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  • Archivio di Stato di Torino
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  • Archivio di Stato di Torino
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  • L'AS Torino conserva gli atti degli organi centrali e periferici dello Stato sabaudo fino all'unificazione del regno d'Italia, nonché gli atti degli uffici statali con sede nell'attuale provincia di Torino, sia per il periodo anteriore che posteriore all'unità. I fondi denominati Archivio di corte e Archivio camerale rappresentano i nuclei documentari più antichi, risalenti al sec. XII. Furono costituiti per rispondere all'esigenza della conservazione dei " titoli " e dei " conti ". Gli altri archivi cominciarono a delinearsi con autonomia soltanto alla fine del sec. XVI, all'epoca del duca Emanuele Filiberto. L'originario " tesoro " delle carte progressivamente si era accresciuto in relazione sia allo sviluppo dell'amministrazione signorile sabauda sia in funzione di cause più generali quali l'evoluzione del notariato e il profilarsi di usi di cancelleria. In relazione all'organizzazione di tali memorie giuridico-amministrative era nata, ben presto, la necessità di una sistemazione teorica dell'ordinamento archivistico. Il ducato sabaudo era giunto precocemente a questa consapevolezza - all'inizio del sec. XV - con le inventariazioni precedenti e successive agli statuti di Amedeo VIII (1430). Tra le molte disposizioni sull'organizzazione dello Stato, i Decreta seu Statuta, testo fondamentale della legislazione medioevale sabauda, citano la crota domini o crota thesauri come crota seu archiva nostra in quibus lictere, instrumenta et informaciones nostre reponuntur. Gli archivi concernenti il controllo sulla gestione fiscale e patrimoniale, quelli cioè della Camera computorum, venivano indicati come archiva seu armaria in quibus originalia computorum nostrorum servantur. In particolare il capitolo CCII del libro secondo fissava il numero degli addetti ai due archivi, ducale e camerale, e i loro compiti di revelatores e celatores della documentazione, estensori di copie dunque ma anche gelosi custodi degli originali. I due archivi, cui facevano rispettivamente capo i " titoli " e i " conti ", costituivano due fondi distinti, pur essendo entrambi conservati nel castello di Chambéry e affidati alla Camera dei conti. Gli ordinamenti archivistici e gli inventari ad essi relativi, redatti a cura di Jean Balay (1405-1437) e di Henri de Clairvaux (1441-1445), riflettono contemporaneamente l'organizzazione giuridica e i rapporti politici del ducato. Le carte infatti furono ordinate secondo criteri ideologicamente ispirati al sistema dei rapporti del duca con soggetti superiori, pari e inferiori a sé, traducendo in ordinamento archivistico la consapevolezza del proprio e dell'altrui ruolo nella società del tempo. Se dal vincolo personale dello stato feudale nasceva una organizzazione degli archivi in base al criterio della provenienza o della pertinenza ai vari soggetti, l'altro criterio emergente dagli inventari sabaudi del XV secolo era quello territoriale. Ne risultava pertanto, quale guida della classificazione, da un lato la gerarchia delle funzioni che determinava un ordinamento legato ai ruoli dei soggetti dai quali l'atto proveniva o a cui si riferiva (criterio personale-feudale), dall'altro la necessità di un ordinamento per località legato al concetto emergente di Stato territoriale (criterio locale-amministrativo). La sovrastruttura archivistica, conforme allo schema territoriale o a quello personale-feudale, si sovrapponeva talora a documentazione originariamente aggregatasi attorno a fattispecie giuridiche o alla trattazione di specifici affari. L'ordinamento dell'archivio ducale secondo tali criteri era pensato per durare a lungo nella sua aspirazione alla coincidenza tra ordinamento ideale e quello materiale. In effetti esso permase lungamente e talune tracce sono ancora oggi leggibili. L'invasione francese dei territori sabaudi del 1536 portò alla distruzione delle strutture archivistiche tracciate con le inventariazioni Balay e Clairvaux. Carlo II, negli eventi drammatici di quell'invasione, riuscì a mettere in salvo una parte degli archivi trasferendoli nella fortezza di Bard e nel castello di Nizza. Cessata l'occupazione francese, restaurato il potere sabaudo da