e del peso che andranno ad assumere i partiti politici – si instaura un processo, per altro non lineare e non privo di contrasti, di attuazione di una forma di monarchia parlamentare. Con Vittorio Emanuele II, il Quirinale diventa sede del sovrano e della Real casa. La Destra governa il paese fino al 1876, quando subentra la Sinistra che rimane al potere fino alla crisi di fine secolo con i suoi esponenti più rappresentativi, tra cui Agostino Depretis e Francesco Crispi. Viene ampliata la base elettorale; un nuovo Codice penale (1889, codice Zanardelli) abolisce la pena di morte: Il nome di Crispi si lega a numerose riforme, tra la fine degli anni Ottanta e i primi degli anni Novanta, che riorganizzano l'amministrazione centrale, con un rafforzamento dei poteri del governo e importanti interventi innovativi in settori quali la sanità e l'assistenza pubblica. Diventano elettivi i sindaci delle città maggiori; alla figura amministrativa del segretario generale dei ministeri subentra la figura politica del sottosegretario di Stato; si procede al riordinamento del Consiglio di Stato e all'istituzione di una sezione per la giustizia amministrativa; viene istituita la Giunta provinciale amministrativa, come organo di controllo sugli atti della provincia, del comune e delle istituzioni pubbliche di beneficenza e come organo con funzioni di giudice amministrativo.
Nel 1895 il Partito dei lavoratori italiani diventa Partito socialista italiano. A seguito del divieto pontificio (non expedit, 1874) i cattolici non possono partecipare alla vita politica, ma sviluppano un'ampia attività sociale, costituendo leghe sindacali e cooperative: si costituiscono due linee, una detta degli “integralisti”, l'altra dei “moderati”, per intervenire comunque nel dibattito politico. L'Italia aderisce alla Triplice alleanza con Germania e Austria (1882); avvia una politica coloniale, con l'acquisizione della Baia di Assab e poi di Massaua che porta a dichiarare l'Eritrea colonia italiana, riconosciuta a seguito di gravi insuccessi militari con il trattato di Addis Abeba (1896), in base al quale l'Italia riconosce l'indipendenza dell'Impero d'Abissinia. Nei primi anni Novanta la conflittualità sociale ha i suoi momenti più aspri con i moti della Lunigiana (1893) e il movimento dei Fasci siciliani (1894). La crisi più grave, comunque, si determina a seguito della dura repressione operata dal gen. Bava Beccaris nel 1898 a Milano per i tumulti generati dall'aumento del costo del pane. Il nuovo governo del gen. Pelloux avvia una politica reazionaria proponendo una serie di leggi eccezionali, non approvate. Segue un governo moderato, ma il biennio segnato da una politica repressiva si conclude con l'assassinio del re Umberto I a Monza, il 29 luglio 1900.
1900-1914
Dall'inizio del 1900 al 1914 la scena politica è dominata dalla figura di Giovanni Giolitti che consolida una prassi di governo liberale, riconosce il diritto di sciopero, mantiene neutrale il governo nei conflitti di lavoro e attua una serie di riforme di carattere sociale e di decentramento amministrativo; nel 1912 viene approvato il suffragio universale maschile. Si avvia un processo di industrializzazione e nel 1906 i sindacati operai si uniscono nella Confederazione generale del lavoro (CGL) di orientamento socialista riformista mentre i sindacalisti rivoluzionari e anarchici confluiscono nell'Unione sindacale italiana (USI). Successivamente anche la classe padronale si organizza, costituendo la Confederazione italiana dell'industria (1910) e la Confederazione generale dell'agricoltura (1911). Giolitti cerca di stabilire rapporti con l'ala riformista del Partito socialista; nelle elezioni del 1913 stabilisce un'alleanza preventiva con i candidati cattolici (patto Gentiloni, dal nome del presidente dell'Unione elettorale cattolica): i risultati delle elezioni favoriscono le organizzazioni di massa dei socialisti e dei cattolici, che nei primi anni del secolo avevano costituito il movimento della Democrazia cristiana ad opera del sacerdote Romolo Murri. Le lotte sociali, dopo un primo sciopero generale nel 1904, culminano nella “settimana rossa” (7-14 giugno 1914), con agitazioni di carattere insurrezionale in molte città. In politica estera Giolitti cerca di riavvicinarsi alla Francia; avvia la conquista italiana della Libia (1911-1912). A seguito della pace di Losanna (1912) l'Italia ottiene la Libia e il possesso temporaneo del Dodecaneso, poi trasformato in colonia del Dodecaneso e, quindi, in Governo delle isole italiane dell'Egeo, con una riduzione territoriale, mantenendo però Zara. La prevalenza della corrente intransigente nel PSI (Lazzari, Serrati, Mussolini) si mostra ostile sia all'impresa libica che alla politica filogiolittiana della corrente riformista (Bissolati). Si afferma, intanto, l'influenza del nazionalismo, Associazione nazionalista italiana, contraria sia al parlamentarismo che al socialismo e fautrice di un governo forte, impegnato in una politica imperialista (Corradini, Rocco, Federzoni).
