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  • Rodinò, Giulio
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  • Rodinò, Giulio
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  • Rodinò, Giulio
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  • Figlio di Gianfrancesco, marchese di Sangineto, e di Giuseppina Sanseverino, Giulio Rodinò nasce a Napoli nel 1875 da una famiglia di antica aristocrazia legata ad ambienti del movimento cattolico napoletano: il nonno materno, Luigi Sanseverino principe di Bisognano, era stato tra i promotori dell'Opera dei Congressi mentre il padre aveva fondato, nel 1891, il Circolo Cattolico per gli Interessi di Napoli. Compiuti gli studi classici presso i gesuiti del convitto Pontano, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell'università di Napoli, dove si laurea nel 1897. Subito dopo comincia ad esercitare l'avvocatura e allo stesso tempo ad avvicinarsi alla politica, entrando a far parte del Circolo fondato dal padre. Convinto della necessità di trasformare la militanza cattolica in presenza fattiva nella vita politica ed amministrativa, si candida al consiglio comunale di Napoli, dove è eletto nel 1901 e riconfermato nelle successive elezioni, come assessore delegato nel 1907, e assessore all'igiene nel 1910. Alle politiche del 1913 è eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati, dove, tra il 1919 e il 1920 è prima questore e poi vicepresidente. Durante il ministero Nitti (dal 22 maggio al 16 giugno 1920) riceve l'incarico di ministro della Guerra e si trova ad affrontare problemi connessi alla fine del conflitto, come la smobilitazione e il riordinamento dell'esercito, il ridimensionamento dei corpi di occupazione, le questioni albanese e fiumana. Caduto il governo è eletto componente della Commissione per l'inchiesta sulle spese di guerra, incarico che lascerà per tornare, nell'aprile del 1921, alla guida del dicastero della Guerra. Nominato ministro guardasigilli nel governo Bonomi dal 2 aprile al 4 luglio 1921, porta a termine il piano per il nuovo ordinamento giudiziario che prevedeva, tra l'altro, la riduzione del numero dei magistrati e degli uffici giudiziari; si occupa, inoltre, dell'ordinamento della professione forense e completa la stesura di un disegno di legge per l'assistenza previdenziale degli avvocati. I molteplici impegni politico-istituzionali di Rodinò si svolgono parallelamente a quelli di partito. Partecipa a tutte le fasi preliminari alla nascita del Partito Popolare: nel dicembre del 1918 prende parte alle riunione della "piccola costituente" e nel 1919 sottoscrive "l'appello ai liberi e forti". Nel partito ricopre, tra l'altro, le cariche di consigliere nazionale, membro della Direzione e presidente del triumvirato, retto insieme a Gronchi e Spataro dal 1923, in seguito alle dimissioni di Luigi Sturzo. Al IV congresso del partito, svoltosi a Torino nell'aprile 1923, riguardo alla dibattuta questione dell'atteggiamento da assumere nei confronti del governo Mussolini, dinanzi ad un'assemblea divisa tra coloro che intendevano sostenere il governo e coloro che, invece, volevano una ferma opposizione, Rodinò prende la parola proponendo di mantenere una posizione indipendente approvando, secondo l'opportunità, gli atti del governo o contrastandoli se difformi dai principi informatori del partito. Le risoluzioni congressuali provocano, com'è noto, l'esclusione dei ministri popolari dall'esecutivo e la definitiva rottura tra il PPI e Mussolini, culminata con le forzate dimissioni di Sturzo dalla segreteria del partito. La linea politica del triumvirato riafferma la posizione centrista e la necessità di conformarsi esclusivamente all'originario programma popolare, mentre le divisioni interne e le defezioni dei popolari filofascisti cominciano a minare dall'interno la stabilità del partito. Nell'affrontare le elezioni del 1924, alle quali il PPI decide di presentarsi con una lista autonoma, Rodinò spera ancora in un blocco parlamentare del movimento fascista e in una