Emanuele Filiberto a partire dal 1559 si procedette al riordinamento del patrimonio archivistico della dinastia. La patente 12 ag. 1562 indicava la volontà ducale di articolare in due sezioni, una per la Savoia e l'altra per il Piemonte, " il tesoro de' titoli ". Si definivano così due archivi dei titoli, uno a Chambéry e l'altro in Torino. Suddiviso poi il magistrato camerale in due organi, uno con sede a Chambéry, l'altro a Torino (editto 5 ott. 1577), analogamente si vennero a creare due archivi camerali. Nella rinnovata esigenza di una legittimazione documentaria del dominio, si profilava chiaramente la necessità di disporre di titoli giuridici ordinati. A tal fine si apprestarono a Torino idonei locali di conservazione, si concentrarono in essi le scritture sparse in sedi diverse e si definirono le procedure di ordinamento e inventariazione. Tra il XVI e il XVII secolo dunque si posero i presupposti concettuali e materiali culminati nell'inventario di Cesare Rocca che nel 1660 dette un'ampia descrizione archivistica dei titoli dello stato in fase di crescita e di assestamento burocratico. L'inventario Rocca traduceva l'ordinamento topografico e materiale dell'archivio, prescindendo da un ordinamento ideologico delle carte. Dopo i primi tentativi del sec. XVII, l'epoca dell'ordinamento definitivo e della redazione del maggior numero di inventari fu il sec. XVIII, durante il regno di Vittorio Amedeo II. L'archivista Cullet compilò, tra il 1707 e il 1717, settantacinque inventari che traducevano il nuovo ordinamento dato alle scritture, trasferite nel 1707 dal palazzo Madama nel palazzo Reale nuovo. L'inventariazione del Cullet si collocava in un momento politico e militare fortemente drammatico per lo Stato sabaudo; ma la conoscenza dei titoli giuridici si imponeva come necessità alla vigilia di profondi mutamenti interni e internazionali, connessi alle riforme, e ai trattati di pace. Dei settantacinque inventari redatti in tale epoca, ne risultano ancora oggi in uso quindici, datati tra il 1711 e il 1720. Il criterio che presiedette alla loro stesura era l'organizzazione delle carte per " materie " funzionali al governo dello Stato. Lo stesso procedere nel tempo dei lavori di ordinamento può essere facilmente collegato ai più urgenti problemi dell'organizzazione statale (il confronto con le autonomie locali, il problema fiscale, i rapporti con Roma). Si era alla vigilia della costituzione delle segreterie di Stato e del rammodernamento dell'apparato per il consolidamento del potere assoluto di un sovrano che si misurava con il modello francese realizzato da Luigi XIV. L'archivio faceva parte degli strumenti giuridici e istituzionali di tale trasformazione, adattando la propria struttura alla funzione assegnata ai titoli giuridici. L'impronta data all'archivio dal Cullet venne ripresa procedendo ad integrazioni ed aggiunte (addizioni) rese necessarie dall'acquisizione di nuovi materiali documentari, conseguenti alle conquiste territoriali, al reperimento di nuovi atti, o a variazione topografica degli ordinamenti pregressi. Tra il 1717 e il 1798 i lavori di archiviazione proseguirono con un criterio chiarito, a partire dal 1731, nelle precise e dettagliate " Istruzioni " finalizzate alla preparazione del trasferimento delle scritture nel palazzo che lo Juvarra, primo architetto di sua maestà, costruiva per gli Archivi regi. La adiacenza del palazzo degli archivi a quello delle segreterie di Stato e, attraverso esso, al palazzo reale, in ininterrotta sequenza architettonica, evidenziava, anche plasticamente, la centralità e il ruolo politico-istituzionale dell'archivio nel governo dello Stato. Il 19 maggio 1731 veniva formulata, dopo un illuminante e teso dibattito tra l'archivista regio Garbiglione e i consiglieri del re, l'Istruzione originale di S.M. all'Archivista regio. Le Istruzioni alle quali l'archivista regio avrebbe dovuto conformare l'ordinamento delle scritture, ormai numericamente cresciute rispetto all'archivio che Emanuele Filiberto nel XVI secolo aveva potuto concentrare nella capitale [L'accrescimento dei Regi Archivi può essere così individuato nel tempo. Nel 1445, l'archivio ducale era costituito da sessanta armadi di cui quarantacinque ordinati; nel 1660, l'archivio consta di ventidue armadi (è notevole la diminuzione a causa dei trasferimenti a Nizza e Bard): nel 1720 le " guardarobe " erano settantacinque come gli inventari Cullet; nel 1798 l'archivio era di duecentosedici " guardarobe ", per giungere a quattrocento armadi nel 1840] erano precise e dettagliate. Tre gli obiettivi da raggiungere nella conservazione: questa doveva essere sicura, ordinata e di rapido accesso per il " regio servizio ". A tale fine si davano minuziose indicazioni, che dalla concezione ideologica e sistematica degli ordinamenti e degli inventari, giungevano f no a prescrivere l'organizzazione fisica delle scritture nelle " guardarobe " delle singole sale. Concorsero al progetto i più illustri degli " avvocati burocrati " consiglieri del re e ideatori del globale progetto di riforma dello stato. Il sistema creava una suddivisione delle scritture in " materie ", la cui definizione era affidata a criteri legati alla gestione degli affari politici interni e internazionali piuttosto che ad un modello enciclopedico di suddivisione del sapere per generi e specie. In base alle Istruzioni del 1731 era prevista una articolazione degli archivi in sei stanze, o anche in maggior numero se così esigeva la quantità delle scritture. La prima doveva servire da biblioteca [" Rispetto alla prima, che deve contenere la libreria, basterà che vi si riponghino libri secondo le loro classi, cioè in una quelli del diritto pubblico, indi nelle altre successivamente i legali, gli storici ecc. "] Nella seconda e nella terza si dovevano collocare le scritture relative agli affari interni [" Quanto alla seconda, o terza stanza ben sapete, che l'interno de' Stati ha due riguardi, uno concerne il Principe, e l'altro i sudditi, e così separare si debbono le scritture che riguardano il primo dalle altre rispetto a quelle sarà vostra incumbenza di mettere nella seconda stanza tutto ciò che concerne la Real Casa ed i Principi della medesima, cioè i loro testamenti, i contratti de' loro matrimoni, li trattati di pace, di guerra, d'armistizio e simili, tutti gli altri che concernono il loro avvenimento alla Corona, le tutele, le reggenze, le sepolture, i cerimoniali, e generalmente tutto quello, che può avere riflesso immediatamente alla persona de' Regnanti, o de' Principi della Reale casa, e delle loro prerogative. Rispetto poi a quelle scritture, che riguardano i sudditi, queste si possono considerare in due parti, mentre alcune hanno riflesso a tutti li sudditi, o sia a tutto lo Stato in generale, come sono le leggi, le costituzioni, i regolamenti, ed ogni provvedimento universale; e le altre riguardano solamente qualche provincia, città, terre, e luoghi in particolare; sia le une, che le altre debbono riporsi separatamente nella terza stanza, ed osservarsi quanto alle ultime la stessa conformità che si è sin qui praticata ".] Nella quarta quelle relative a paesi, province e regni che in passato erano stati sotto il dominio sabaudo [Nella quarta stanza non si richiede altro travaglio se non di dividere in una parte tante guardarobe, quanti sono i regni, le provincie, città e terre, le quali furono in altri tempi sotto il dominio de' nostri Reali predecessori per riporvi le scritture, che li concernono; e nell'altra parte anche collocare nelle rispettive guardarobe quelle scritture che riguardano que' paesi posseduti da altre potenze, sopra le quali per altro abbiamo una qualche pretensione con tutte le scritture, che servono per appoggiarla ".] Nella quinta, quelle che riguardavano le Corti forestiere [" Nella quinta stanza si separeranno tante guardarobe quante sono le Corti forastiere, cominciando dall'Impero, e successivamente passando nelle altre. Nelle guardarobe destinate per ogni Corte in particolare si metteranno tutte le scritture, che la riguardano, ed in ciò sarà vostra particolar incumbenza di dividere le medesime guardarobe in tante scansie, quante saranno necessarie per mettervi le differenti materie, che possono aver riflesso con quella Corte [...]