1914-1922
Quando nel 1914 scoppia la guerra che vede da una parte la Germania e l'Austria-Ungheria e dall'altra la Francia, la Russia e l'Inghilterra, l'Italia – legata alle potenze centrali dalla Triplice alleanza – dichiara la sua neutralità (3 agosto 1914), provocando le proteste degli interventisti nazionalisti e di alcuni settori liberali e degli interventisti democratici (da Bissolati a Salvemini), repubblicani e esponenti dell'interventismo rivoluzionario (tra cui Mussolini per questo espulso dal PSI). Favorevoli alla neutralità i liberali di Giolitti, i socialisti e gran parte del mondo cattolico. Il governo Salandra aveva aperto trattative con l'Intesa, stipulando nell'aprile del 1915 il Patto di Londra, e nel maggio successivo l'Italia esce dalla Triplice alleanza. Il 24 maggio 1915 l'Italia dichiara guerra all'Austria-Ungheria. Al termine di una guerra durissima, il 4 novembre 1918 le truppe italiane entrano a Trento e a Trieste. Tra il gennaio 1919 e l'agosto 1920 si riunisce a Parigi la Conferenza della pace che ridisegna l'assetto europeo dopo il crollo dell'Impero austro-ungarico e dell'Impero ottomano, stabilendo altresì la costituzione della Società delle nazioni, con sede a Ginevra. L'Italia ottiene il Trentino, il Tirolo meridionale (Alto Adige), il Friuli (Gorizia), Trieste e l'Istria: viene instaurato un Governo civile e militare per le nuove province. Non vengono riconosciute le pretese italiane sulla Dalmazia e nei Balcani, né le aspirazioni coloniali in Africa. Al confine orientale dell'Italia si costituisce il Regno di Jugoslavia. Si determina nel paese la sensazione di una vittoria mutilata su cui si innesta la cosiddetta impresa di Fiume, ad opera di un gruppo di militari ribelli guidati da Gabriele D'Annunzio: occupata la città dalmata nel settembre 1919, ne viene proclamata l'annessione all'Italia. Dopo difficili trattative e tensioni con la Jugoslavia, il governo italiano nel Natale 1920 occupa militarmente la città, che nel 1924 viene annessa all'Italia.
L'Italia, pur essendo uscita vittoriosa dalla guerra, entra in una fase di grave crisi politica e sociale, connessa al crollo dell'industria, non più sostenuta dalle spese di guerra, alla disoccupazione, alla svalutazione della lira e all'aumento dei prezzi. Una serie di agitazioni popolari, nel 1919-1920 (biennio rosso), attraversa tutti i settori del lavoro dipendente e culmina nell'occupazione delle fabbriche ad opera degli operai aderenti alla FIOM (Federazione italiana operai metallurgici, membro della CGL), che si conclude con un concordato tra le parti deludente per gli operai. Nel PSI si confrontano l'ala riformista e la corrente massimalista, mentre nel 1921 si stacca dal PSI la corrente di estrema sinistra che dà vita al Partito comunista (PCd'I). Nel 1919 si costituisce il Partito popolare italiano (PPI) sotto la guida del sacerdote Luigi Sturzo, ove confluiscono gli aderenti del sindacato cattolico, Confederazione italiana del lavoro (CIL). Si allarga ampiamente la base del movimento nazionalista cui aderiscono settori delle forze armate e delle associazioni combattentistiche. Il 23 marzo 1919 si costituisce a Milano il movimento dei Fasci italiani di combattimento, ispirato da Mussolini, in cui confluiscono socialisti rivoluzionari e nazionalisti, con ampi consensi della piccola borghesia urbana e rurale. Nel novembre 1921 il movimento si trasforma in Partito nazionale fascista (PNF), ampiamente finanziato dagli industriali e dagli agrari. La classe dirigente liberale, messa in crisi dalla crescita elettorale dei partiti di massa (elezioni politiche del 1919, con il sistema proporzionale) e dall'estensione dei conflitti sociali, non riesce a governare la situazione. Dopo un triennio di violenze operate soprattutto contro le sedi del partito socialista, le milizie fasciste, guidate da un quadrunvirato (Balbo, De Vecchi, De Bono, Bianchi), convergono sulla capitale (marcia su Roma, 1922) e ottengono dal re, che rifiuta di firmare lo stato di assedio, l'incarico di governo per Mussolini.
1922-1943: lo Stato fascista
Il primo governo Mussolini include i nazionalisti (che poi confluiscono nel PNF), i liberali e i popolari (estromessi nel 1923). Nel 1923 viene abolito il sistema proporzionale e si instaura un sistema maggioritario che assegna i 2/3 dei seggi alla maggioranza (legge Acerbo). Le squadre fasciste vengono organizzate in Milizia volontaria sicurezza nazionale (MVSN) e inquadrate tra le forze armate, nel 1923. A seguito dell'assassinio del deputato socialista riformista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924), i deputati dell'opposizione abbandonano la Camera in segno di protesta (secessione dell'Aventino). Forte dell'appoggio del sovrano, che gli riconferma l'incarico, Mussolini il 3 gennaio 1925 dichiara in Parlamento di assumere su di sé la responsabilità politica, morale e storica di quanto era avvenuto e imprime una svolta decisamente autoritaria alla crisi.
