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Archivio di Stato di Napoli. Sezione dell'Abbazia di Montecassino
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Archivio di Stato di Napoli. Sezione dell'Abbazia di Montecassino
n4:description
La costituzione dell'archivio si può ritenere risalga ai primi tempi dell'abbazia (inizio sec. VI). Troviamo infatti ricordati codici e documenti nella Regola stessa di San Benedetto: petitiones che nell'atto della loro professione i nuovi venuti dovevano scrivere o firmare e che l'abate doveva conservare, donazioni che venivano fatte al monastero, brevi che ne inventariavano le sostanze. Il primitivo archivio fu coinvolto nella devastazione operata dai longobardi (577-589) alla quale sfuggirono solo pochi documenti, oltre al codice originario della Regola (quest'ultimo fu poi restituito da papa Zaccaria al restaurato monastero, inizio sec. VIII). Da allora tornarono ad accumularsi documenti della vita della comunità, donazioni, privilegi. In occasione della seconda distruzione della badia ad opera dei saraceni (883) fu possibile portare in salvo a Teano una parte del materiale archivistico, che però venne notevolmente falcidiato da un incendio (896). I monaci si trasferirono quindi da Teano a Capua [Fu allora che, com'è noto, venne canonizzandosi quel tipo di scrittura, detta beneventana, che a Montecassino ebbe il più importante centro] per far ritorno nella sede di Montecassino alla metà del sec. X. Qui si formò ben presto un nuovo, ingente patrimonio documentario, cui largamente alla fine dell'XI secolo poté attingere l'archivista Leone Marsicano, divenuto poi cardinale vescovo di Ostia, per redigere il suo Chronicon [Chronicon casinense, in Monumenta Germaniae historica, s. Scriptores, III, Hannover 1839, pp. 222-230; Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffmann, in Monumenta Germaniae historica, s. Scriptores, XXXIV, ivi 1980, pp. L-774], continuato poi da altri. Fra questi va ricordato specialmente Pietro Diacono, che compilò anche la prima raccolta sistematica dei documenti nel suo Registrum [H. HOFFMANN, Chronik und urkunde in Montecassino, in Quellen und Forschungen aus italianischen Archiven und Bibliotheken, 51 (1971), pp. 96 e seguenti]. Con l'accrescersi dell'importanza ecclesiastica, politica e patrimoniale della badia anche l'archivio si arricchì, conservando gelosamente le sempre più numerose bolle papali, i privilegi imperiali e regi, giunti in gran parte fino a noi [Non conosciamo invece la serie dei deputati alla sua custodia fino al sec. XIV]. Del 1403 è una Tabula di Ignazio "ordinata per alphabetum de episcopatibus, abbatiis, praeposituris, castris monasterio Casinensi subiectis de diversis privilegiis et instrumentis collectis", vero inventario dell'archivio. Le successive perdite e dispersioni, non solo di codici ma anche di documenti, si ebbero specialmente durante il regime degli abati commendatari (1450-1504). Ristabilita la vita regolare anche l'archivio ebbe la sua definitiva sistemazione. Dalla sede primitiva fu trasferito in quella attuale e dalla originaria divisione dei documenti in sacchi si passò a quella nelle capsule o cassetti. Contemporaneamente furono compilati vari repertori, specie ad opera degli archivisti don Antonio Petronio e don Placido Petrucci (sec. XVI). Ma fu con il sec. XVII che l'archivio - divenendo un organismo essenziale della vita della badia - acquistò la fisionomia definitiva, destinata a durare fino agli inizi del sec. XIX. Sono di quell'epoca, fra l'altro, l'inventario tuttora esistente di don Alessandro Campora e la monumentale storia ad opera del successore don Erasmo Gattola che illustrò e divulgò i documenti cassinesi [Vanno ricordati ancora don Sebastiano Campitelli e don Rinaldo Santomango che sistemarono i documenti riportati nel loro ancora utile Indice. Alla fine del sec. XVIII i due fratelli don Placido e don Giovanni Battista Federici compilarono il catalogo dei codici ed iniziarono la raccolta delle copie dei documenti nella serie dei codici diplomatici]. L’ inizio del secolo successivo dovette registrare altre perdite in occasione dell'occupazione delle truppe napoleoniche, alla