. Nella prima scansia si metteranno le pretensioni, che possiamo avere verso quella Corte, o quelle, che essa può avere verso di noi, con tutte le scritture, alle quali sono appoggiate le rispettive pretese. Nella seconda una copia dei trattati particolari se ne saranno seguiti con quella Corte; od almeno una nota de' medesimi e della guardaroba in cui si ritrovano. Nella terza le lettere di quella Corte mandate a noi, o a' nostri Ministri. Nella quarta le lettere da noi mandate a quella Corte, come anche le mandate a' nostri Ministri in quella residenti, e le ricevute da essi. Nella quinta le istruzioni da noi date ai nostri Ministri in quella Corte. Nella sesta le relazioni di quanto hanno operato nel loro ministero. Nella settima le notizie che si avranno circa il Governo politico di quella Corte, le di lei forze militari, l'amministrazione economica, il cerimoniale e generalmente tutto ciò, che riuscirà d'avere, che possa concernere la medesima, ancorché non abbia alcun riflesso a questi Stati. E perché occorrerà rispetto a diverse Corti forestiere, che si abbiano più scritture, che concernino molte altre categorie differenti oltre le sovra accennate, dovrete, a misura che si presenteranno, metterle in tante scansie separate, ad esempio delle altre "] quella di Roma. Le carte relative allo Stato pontificio, assieme a tutte le altre scritture di natura ecclesiastica, andavano collocate nella sesta stanza [" La sesta stanza finalmente, vogliamo che sia riservata, come dicemmo, per materie ecclesiastiche, e però nella medesima dovrete riporre tutto ciò che concerne la Corte di Roma ed il Governo ecclesiastico di questi Stati, con far tutte quelle separazioni, che saranno necessarie secondo le differenti materie. Sebbene non abbiate presentemente il numero di stanze per poter in esse mettere le scritture secondo la distribuzione sovra prescrittavi, tuttavia dovete regolarle nelle guardarobe presentanee in quella conformità, che vi abbiamo additata, con annotare sopra le guardarobe medesime quelle che debbono collocarsi o nella prima o nella seconda o nelle altre rispettive stanze dei nuovi archivi "] L'interno (principi e sudditi; paesi, province e terre possedute o pretese), gli esteri, gli affari giuridici, quelli ecclesiastici e quelli economici costituivano i riferimenti dell'ordinamento. Le scritture così suddivise si inquadravano in una sovrastruttura più generale per " materie ", la cui denominazione derivava dalle specificazioni indicate nelle Istruzioni del 1731 (scritture che " riguardano l'interno ", scritture che " riguardano le corti forestiere ", scritture relative a " materie ecclesiastiche " ecc.). Le Istruzioni erano ben chiare in merito: " allorché distribuirete nelle guardarobe le scritture concernenti una qualche materia sarete attento a inserirvi tutte quelle altre che sono negli archivi e che riguardano la medesima materia... ". All'ordinamento faceva da preciso corollario un ampio sistema di inventari per fissare e comunicare i criteri di organizzazione degli atti. Le puntuali istruzioni al regio archivista indicavano linee e contenuti di tale struttura non escluso il collegamento topografico con il nuovo edificio in cui le scritture vennero trasferite nel 1734, durante il regno di Carlo Emanuele III. Il lavoro si protrasse per tutto il sec. XVIII. Le istruzioni del 1731 davano dunque le coordinate del lavoro di ordinamento e degli inventari relativi. Il sistema attuato risultava conforme alle indicazioni dell'età di Vittorio Amedeo II: tra le " materie ", funzionali all'organizzazione politica dello stato e ai suoi problemi istituzionali, quelle relative all'interno (sovrano e sudditi) e all'estero (potenze straniere) costituivano i due riferimenti principali della politica di accentramento assolutistico. Certamente la distribuzione topografica nei nuovi archivi non corrispose a quanto indicato dalle Istruzioni del 1731. Una relazione del 1745 testimonia una situazione di accrescimento documentario ancora in atto. Ma a ben leggere la storia dell'Archivio di corte, possiamo ritenere che solamente i lavori ottocenteschi riprenderanno la lettera delle istruzioni del 19 mag. 1731, per ciò che concerne la distribuzione delle scritture per sale progressivamente legate da un ordinamento concettuale rigoroso e corrispondente all'impianto ideologico-politico delle Istruzioni stesse. Gli eventi connessi alla dominazione francese in Piemonte determinarono nella storia dell'Archivio di corte una parentesi oscura. Certamente si vissero drammatici episodi: dalle sottrazioni furtive di atti, come nella notte tra il 22 e il 23 dic. 1798, al depauperamento dei fondi d'archivio, condotto sistematicamente dai funzionari napoleonici. Vennero estratte nel corso degli anni di amministrazione francese ampie quantità di scritture: le corrispondenze