Si apre così una fase di sospensione della tradizione liberale e parlamentare del paese, che -stravolgendo lo Statuto albertino, mai formalmente abrogato – porta gradualmente all'instaurazione di un regime dittatoriale, mediante l'approvazione di un complesso organico di leggi. Rielaborando anche istituti che erano stati introdotti per le esigenze di guerra, vengono approvate, dopo le leggi fascistissime del 1925-1926 che conferiscono un ampio potere regolamentare al governo e, in particolare, un ruolo preminente al presidente del consiglio ora denominato capo del governo, leggi che sopprimono la libertà di stampa e di riunione, i partiti politici, il diritto di sciopero e la pluralità delle associazioni sindacali, l'elettività dei sindaci e dei presidenti delle province. Nel 1926 viene approvato il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e vengono riorganizzati i servizi di polizia con un forte potenziamento della polizia politica e delle neo costituite zone OVRA (organizzazione vigilanza repressione antifascismo). Muta il sistema elettorale che annulla la libera espressione del diritto di voto. Già nel 1922 era stato istituito il Gran consiglio del fascismo, che secondo la riforma del 1928, deve esprimere l'indirizzo politico del PNF e del governo e assume competenze in materia costituzionale pesantemente vincolanti anche per la Corona (competenza in materia di successione al trono). Mussolini viene proclamato duce del fascismo. Per quanto attiene all'organizzazione dello Stato, Mussolini modifica la disciplina del pubblico impiego, accentua in maniera sostanziale i poteri della pubblica sicurezza e del capo della polizia, che organizza un pervasivo sistema di controllo politico sugli antifascisti e sugli stessi fascisti. Le leggi di polizia vengono armonizzate al nuovo Codice penale (codice Rocco), approvato nel 1930, che introduce i reati politici; viene istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e introdotta la pena di morte. Gli antifascisti vengono arrestati o destinati al confino o costretti a emigrare all'estero. La lotta clandestina sul territorio nazionale è condotta soprattutto dai comunisti e dal movimento Giustizie e libertà, mentre prevale l'emigrazione all'estero per altre forze politiche. Vengono riorganizzati la scuola e, soprattutto, i rapporti di lavoro e il sistema produttivo attraverso l'ordinamento corporativo, destinato - senza giungere a effettivo compimento - a costituire con il partito unico un cardine dello Stato fascista. Nel corso degli anni si procede ad includere in tutti gli organi collegiali della pubblica amministrazione rappresentanti del PNF. In parallelo all'ordinamento periferico del Ministero dell'interno (prefetture e questure), si costituisce un'organizzazione territoriale basata sulle Federazioni provinciali del PNF, dotate di propri uffici politici, con poteri sempre più ampi, che fa capo al Direttorio del PNF. Vengono istituite numerose organizzazioni collaterali al PNF, Opera nazionale dopolavoro, Opera nazionale balilla, Gioventù italiana del littorio, Opera nazionale combattenti, ecc., che contribuiscono all'organizzazione capillare della società anche per quanto attiene al lavoro, alle attività sociali e di organizzazione del tempo libero e sportive. Viene altresì organizzata una articolata struttura per la propaganda in Italia e all'estero e si organizza un sistema di censura cinematografica e teatrale.
Nel periodo fascista trova, tuttavia, ampio sviluppo l'istituzione di enti pubblici, affidati spesso a tecnici, con funzioni nel settore dell'economia, della previdenza e assistenza, della salute, della cultura. Viene emanata una importante legge bancaria e, nel 1942, il un nuovo codice civile.
Il governo fascista conclude con la Santa Sede i Patti lateranensi (febbraio 1929) che includono il concordato con cui si pone fine alla questione romana; viene creato lo Stato Città del Vaticano e si procede al riconoscimento della religione cattolica come unica religione dello Stato, insegnata nelle scuole.
Il Parlamento viene esautorato fin dall'inizio e la Camera dei deputati perde la sua configurazione a seguito della trasformazione in Camera dei fasci e delle corporazioni (1939).
In politica estera, ad un primo atteggiamento sostanzialmente ostile alla Germania (1934-1935), segue un diverso orientamento quando Mussolini decide di invadere l'Etiopia (1935-1936). La Società delle Nazioni impone le sanzioni all'Italia e ciò favorisce un avvicinamento alla Germania. Conquistata l'Etiopia, viene costituita l'Africa orientale italiana (Etiopia, Somalia, Eritrea) di cui Vittorio Emanuele III viene proclamato imperatore. Nel 1936 il governo italiano invia truppe e aiuti in Spagna per collaborare con i falangisti, mentre parallelamente volontari antifascisti italiani partecipano nelle Brigate internazionali alla guerra di Spagna contro i fascisti. Nell'ottobre 1936 vengono firmati accordi italo-tedeschi (asse Roma-Berlino). Nel 1938 Hitler viene in visita in Italia ed è ricevuto anche dal sovrano. Nello stesso anno viene istituito il grado di Primo maresciallo dell'Impero conferito sia al re che al duce. Dopo l'occupazione italiana dell'Albania (1939) viene firmato il patto d'acciaio tra Italia e Germania, che trasforma l'asse in strumento di guerra. L'Albania viene accorpata al territorio della madrepatria e Vittorio Emanuele II diventa anche re d'Albania.