regolarizzazione della situazione degli altri partiti. Con la nuova legislatura, inaugurata nel maggio 1924, Rodinò, eletto in Campania insieme a G. Battista Bosco Lucarelli, è nominato vicepresidente della Camera. A giugno, dopo il delitto Matteotti, decide di ritirarsi dall'aula insieme agli altri "aventiniani" e, poiché avrebbe dovuto, quale rappresentante della Camera, recarsi al Quirinale insieme agli esponenti della maggioranza per la risposta al discorso della Corona, decide di dimettersi dall'incarico. Nel 1926, a seguito dello scioglimento di tutti i partiti politici ed alla revoca del mandato parlamentare dei deputati aventiniani, Rodinò, uscito forzatamente dalla scena politica, si ritira a vita privata dedicandosi alla cura del patrimonio familiare, pur continuando a mantenere stretti rapporti con gli amici di partito. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 Rodinò riprende gradualmente l'attività pubblica imponendosi, per la sua esperienza politica e per il suo passato antifascista, come una delle figure di rilievo del nuovo partito della Democrazia Cristiana. Al Congresso di Bari sostiene la mozione di Vincenzo Arangio Ruiz, approvata poi a maggioranza, per la formazione di un governo con la partecipazione di tutti i partiti rappresentati al congresso e per la convocazione di un'Assemblea costituente da promuovere a conclusione delle ostilità. Prende parte, in funzione moderatrice, all'acceso dibattito sulla questione istituzionale e si adopera per far accettare la proposta De Nicola sulla luogotenenza. Nel secondo governo Badoglio, dal 22 aprile al 18 giugno 1944, gli viene confermata la carica di ministro senza portafoglio e tra il dicembre 1944 e il giugno 1945 (governo Bonomi) è nominato, con Togliatti, vicepresidente ai lavori della Consulta nazionale fino a qualche giorno prima della sua scomparsa, avvenuta il 16 febbraio 1946.
dc:date
  • 1875-16 febbraio 1946
ha date esistenza
ha statusProvenienza
abstract
  • Figlio di Gianfrancesco, marchese di Sangineto, e di Giuseppina Sanseverino, Giulio Rodinò nasce a Napoli nel 1875 da una famiglia di antica aristocrazia legata ad ambienti del movimento cattolico napoletano: il nonno materno, Luigi Sanseverino principe di Bisognano, era stato tra i promotori dell'Opera dei Congressi mentre il padre aveva fondato, nel 1891, il Circolo Cattolico per gli Interessi di Napoli. Compiuti gli studi classici presso i gesuiti del convitto Pontano, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell'università di Napoli, dove si laurea nel 1897. Subito dopo comincia ad esercitare l'avvocatura e allo stesso tempo ad avvicinarsi alla politica, entrando a far parte del Circolo fondato dal padre. Convinto della necessità di trasformare la militanza cattolica in presenza fattiva nella vita politica ed amministrativa, si candida al consiglio comunale di Napoli, dove è eletto nel 1901 e riconfermato nelle successive elezioni, come assessore delegato nel 1907, e assessore all'igiene nel 1910. Alle politiche del 1913 è eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati, dove, tra il 1919 e il 1920 è prima questore e poi vicepresidente. Durante il ministero Nitti (dal 22 maggio al 16 giugno 1920) riceve l'incarico di ministro della Guerra e si trova ad affrontare problemi connessi alla fine del conflitto, come la smobilitazione e il riordinamento dell'esercito, il ridimensionamento dei corpi di occupazione, le questioni albanese e fiumana. Caduto il governo è eletto componente della Commissione per l'inchiesta sulle spese di guerra, incarico che lascerà per tornare, nell'aprile del 1921, alla guida del dicastero della Guerra. Nominato ministro guardasigilli nel governo Bonomi dal 2 aprile al 4 luglio 1921, porta a termine il piano per il nuovo ordinamento giudiziario che prevedeva, tra l'altro, la riduzione del numero dei magistrati e degli uffici giudiziari; si occupa, inoltre, dell'ordinamento della professione forense e completa la stesura di un disegno di legge per l'assistenza previdenziale degli