diplomatiche degli ultimi dieci anni, le carte topografiche e tutti i documenti scelti per essere inviati alle prefetture dei dipartimenti piemontesi, a quelle delle antiche province della Savoia e di Nizza, alla repubblica cisalpina, e soprattutto agli archivi imperiali di Parigi. Nel 1804 il palazzo dello Juvarra, ritenuto inadatto al ruolo di concentrazione documentaria degli atti della 27 divisione militare dell'impero, venne destinato ad accogliere il liceo della città. La documentazione veniva in parte dispersa in sedi periferiche e in parte trasferita nei locali di recente nazionalizzati dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Il ritorno dell'edificio alla sua utilizzazione originaria fu curato dai funzionari che, tra il 1814 e il 1848, prestarono servizio nell'Archivio di corte. La situazione creatasi nelle sale del palazzo juvarriano, dopo il recupero della documentazione trasferita nelle varie sedi, appariva drammatica. Le guardarobe collocate nel piano secondo risultavano riempite senza alcun richiamo alla logica dell'ordinamento pregresso e la " montagna delle scritture ", cioè l'insieme di mazzi sparsi sui pavimenti, aveva come unico riferimento " un biglietto " posto sui vari pezzi a indicarne la natura. Tale situazione si sarebbe protratta negli anni. I lavori intrapresi furono di due generi: la riorganizzazione dei locali e il riordinamento globale delle carte. Il lavoro pose complessi problemi. si trattava di capire profondamente il sistema realizzato precedentemente per recuperarne le sopravvivenze e, soprattutto, per interpretarne le presenze ideologiche e giuridiche. Nel formulare un piano di intervento la rinnovata distribuzione delle scritture fu legata ai risultati di tali indagini Dai lavori preparatori emerge una premessa relativa al sistema in generale: le scritture divise in materie, categorie e paesi e sistemate in ordine cronologico, sarebbero state unite alle precedenti prima che di esse venisse fatto inventario. Tale struttura consentiva di collocare le " addizioni " di ciascuna serie " già rapportata ad inventario ", nella guardaroba dove la serie stessa risultava collocata. Il criterio avrebbe consentito di ovviare ai disagi derivanti da versamenti successivi e disorganici da parte delle segreterie di Stato. Fissata la premessa, si affrontò la sistemazione materiale delle carte giacenti nella " catasta " dividendo: 1) le carte antecedenti la costituzione delle segreterie di Stato (1717); 2) le scritture politiche provenienti dalla segreteria degli esteri; 3) le scritture appartenenti alla segreteria di Stato per gli affari interni. Le prime furono riordinate nel 1839, momento in cui si procedette pure alla compilazione dell'indice analitico dei vari inventari, tramite " bigliettini " da ordinare alfabeticamente. Quest'ultimo lavoro rimase però interrotto. Le carte relative all'estero vennero sistemate adottando il criterio di suddivisione già attuato negli ordinamenti del sec. XVIII. " Si suddivisero dalle lettere degli ambasciatori, i pieni poteri, le convenzioni, i trattati ed altre carte di simile fatta che dovevano rapportarsi negli inventari delle Materie politiche ed anche in altri inventari ". Le lettere degli ambasciatori si riunirono a quelle che già erano ordinate ed " inventarizzate ". si crearono nuovi inventari di " addizione " a quelli preesistenti, talora si arricchirono quelli redatti tra il 1720 e il 1798. In alcuni casi all'ordinamento non corrispose la redazione di nuovi inventari ma ci si limitò alla compilazione di regesti e all'annotazione delle segnature sulle camicie dei vari fascicoli creati all'interno dei mazzi di ciascuna serie. Le scritture relative all'interno poi furono raggruppate in " 76 serie di pacchi con intitolazione diversa l'una dall'altra " dando vita al fondo di addizione delle Materie politiche relative all'interno in genere, quale complemento dell'analogo fondo settecentesco. La maggior parte del lavoro, compiuto negli anni 1820-1839, risulta effettuato da Giuseppe Fea e Michele Negri. L'opera del piccolo gruppo di fedeli servitori del sovrano attivi nel regio Archivio alla vigilia dell'unità risulta dare così compimento, pur con i necessari adattamenti, al progetto amedeano, tradotto da Carlo Emanuele III, il 19 mag. 1731, nelle Istruzioni all'archivista Garbiglione. Ancora negli anni cinquanta