Nel 1938-1939 il governo fascista promuove le leggi razziali, con cui si avvia una politica di discriminazione e persecuzione nei confronti degli ebrei. Quando scoppia la guerra, nel 1939, tra la Germania nazista e le potenze occidentali, l'Italia dichiara lo stato di non belligeranza. Entra in guerra il 10 giugno 1940, occupando la Francia. La guerra si estende in Africa e nei Balcani. Nell'aprile del 1941, a seguito dell'occupazione italo-tedesca della Jugoslavia, si costituisce il regno del Montenegro sotto protettorato italiano; la Slovenia viene divisa in due parti, una delle quali assegnata all'Italia; viene creato lo Stato di Croazia per il duca Aimone di Savoia Aosta, con il governo fascista di Ante Pavelic, e Zara diventa capoluogo del Governatorato della Dalmazia che include anche le province di Spalato e di Cattaro. L'Italia occupa la Grecia, la cui capitolazione è imposta dai tedeschi; Corfù, occupata dagli italiani, è governata come entità autonoma dalla Grecia. La condotta di guerra dell'Italia è fortemente subordinata a quella tedesca.
Il 14 agosto 1941 il presidente americano Roosvelt e il premier inglese Churchill, firmano la Carta atlantica, una dichiarazione congiunta sul principio di libertà dei popoli. L'attacco dei giapponesi, alleati alla Germania nazista, alla flotta americana nella baia di Pearl Harbour nelle Hawaii (7 dicembre 1941), determina l'entrata in guerra degli Stati Uniti, al fianco dell'Inghilterra, della Francia e della Russia.
1943 luglio-1946 giugno: dalla caduta del regime fascista al referendum istituzionale
Gli anglo-americani sbarcano, tra il 9 e il 10 luglio 1943, in Sicilia ed entrano a Palermo senza trovare particolare resistenza. Vi organizzano un Governo militare alleato (Allied Military Government of Occupied Territories, AMGOT, poi solo AMG) per il conseguimento di vari obiettivi: sicurezza per le forze occupanti e per le linee di comunicazione, ristabilire l'ordine e le normali condizioni di vita per la popolazione civile, assistenza e utilizzazione delle risorse economiche del territorio occupato per le forze occupanti, efficiente governo del territorio in funzione degli obiettivi politico-strategici volti a sconfiggere i tedeschi, eliminare il regime fascista e liberare i prigionieri politici. Tra l'ipotesi di un governo diretto, preferito dagli americani, e quello di un governo indiretto, preferito dagli inglesi, prevale quest'ultimo e, pertanto, resta in funzione l'apparato amministrativo italiano, tuttavia sotto il controllo dell'AMGOT: l'amministrazione militare del territorio si svolge attraverso un Quartier generale (Headquarters), i locali ufficiali degli affari civili (CAO, Civil Affairs Officiers) in collaborazione con gli ufficiali di polizia civile (CPO, Civil Police Officiers), con la polizia militare (MP, Military Police) e le unità combattenti del luogo. La scelta dei prefetti è affidata alla decisione dei governi alleati. Il gen. Alexander, in virtù dell'autorità conferitagli dal comandante in capo delle Forze alleate, gen. Eisenhower, si insedia quale governatore militare della Sicilia e annuncia la sospensione dei poteri del Regno sull'isola.
Il governo fascista, indebolito dai bombardamenti e dalle privazioni di guerra, incapace di reagire agli scioperi di marzo a Torino e a Milano, minacciato dallo sbarco alleato in Sicilia, perde il sostegno della popolazione e la fiducia di parte dei gerarchi. Nella riunione del Gran consiglio del fascismo del 25 luglio 1943, viene votata su sollecitazione di Grandi, Bottai e Ciano, la sfiducia al duce che, su ordine del re, viene arrestato. Si forma così il governo Badoglio che nell'arco di “quarantacinque giorni” scioglie il PNF e libera una parte degli oppositori del regime che si trovavano in carcere o al confino, rimanendo tuttavia al fianco della Germania che procede all'invio di truppe sul suolo italiano. Solo l'8 settembre, in seguito alla divulgazione dell'armistizio (firmato il 3 settembre, a Cassibile), il governo Badoglio dichiara la cessazione delle ostilità nei confronti degli anglo-americani e si limita a ordinare di reagire a eventuali attacchi di altra provenienza. Il 9 settembre, il re e il governo abbandonano la capitale rifugiandosi a Brindisi, mentre gli americani sbarcano a Salerno; l'esercito italiano rimane sui vari fronti senza alcun coordinamento centrale, esposto alle rappresaglie dei tedeschi. I tedeschi assumono il controllo dei territori non occupati dagli anglo-americani e occupano Roma, che viene dichiarata “città aperta”. Con ordinanza di Hitler del 10 settembre 1943 vengono costituite la Zona d'operazioni Prealpi (Bolzano, Trento e Belluno) e la Zona d'operazioni Litorale Adriatico (Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana) sotto la diretta amministrazione tedesca.