quale seguì dopo breve tempo la soppressione del monastero decretata da Giuseppe Bonaparte (1807). L'archivio fu però conservato a Montecassino sotto la custodia dei monaci e l'archivista di allora, don Ottavio Fraia Frangipane, continuò l'opera del codice diplomatico. Con la restaurazione borbonica la proprietà dello Stato sull'archivio venne riconfermata: i fondi vennero a costituire una sezione del Grande Archivio di Napoli (1818). Situazione ereditata dal governo dell'Italia unita che, prendendone possesso, volle fosse conservata la unione dei codici e dei documenti. Le ultime traversie dell'archivio sono legate alle vicende, ben note, della distruzione totale dell'abbazia avvenuta nel 1944: gran parte del materiale documentario poté salvarsi perché trasportato a Spoleto dalle truppe della divisione Goering e successivamente consegnata alle autorità vaticane. Ricostruita quasi dalle ceneri l'abbazia, alle preesistenti tre aule se ne aggiunse una quarta, destinata ad accogliere degnamente i preziosi codici. Nella ricostruzione si mirò a conservare le antiche strutture e si cercò quindi, nei limiti del possibile, di mantenere il preesistente ordinamento dei fondi. Dopo la ricollocazione del materiale si è dato inizio all'ordinamento e alla inventariazione, tuttora in corso: finora sono comparsi undici volumi di regesti. Poiché non è stato ancora possibile completare la verifica e sistemazione del materiale tratto dalle macerie, quasi esclusivamente cartaceo, resta incerto il numero delle unità. La documentazione si riferisce quasi esclusivamente alla vita dell'abbazia fino alla fine del sec. XVIII, quando cioè l'archivio fu annesso al Grande Archivio di Napoli. Fondi estranei aggiunti sono: quello della famiglia Montaquila, pervenuto nel sec. XVII, e le pergamene di S. Spirito del Morrone [Nel comune di Sulmona in provincia di L'Aquila], di Rosarno [In provincia di Reggio di Calabria], di Bisceglie [In provincia di Bari] e di Isernia, pervenute nel sec. XIX.
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IT-FR0183
n3:indirizzo
via Montecassino
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n3:has_luogoConservatore
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n3:has_sitoWeb
n3:sito_
n3:consultazione
1
n3:descrizione
La costituzione dell'archivio si può ritenere risalga ai primi tempi dell'abbazia (inizio sec. VI). Troviamo infatti ricordati codici e documenti nella Regola stessa di San Benedetto: petitiones che nell'atto della loro professione i nuovi venuti dovevano scrivere o firmare e che l'abate doveva conservare, donazioni che venivano fatte al monastero, brevi che ne inventariavano le sostanze. Il primitivo archivio fu coinvolto nella devastazione operata dai longobardi (577-589) alla quale sfuggirono solo pochi documenti, oltre al codice originario della Regola (quest'ultimo fu poi restituito da papa Zaccaria al restaurato monastero, inizio sec. VIII). Da allora tornarono ad accumularsi documenti della vita della comunità, donazioni, privilegi. In occasione della seconda distruzione della badia ad opera dei saraceni (883) fu possibile portare in salvo a Teano una parte del materiale archivistico, che però venne notevolmente falcidiato da un incendio (896). I monaci si trasferirono quindi da Teano a Capua [Fu allora che, com'è noto, venne canonizzandosi quel tipo di scrittura, detta beneventana, che a Montecassino ebbe il più importante centro] per far ritorno nella sede di Montecassino alla metà del sec. X. Qui si formò ben presto un nuovo, ingente patrimonio documentario, cui largamente alla fine dell'XI secolo poté attingere l'archivista Leone Marsicano, divenuto poi cardinale vescovo di Ostia, per redigere il suo Chronicon [Chronicon casinense, in Monumenta Germaniae historica, s. Scriptores, III, Hannover 1839, pp. 222-230; Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffmann, in Monumenta Germaniae historica, s. Scriptores, XXXIV, ivi 1980, pp. L-774], continuato poi da altri. Fra questi va ricordato specialmente Pietro Diacono, che compilò anche la prima raccolta sistematica dei documenti nel suo Registrum [H. HOFFMANN, Chronik und urkunde in Montecassino, in Quellen