avvocati. I molteplici impegni politico-istituzionali di Rodinò si svolgono parallelamente a quelli di partito. Partecipa a tutte le fasi preliminari alla nascita del Partito Popolare: nel dicembre del 1918 prende parte alle riunione della "piccola costituente" e nel 1919 sottoscrive "l'appello ai liberi e forti". Nel partito ricopre, tra l'altro, le cariche di consigliere nazionale, membro della Direzione e presidente del triumvirato, retto insieme a Gronchi e Spataro dal 1923, in seguito alle dimissioni di Luigi Sturzo. Al IV congresso del partito, svoltosi a Torino nell'aprile 1923, riguardo alla dibattuta questione dell'atteggiamento da assumere nei confronti del governo Mussolini, dinanzi ad un'assemblea divisa tra coloro che intendevano sostenere il governo e coloro che, invece, volevano una ferma opposizione, Rodinò prende la parola proponendo di mantenere una posizione indipendente approvando, secondo l'opportunità, gli atti del governo o contrastandoli se difformi dai principi informatori del partito. Le risoluzioni congressuali provocano, com'è noto, l'esclusione dei ministri popolari dall'esecutivo e la definitiva rottura tra il PPI e Mussolini, culminata con le forzate dimissioni di Sturzo dalla segreteria del partito. La linea politica del triumvirato riafferma la posizione centrista e la necessità di conformarsi esclusivamente all'originario programma popolare, mentre le divisioni interne e le defezioni dei popolari filofascisti cominciano a minare dall'interno la stabilità del partito. Nell'affrontare le elezioni del 1924, alle quali il PPI decide di presentarsi con una lista autonoma, Rodinò spera ancora in un blocco parlamentare del movimento fascista e in una regolarizzazione della situazione degli altri partiti. Con la nuova legislatura, inaugurata nel maggio 1924, Rodinò, eletto in Campania insieme a G. Battista Bosco Lucarelli, è nominato vicepresidente della Camera. A giugno, dopo il delitto Matteotti, decide di ritirarsi dall'aula insieme agli altri "aventiniani" e, poiché avrebbe dovuto, quale rappresentante della Camera, recarsi al Quirinale insieme agli esponenti della maggioranza per la risposta al discorso della Corona, decide di dimettersi dall'incarico. Nel 1926, a seguito dello scioglimento di tutti i partiti politici ed alla revoca del mandato parlamentare dei deputati aventiniani, Rodinò, uscito forzatamente dalla scena politica, si ritira a vita privata dedicandosi alla cura del patrimonio familiare, pur continuando a mantenere stretti rapporti con gli amici di partito. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 Rodinò riprende gradualmente l'attività pubblica imponendosi, per la sua esperienza politica e per il suo passato antifascista, come una delle figure di rilievo del nuovo partito della Democrazia Cristiana. Al Congresso di Bari sostiene la mozione di Vincenzo Arangio Ruiz, approvata poi a maggioranza, per la formazione di un governo con la partecipazione di tutti i partiti rappresentati al congresso e per la convocazione di un'Assemblea costituente da promuovere a conclusione delle ostilità. Prende parte, in funzione moderatrice, all'acceso dibattito sulla questione istituzionale e si adopera per far accettare la proposta De Nicola sulla luogotenenza. Nel secondo governo Badoglio, dal 22 aprile al 18 giugno 1944, gli viene confermata la carica di ministro senza portafoglio e tra il dicembre 1944 e il giugno 1945 (governo Bonomi) è nominato, con Togliatti, vicepresidente ai lavori della Consulta nazionale fino a qualche giorno prima della sua scomparsa, avvenuta il 16 febbraio 1946.
scheda provenienza href
scheda SAN
ha luogoProduttore
ha luogo morte
ha luogo nascita
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è produttore di
forma autorizzata produttore
  • Rodinò, Giulio
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  • Rodinò, Giulio
record provenienza id
  • san.cat.sogP.74920
sistema provenienza
  • ILS
dc:coverage
  • Napoli
is ha produttore of
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