Il 12 settembre i tedeschi liberano Mussolini che, il 23 settembre, instaura con l'aiuto della Germania la Repubblica sociale italiana (RSI), con centro a Salò sul lago di Garda. Vengono rese molto più dure le leggi razziali e agli ebrei - equiparati a stranieri di nazionalità nemica - viene imposto l'internamento e la confisca dei beni. Mussolini cerca di ricostituire l'esercito e organizza gruppi di milizie, la Guardia nazionale repubblicana (GNR) che subentra alla MVSN, le Brigate nere, squadre d'azione varie per continuare la guerra a fianco della Germania e combattere i primi nuclei armati del movimento partigiano, coordinati dal Comitato di liberazione nazionale (CLN), cui aderiscono tutti i partiti antifascisti: Partito comunista (PCI), Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), Partito d'azione (PdA), Democrazia cristiana (DC), Partito liberale (PLI), Democrazia del lavoro. Il CLN assume poteri istituzionali e conduce la guerra di liberazione contro i nazi-fascisti a fianco degli alleati: si articola in CLN-Centrale e CLN-Alta Italia, mentre si costituiscono a livello territoriale, CLN regionali e provinciali. Il 13 ottobre, quando gli alleati entrano in Napoli, già liberata da un'insurrezione popolare e il fronte si è stabilizzato a Cassino, il governo Badoglio dichiara guerra alla Germania. Inizia la cobelligeranza italiana al fianco degli alleati.
Il regime di occupazione in Sicilia permane anche dopo la firma dell'armistizio di Cassibile (3 settembre 1943, reso noto l'8), ma la presenza del re e del governo italiano a Brindisi consente la costituzione del Regno del sud in continuità con il Regno d'Italia: Brindisi, Bari, Taranto e Lecce sono formalmente sottratte al GMA. L'11 febbraio 1944 il gen. Alexander sancisce la fine dell'amministrazione alleata in Sicilia e il ritorno del governo italiano nell'isola sotto la supervisione della Commissione alleata di controllo che in realtà era già operante dal novembre del 1943 e che esercita una attività di controllo sulla condotta del governo italiano, cui può anche impartire disposizioni. Tale organismo manterrà i suoi poteri di supervisione sul governo italiano ancora per qualche anno in Italia, sostanzialmente fino al trattato di pace. Nel gennaio 1944 gli alleati sbarcano ad Anzio e Nettuno, mentre a maggio riescono a sfondare il fronte a Cassino; nel febbraio 1944 il governo italiano si sposta a Salerno. Qui si forma un secondo governo Badoglio dopo la “svolta di Salerno”, ovvero dopo la proposta avanzata da Palmiro Togliatti, esponente del PCI appena rientrato da Mosca, volta a trovare un compromesso tra i partiti antifascisti, la monarchia e Badoglio al fine di consentire un governo con tutte le forze rappresentate nel CLN, collocando in tal modo il PCI nel nuovo quadro politico.
Il 4 giugno 1944 viene liberata Roma e il governo lascia Salerno e torna nella capitale. Accantonata per il momento dai partiti del CLN la questione istituzionale, conseguente alla compromissione del re con il regime fascista, si dà vita ad una Luogotenenza del Regno affidata al principe Umberto. Con d.l.lgt 25 giugno 1944, n. 151, si stabilisce che la scelta della forma istituzionale sarà affidata, dopo la liberazione del territorio nazionale, ad una Assemblea costituente che dovrà deliberare una nuova costituzione; finché non sarà entrato in vigore un nuovo Parlamento i provvedimenti aventi forza di legge saranno deliberati dal Consiglio dei ministri e sanzionati e promulgati dal luogotenente generale del Regno. Al CLN-Alta Italia, che di fatto e non senza difficoltà coordina la lotta partigiana contro i nazi-fascisti, era stata conferita la rappresentanza del governo italiano nei territori occupati dai tedeschi. Nel settembre il fronte si stabilizza lungo la linea gotica (da Rimini al Tirreno) e prosegue, nella RSI, la lotta partigiana che diventa più dura via via che i tedeschi sono costretti a ritirarsi sempre più a nord. Già dal 1944 viene avviato per la parte dell'Italia liberata un complesso processo di epurazione e di condanna per i reati fascisti più gravi e di collaborazionismo con i nazi-fascisti che si protrarrà fino al 1947: la farraginosità delle norme e una sostanziale mancanza di volontà politica, unite ad un impegno di pacificazione (amnistia Togliatti, nel 1946), rendono di fatto inefficace l'epurazione.
Nella RSI, che a sua volta pretende di rappresentare la continuità dello Stato, con il processo di Verona Mussolini fa condannare e giustiziare i membri del Gran consiglio del fascismo che avevano votato contro di lui. Nell'aprile 1945 gli alleati riescono a sfondare la linea gotica e ad attraversare il Po, mentre l'insurrezione generale del movimento partigiano sostiene e talora precede la liberazione di varie città. Il 25 aprile le forze tedesche e fasciste sono costrette alla capitolazione. Mussolini, che aveva tentato la fuga in Svizzera travestito da ufficiale tedesco, viene catturato dai partigiani e fucilato il 28 aprile.
Il trattato di pace verrà firmato il 10 febbraio 1947: l'Italia deve rinunciare alle colonie africane, all'Albania, al Dodecaneso, all'Istria, Fiume e Zara e alle località di confine, Briga e Tenda. Mantiene invece l'Alto Adige, mentre si apre la questione di Trieste, rivendicata sia dall'Italia che dalla Jugoslavia. Nel 1946 viene creato il Territorio libero di Trieste, sottoposto all'amministrazione anglo-americana (Zona A: Trieste e dintorni) e all'amministrazione jugoslava (Zona B: da Capodistria a Cittanova).