und Forschungen aus italianischen Archiven und Bibliotheken, 51 (1971), pp. 96 e seguenti]. Con l'accrescersi dell'importanza ecclesiastica, politica e patrimoniale della badia anche l'archivio si arricchì, conservando gelosamente le sempre più numerose bolle papali, i privilegi imperiali e regi, giunti in gran parte fino a noi [Non conosciamo invece la serie dei deputati alla sua custodia fino al sec. XIV]. Del 1403 è una Tabula di Ignazio "ordinata per alphabetum de episcopatibus, abbatiis, praeposituris, castris monasterio Casinensi subiectis de diversis privilegiis et instrumentis collectis", vero inventario dell'archivio. Le successive perdite e dispersioni, non solo di codici ma anche di documenti, si ebbero specialmente durante il regime degli abati commendatari (1450-1504). Ristabilita la vita regolare anche l'archivio ebbe la sua definitiva sistemazione. Dalla sede primitiva fu trasferito in quella attuale e dalla originaria divisione dei documenti in sacchi si passò a quella nelle capsule o cassetti. Contemporaneamente furono compilati vari repertori, specie ad opera degli archivisti don Antonio Petronio e don Placido Petrucci (sec. XVI). Ma fu con il sec. XVII che l'archivio - divenendo un organismo essenziale della vita della badia - acquistò la fisionomia definitiva, destinata a durare fino agli inizi del sec. XIX. Sono di quell'epoca, fra l'altro, l'inventario tuttora esistente di don Alessandro Campora e la monumentale storia ad opera del successore don Erasmo Gattola che illustrò e divulgò i documenti cassinesi [Vanno ricordati ancora don Sebastiano Campitelli e don Rinaldo Santomango che sistemarono i documenti riportati nel loro ancora utile Indice. Alla fine del sec. XVIII i due fratelli don Placido e don Giovanni Battista Federici compilarono il catalogo dei codici ed iniziarono la raccolta delle copie dei documenti nella serie dei codici diplomatici]. L’ inizio del secolo successivo dovette registrare altre perdite in occasione dell'occupazione delle truppe napoleoniche, alla quale seguì dopo breve tempo la soppressione del monastero decretata da Giuseppe Bonaparte (1807). L'archivio fu però conservato a Montecassino sotto la custodia dei monaci e l'archivista di allora, don Ottavio Fraia Frangipane, continuò l'opera del codice diplomatico. Con la restaurazione borbonica la proprietà dello Stato sull'archivio venne riconfermata: i fondi vennero a costituire una sezione del Grande Archivio di Napoli (1818). Situazione ereditata dal governo dell'Italia unita che, prendendone possesso, volle fosse conservata la unione dei codici e dei documenti. Le ultime traversie dell'archivio sono legate alle vicende, ben note, della distruzione totale dell'abbazia avvenuta nel 1944: gran parte del materiale documentario poté salvarsi perché trasportato a Spoleto dalle truppe della divisione Goering e successivamente consegnata alle autorità vaticane. Ricostruita quasi dalle ceneri l'abbazia, alle preesistenti tre aule se ne aggiunse una quarta, destinata ad accogliere degnamente i preziosi codici. Nella ricostruzione si mirò a conservare le antiche strutture e si cercò quindi, nei limiti del possibile, di mantenere il preesistente ordinamento dei fondi. Dopo la ricollocazione del materiale si è dato inizio all'ordinamento e alla inventariazione, tuttora in corso: finora sono comparsi undici volumi di regesti. Poiché non è stato ancora possibile completare la verifica e sistemazione del materiale tratto dalle macerie, quasi esclusivamente cartaceo, resta incerto il numero delle unità. La documentazione si riferisce quasi esclusivamente alla vita dell'abbazia fino alla fine del sec. XVIII, quando cioè l'archivio fu annesso al Grande Archivio di Napoli. Fondi estranei aggiunti sono: quello della famiglia Montaquila, pervenuto nel sec. XVII, e le pergamene di S. Spirito del Morrone [Nel comune di Sulmona in provincia di L'Aquila], di Rosarno [In provincia di Reggio di Calabria], di Bisceglie [In provincia di Bari] e di Isernia, pervenute nel sec. XIX.
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Archivio di Stato di Napoli. Sezione dell'Abbazia di Montecassino
n3:orario
[informazione non disponibile]