dell'ottocento si provvedeva a separare dai versamenti organici della segreteria degli esteri gli atti delle varie divisioni per dare ad essi una collocazione per materie (vedi Lettere ministri , Legazioni e Consolati ). Così pure le carte versate nel sec. XIX dalla segreteria dell'interno e dall'azienda dell'interno furono suddivise per materia e collocate prevalentemente nel fondo delle Materie economiche e nel fondo Paesi. L'Archivio di corte dunque accolse fino alla costituzione dello stato unitario, accanto all'archivio dinastico, gli atti della segreteria dell'interno e di quella degli esteri e in parte gli atti prodotti dall'intero apparato istituzionale dello Stato, se ritenuti utili alla gestione politica dello Stato (taluni atti in materia finanziaria, altri in materia militare, ecc.). Gli altri dicasteri e organi amministrativi, istituiti prevalentemente a partire dal XVI secolo, conservarono presso di sé i propri archivi, fino ad epoca recente Anche il processo di trasformazione istituzionale del sec. XIX - costituzione e organizzazione dei ministeri con r.d. 21 dic. 1850 [Raccolta regno Sardegna, 1850, n. 1122] e regolamento 23 ott. 1853 [Ibid., 1853, n. 1611] che fissavano le gerarchie degli uffici e i quadri del personale - non determinò innovazioni nella conservazione degli archivi del regno sardo. Pertanto gli atti dei ministeri e quelli degli organi che ne costituivano precedente furono riuniti solo nel 1925 in un unico deposito archivistico, topograficamente staccato dall'antico Archivio di corte [Si collocarono gli atti, così riuniti, nell'edificio costruito da Giuseppe Talucchi per l'ospedale dell'opera pia S. Luigi] dello Stato assoluto era divenuto organo di uno Stato costituzionale. Le vicende successive all'emanazione dello statuto albertino (4 mar. 1848) avevano infatti segnato la trasformazione dei " Regi Archivi " in Archivio generale del regno. La nascita dello stato unitario e il successivo trasferimento della capitale, dopo un periodo in cui agli archivi di Torino fu riservato il ruolo di Direzione generale e di Archivio centrale (1862), determinarono nel 1874 il radicale mutamento dell'antico Archivio di corte dello Stato sabaudo in Sovrintendenza degli archivi piemontesi (r.d. 5 mar. 1874, n. 1561, e 31 mag. 1874, n. 1948). Poiché è caratteristica peculiare di questa Guida generale la descrizione dei fondi archivistici secondo la loro provenienza, si è stati costretti a non tener conto della diversa dislocazione topografica di essi. I lettori non dovranno inoltre stupirsi se non ritroveranno terminologie usuali e consolidate dal tempo, come la designazione di taluni fondi secondo la ripartizione, risalente al secolo scorso, in sezioni. In nota si daranno le necessarie spiegazioni. Un confronto con la Guida del 1944 rende evidenti molte dispersioni di materiale dovute agli eventi bellici. Nel corso della seconda guerra mondiale, infatti, andarono distrutti taluni importantissimi fondi, come una gran parte dell'archivio della segreteria per gli affari dell'interno, di quello dell'amministrazione delle poste e dei telegrafi, la totalità di quello del magistrato della riforma poi ministero della pubblica istruzione, il ministero dell'agricoltura, industria e commercio. Anche di queste perdite sarà data notizia di volta in volta. Si ricorda infine la cessione alla Francia di molto materiale documentario dell'Archivio di corte, della Camera dei conti e di serie di altre magistrature, a seguito del trattato di pace del 1947. Come risulta dall'elenco ufficiale di trasferimento, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 17 apr. 1950, n. 89, furono inviati in Francia i documenti relativi alla Savoia e al Nizzardo. A nulla servono, certamente, le recriminazioni per quanto accaduto, né è opportuno ripercorrere qui la lunga serie di controversie che portarono alla decisione. Resta una sola considerazione da fare: sia nel caso dell'archivio della camera dei conti sia nel caso dell'Archivio di corte si è spezzato aprioristicamente un ordinamento archivistico plurisecolare, frammentando serie documentarie continuative ed aventi una logica compenetrazione l'una nell'altra, derivante dall'ordinamento archivistico proprio II principio archivistico del rispetto dei fondi, è stato certamente disatteso. Con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e poi a Roma, molti