Con d.lgs.lgt. 16 marzo 1946, n. 98, si decide che verrà affidata alla consultazione popolare non solo l'elezione dell'Assemblea costituente che deve scrivere il testo della nuova costituzione, ma anche la scelta della forma istituzionale. Nel mese di maggio il re Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto (re di maggio) per orientare l'elettorato verso la monarchia.
Il 2 giugno 1946 l'elettorato, che include ora anche le donne, è chiamato a pronunciarsi sulla scelta tra Monarchia e Repubblica e ad eleggere l'Assemblea costituente. Prevale la Repubblica, sia pure con uno scarto limitato di voti, e il 10 giugno la Corte di cassazione proclama ufficialmente la nascita della Repubblica italiana; dal giorno della proclamazione dei risultati del referendum e fino all'elezione del Capo provvisorio dello Stato, le relative funzioni sono esercitate dal presidente del Consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi. L'Assemblea costituente elegge il 28 giugno 1946 Enrico De Nicola Capo provvisorio dello Stato; durante il periodo della Costituente e fino alla convocazione del Parlamento a norma della nuova costituzione, il potere legislativo resterà delegato al Governo ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati, le quali saranno deliberate dall'Assemblea.
Repubblica italiana (dal 2 giugno 1946)
A seguito della proclamazione della Repubblica, l'Assemblea costituente elegge il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, e avvia i lavori per l'elaborazione del testo della nuova Costituzione, che verrà approvato il 22 dicembre 1947, con entrata in vigore dal 1° gennaio 1948. La Costituzione repubblicana stabilisce nella prima parte i principi fondamentali; definisce quindi le funzioni del Parlamento, del Governo e del Presidente della Repubblica, l'Ordine giudiziario e i compiti della Corte costituzionale.
Dal 1° gennaio 1948 la sede della Presidenza della Repubblica è il Quirinale. Rimane in vigore il corpus delle leggi approvate sia nell'età liberale che durante il fascismo, tra cui il Codice civile del 1942 e il Codice penale del 1930. Per quest'ultimo come per altre norme del ventennio vengono di massima abrogate le parti che più specificamente connotavano il regime. La Costituzione prevede l'istituzione delle Regioni che avverrà solo a partire dal 1970, mentre già nel 1948 erano state istituite con legge costituzionale quattro delle cinque Regioni a statuto speciale: Sardegna, Sicilia (già costituita nel 1946), Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige; la Regione Friuli-Venezia Giulia sarà istituita nel 1954, dopo la conclusione nella Zona A di Trieste dell'amministrazione anglo-americana e la restituzione della città all'Italia.
A partire dal dopoguerra, si può constatare una sostanziale continuità nell'esercizio delle funzioni politiche e amministrative che, però, si inquadrano in un contesto internazionale che esercita un determinante condizionamento: la guerra fredda e la contrapposizione di due blocchi politici ed economici fino alla caduta del muro di Berlino, nel 1989, e una crescente influenza dell'Unione europea, particolarmente incisiva nel settore dell'economia e della produzione. Sul versante interno, la proclamazione della Repubblica e l'entrata in vigore della Costituzione segnano le coordinate entro cui viene organizzato lo stato democratico. Svolgono un ruolo particolarmente importante i partiti politici, che entrano in crisi ideologica e organizzativa agli inizi degli anni Novanta assumendo nuove configurazioni in un processo che è ancora ben lontano dal costituire un assetto stabile e definito, e i sindacati, la cui storia particolarmente complessa è un imprescindibile elemento per la comprensione delle trasformazioni politiche, economiche, sociali e culturali. Nel corso dell'ultimo ventennio il paese, che negli anni del dopoguerra, aveva conosciuto una forte ondata migratoria all'estero e dall'Italia meridionale verso le aree industriali del nord si è trasformato in paese di forte immigrazione, regolare e clandestina.
Negli anni della ricostruzione e della trasformazione da paese agricolo a paese fortemente industrializzato si mantiene l'importanza della Presidenza del consiglio come organismo di coordinamento politico e di promozione economica. Vengono costituiti nel suo ambito vari comitati con rilevanti funzioni quali il Comitato interministeriale per la ricostruzione (CIR) per coordinare , nel quadro del Piano Marshall, piani economici e finanziari in l'attuazione dei programmi ERP (European Recovery Program), il Comitato interministeriale prezzi, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (istituito dal 1936), il Comitato per le opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale e contemporaneamente la Cassa per il Mezzogiorno, analogo comitato per le opere straordinarie di interesse pubblico nell'Italia settentrionale e centrale. Il Ministero dell'interno svolge fino ad anni recenti un ruolo determinante nel controllo dell'amministrazione provinciale e comunale e nella conservazione dell'ordine pubblico, anche nei momenti di più grave tensione politica e sociale. Progressivamente si estendono le funzioni della Presidenza del consiglio, mentre si riducono quelle del Ministero dell'interno, tranne per quanto attiene alla pubblica sicurezza. A livello territoriale le prefetture riconquistano funzioni che erano state sottratte dalle Federazioni provinciali del partito fascista, mentre le questure e i carabinieri recuperano funzioni che durante il ventennio avevano condiviso con la Milizia volontaria sicurezza nazionale e con gli uffici politici del PNF. Comuni e province riacquistano l'elettività dei loro organi, diventando politicamente più forti, e ampliano le loro competenze ma restano a lungo fortemente condizionati dal centro: proprio il controllo sull'attività amministrativa degli enti locali e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza rientravano tra le funzioni prioritarie dei prefetti. Le prefetture, tuttavia, tendono a perdere progressivamente alcune attribuzioni per il moltiplicarsi degli uffici periferici dei vari ministeri (fin dal periodo liberale) e ora soprattutto per l'avvio nel corso degli anni Settanta per l'attuazione dell'ordinamento regionale; infine, per le riforme degli anni Novanta che hanno conferito maggiore autonomia agli enti locali e un ruolo decisamente più incisivo al sindaco. Più radicali sono, nel corso dei decenni, le trasformazioni a livello centrale e periferico delle istituzioni preposte alle funzioni economiche e sociali, in particolare per quanto riguarda l'economia, la protezione sociale, la sanità, l'ambiente e l'istruzione.