fondi archivistici degli organi centrali, furono privati degli atti relativi agli anni che precedono immediatamente l'unità nazionale. Essi furono trasferiti nella nuova capitale [A. LANGE, Coordinamento dei fondi archivistici... [cit. in bibliografia]] quali carte di " affari correnti ". A tale proposito vedi l' Archivio Centrale dello Stato . Un più corposo depauperamento, operato in base a criteri poco chiari, si è verificato per gli archivi della segreteria di Stato per gli affari esteri, poi ministero degli esteri. Intere serie dello Stato sabaudo, talora relative anche ai secc. XVII e XVIII, risultano conservate presso l'Archivio storico del ministero degli esteri [Le scritture della segreteria di Stato degli affari esteri di Sardegna, a cura di R. MOSCATI, Roma 1947; La legazione sarda in Vienna, a cura di E. PISCITELLI, ivi 1950; Le legazioni sarde a Parigi, Berna, L'Aia, Lisbona e Madrid, a cura di F. BACINO, ivi 1951; La legazione e i consolali del Regno di Sardegna in Russia, a cura di F. BACINO, ivi 1952; La legazione sarda in Londra, a cura di M. PASTORE, ivi 1952] Per quanto concerne le pergamene, occorre avvertire che con saggia ed opportuna decisione gli archivisti che operarono a Torino nel passato non crearono un Diplomatico: molte furono lasciate nei fondi originari, come spesso accade per abbazie, monasteri e famiglie private; molte furono ridistribuite nelle varie categorie dell'ordinamento per materia dell'Archivio di corte. Fa eccezione unicamente una piccola serie appartenente all'archivio dell'Ufficio generale delle finanze, descritta in Raccolte e miscellanee, Pergamene . Numerose serie, importantissime, della Camera dei conti sono costituite interamente, come sarà precisato a suo luogo, da pergamene cucite insieme in modo da formare i notissimi " rotoli ". Un calcolo del numero di esse non è ragionevolmente possibile. Un cenno infine alle fonti utilizzate per le note storico-istituzionali: i dati sono desunti o verificati in base alla stessa documentazione dei fondi archivistici. In particolare per le disposizioni normative si è ricorso alle due fondamentali raccolte del Borelli e del Duboin: Editti antichi e nuovi de' Sovrani Principi della Real Casa di Savoia, delle loro Tutrici e de' Magistrati di qua da' Monti, raccolti d'ordine di Madama Reale Maria Giovanna Battista, a cura di G. B. BORELLI, Torino 1681, e Raccolta per ordine di materie delle leggi, provvidenze, editti, manifesti ecc. pubblicati dal principio dell'anno 1681 sino agli 8 dicembre 1798 sotto il felicissimo dominio della Real Casa di Savoia per servire di continuazione a quella del senatore Borelli, a cura di F. A. DUBOIN, I-XXIX, Torino 1818-1868. Per la legislazione successiva ci si può riferire alla Raccolta di leggi, decreti, proclami, manifesti, circolari, ecc. delle autorità costituite [1800-1802], poi Raccolta di leggi, decreti pubblicati tanto nel Bollettino delle leggi della repubblica quanto in quello dell'amministrazione generale della 27 divisione militare e di proclami, manifesti, circolari ecc. delle autorità costituite in essa divisione [1802-1804], poi Raccolta di leggi, decreti ecc. pubblicati nel Bollettino dalle varie autorità, I-XLIII, Torino, Davico e Picco, 1800-1814. Nel 1833 il regno sabaudo diede inizio alla regolare pubblicazione della Raccolta di alti di governo di S. M. il re di Sardegna, I-XXXV, Torino, Stamperia reale, 1833-1861. Per il periodo della Restaurazione tuttavia esistono altre raccolte, non ufficiali: Raccolta di regi editti, proclami, manifesti ed altri provvedimenti de' Magistrati ed Uffizi, I-XXXVII, Torino, Davico e Picco [poi] V. Picco [poi] Mancio Speirani e Comp. [poi] Speirani e Comp., 1814-1837; Raccolta dei regi editti, manifesti ed altre provvidenze de' Magistrati ed Uffizi, serie V, I-XII, Torino, Speirani e Comp. [poi] Speirani e Ferrero, 1838-1848; Raccolta di leggi, decreti, circolari ed altre provvidenze dei Magistrati ed Uffizi, serie V, XIII-XXIV, Torino, Speirani e Ferrero [poi] Speirani e Tortone, 1849-1859; Raccolta degli atti di governo di S. M. il Re di Sardegna dall'anno I514 a tutto il 1832,1-XXV, Torino, Ferrero e Vartamy, 1842-1848, corredata di indice sistematico; infine la Collezione celerifiera delle leggi, I-LXX, Torino, Favale [poi] Fory e Dalmazzo [poi] Dalmazzo, 1823-1869.
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