Seguendo una riflessione di Sabino Cassese, possiamo individuare, a partire dalla Costituzione repubblicana, almeno tre fasi, dal 1948 al 1970, dal 1970 al 1990 e dal 1990 fino alla riforma del Titolo V della Costituzione. Nella prima fase, fermo restando il carattere accentrato dell'amministrazione – che tuttavia vede la creazione di cinque Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige nel 1948, e Friuli-Venezia Giulia nel 1963, dopo l'acquisizione di Trieste all'Italia nel 1954) - l'accentuazione delle funzioni riconosciute come pubbliche porta a una pluralizzazione del centro con il diffondersi delle nazionalizzazioni e la creazione di enti pubblici non statali. Si confermano l'IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) e l'AGIP – creati durante il fascismo - e vengono istituiti enti importanti come la Cassa per il Mezzogiorno, l'ENI (Ente nazionale idrocarburi), l' EFIM (Ente per il finanziamento dell'industria manifatturiera), l'ISPE (Istituto di studi per la programmazione economica), la CONSOB (Commissione nazionale per le società e la borsa). Si sviluppano inoltre le partecipazioni statali che portano alla creazione nel 1956 di un apposito ministero.
Dal 1970 al 1990 vi è un ulteriore ampliamento delle funzioni pubbliche: si crea il Servizio sanitario nazionale, vengono istituiti il Ministero per l'ambiente e quello per l'università e la ricerca scientifica. Crescono ancora le funzioni della Presidenza del consiglio, riordinata nel 1988, presso cui si costituiscono, come veri e propri apparati ministeriali, il Dipartimento per la funzione pubblica e quello per il Mezzogiorno. Oltre ad altri importanti enti pubblici, come l' ISVAP (Istituto per la vigilanza delle assicurazioni private e di interesse collettivo) e l'Ente ferrovie dello Stato, vengono istituite nuove figure istituzionali come le autorità amministrative indipendenti: Garante per la radiodiffusione e l'editoria, Autorità per l'Adriatico (di incerta natura giuridica). In periferia si moltiplicano gli uffici periferici dello Stato e organismi misti, quali le agenzie per l'impiego e le autorità di bacino. Per quanto riguarda la burocrazia statale, si istituiscono la dirigenza (1972) e poi le qualifiche funzionali (1980) e si generalizza la contrattazione delle condizioni di lavoro e del trattamento economico del pubblico impiego: la disciplina del rapporto di lavoro diventa sempre più simile a quella di diritto comune. Dopo un primo ritocco nel 1964, viene modificata radicalmente nel 1978 la materia dei bilanci pubblici; diminuiscono i controlli preventivi per Stato, Regioni, Province e Comuni, si introducono controlli interni e si ampliano quelli successivi. Dopo l'elezione dei consigli, nel 1970, delle 15 Regioni a statuto ordinario si avvia nel 1972 il trasferimento dei alcune funzioni dello Stato e di enti pubblici nazionali alle Regioni che si protrae fino alla fine degli anni Settanta, anche se i ministeri interessati non subiscono, se non in pochi casi, mutamenti importanti. Le Regioni hanno potestà legislativa e assumono un proprio incisivo ruolo nei processi di programmazione economica e nei rapporti con gli enti locali. Viene quindi istituito il Sistema statistico nazionale, quale organismo di raccordo tra Stato, Regioni ed enti nazionali e locali.
A partire dal 1990 si assiste a un intenso cambiamento amministrativo: dalla legge sulla trasparenza del procedimento amministrativo a quelle sul personale e la modernizzazione e sui controlli, alle leggi per gli enti locali, che ne accentuano l'autonomia, e per le camere di commercio, cui viene attribuita potestà statutaria (riconosciuta dal 1989 anche all'Università), ai nuovi ordinamenti sulle acque, sulle strade, sulla sanità. Vengono istituite nuove autorità indipendenti: Autorità per la regolazione dei servizi di pubblica utilità, Autorità garante della concorrenza e del mercato, Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Garante dei dati personali, Autorità per l'informatica. Ha trovato larga diffusione la figura dell'agenzia, per certi aspetti una sorta di evoluzione delle precedenti aziende autonome: sono enti che godono di ampia autonomia, perseguono interessi pubblici, per lo più di carattere operativo e possono far capo a diverse amministrazioni pubbliche. A volte sono enti pubblici, ma possono anche qualificarsi come organi dello Stato o delle Regioni, dotati però di personalità giuridica. Si segnalano l' ASI (Agenzia spaziale italiana), l' AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) che sostituisce l'Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo, l' ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale della Pubblica amministrazione), l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, l'Agenzia per la proprietà industriale, l'Agenzia per i trasporti terrestri, le Agenzie fiscali, ecc. Con i referendum del 1993 si sopprimono alcuni ministeri e, con il mutamento delle leggi elettorali, si introduce un sistema maggioritario per le elezioni politiche e per quelle delle Regioni, delle Province e dei Comuni, con forti differenze. La legge per le elezioni politiche (legge Mattarella) introduce un sistema misto, per il 75% maggioritario a turno unico e per il 25% proporzionale con liste bloccate e sbarramento al 4% per la Camera dei deputati e con recupero proporzionale dei più votati non eletti al Senato. Una ulteriore riforma elettorale del 2005, tesa a rafforzare i poteri del Governo, favorisce un sistema proporzionale corretto che introduce un premio di maggioranza al partito o alla coalizione che abbia raggiunto la maggioranza relativa per la Camera e su base regionale per il Senato, introduce liste bloccate con candidati scelti dai partiti senza possibilità di dare voti di preferenza, crea circoscrizioni estere per consentire agli italiani all'estero di eleggere 12 membri della Camera e sei del Senato, obbliga i partiti o le coalizioni a depositare il programma e indicare il proprio capo con l'obiettivo di condizionare il potere del Presidente della Repubblica per quanto concerne il conferimento dell'incarico di governo, senza tuttavia superare la logica delle coalizioni il cui equilibrio, in un forzato bipolarismo, risulta spesso turbolento. Si avvia un processo di privatizzazione: già negli anni Settanta si era provveduto alla soppressione di molti enti considerati inutili e ora, con norme del 1990, si procede alla trasformazione delle banche pubbliche in istituzioni private e, con norme del 1993, molti enti pubblici economici si trasformano in società per azioni e enti pubblici previdenziali diventano associazioni o fondazioni. Con la legge 15 mar. 1997, n. 59, e successive modifiche si è dato un ampio impulso al decentramento con il passaggio a Regioni ed enti locali di numerose funzioni dello Stato, si è proceduto a una riduzione del numero dei ministeri che ha comportato ad ogni cambio di governo continui accorpamenti e disaggregazioni di competenze, cambiamenti di denominazioni e riorganizzazioni interne, finché con la riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001, è stata ampliata la sfera della potestà legislativa delle Regioni e si è fortemente limitato l'ambito di intervento dello Stato. Alla metà degli anni Novanta si è avviato un processo di semplificazione burocratica i cui esiti spesso contraddicono le intenzioni. Con leggi del 1990 e del 1993 si è stabilito il principio che gli organi di governo definiscono gli obiettivi e i programmi, verificando poi la rispondenza della gestione amministrativa alle direttive generali, mentre ai dirigenti amministrativi spetta la gestione. Nonostante ciò, partendo da disposizioni del 1993 ulteriormente modificate successivamente, si è introdotto un sistema di spoil system per la dirigenza pubblica che ne determina una più forte dipendenza dal potere politico.
Non è questa la sede per tentare un'analisi dei risultati di queste trasformazioni, mentre risulta rilevante tenere presente la progressiva tendenza a ridurre le distinzioni tra diritto amministrativo e diritto comune che ha riflessi non indifferenti sui rapporti tra la pubblica amministrazione e la società, ivi compresi quelli riguardanti l'economia e la produzione, e la trasformazione e moltiplicazione dei soggetti istituzionali, la cui natura giuridica non è sempre facilmente delineabile. Rispetto alla salvaguardia delle fonti documentarie, ciò determina delle difficoltà sia per stabilire se si debba intervenire sugli archivi correnti con misure di sorveglianza adottate dalle apposite Commissioni previste per gli organi centrali e periferici dello Stato o con misure di vigilanza sugli enti pubblici e sugli archivi privati affidate alle Soprintendenze archivistiche, sia per sapere con certezza quale sarà la sede finale di conservazione delle carte. L'incertezza può portare a rinviare gli interventi di tutela, con maggiore rischio di dispersione delle carte: non risulta, ad esempio, ancora esercitato alcun controllo sugli archivi delle autorità indipendenti e di varie agenzie.
Negli ultimi venti anni sono stati emanati numerosi, ma non sempre chiari, provvedimenti rilevanti ai fini della produzione, conservazione e accesso ai documenti tra i quali vanno ricordati la legge in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (l. 7 ago. 1990, n. 241, modificata con l. 11 feb. 2005, n. 15), la legge sulla protezione dei dati personali (l. 31 dic. 1996, n. 675, modificata e rielaborata nel Codice un materia di protezione dei dati personali, approvato con d.lg. 30 giu. 2003, n. 196), il testo unico del documento amministrativo (d.p.r. 28 dic. 2000, n. 445), il Codice per i beni culturali e del paesaggio (d.lg. 22 gen. 2004, n. 42), il Codice di deontologia e di buona condotta per la ricerca storica (ora allegato al Codice in materia di protezione dei dati personali), il Codice dell'amministrazione digitale (d.lg. 7 mar. 2005, n. 82, e successive modifiche), la legge sul segreto di Stato (l. 3 ago. 2007, n. 124), che abroga la precedente legge sui servizi di sicurezza, approvata con l. 24 ott. 1977, n. 801).
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