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  • Comune di Maranello
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  • Comune di Maranello
dc:description
  • La giurisdizione territoriale di Maranello andò definendosi poco oltre la metà del secolo XV, in seguito all'infeudazione, da parte del duca Borso, nel 1464, del feudo di Maranello e sue pertinenze, al fedele consotius (compagno) Teofilo Calcagnini.<br />Nell'epoca medievale Maranello si trovò coinvolto nelle lotte tra le famiglie che si contendevano il potere a Modena, seguendone le travagliate vicende. Situato lungo la via Claudia che da Bologna giungeva fino a Piacenza e punto di partenza della strada che si dirigeva verso il Frignano, al confine tra i territori anticamente controllati dai bizantini e i domini longobardi, Maranello viene nominato in un documento del 1191, conservato presso il monastero di San Pietro di Modena e citato dal Tiraboschi . Altri documenti che citano Maranello (Maranum Araldini) li troviamo menzionati nelle opere degli studiosi dei primi anni del XX secolo. Tra il XII e il XIII secolo, benché non possediamo testimonianze certe, Maranello dovette darsi un governo comunale in linea con le vicende storiche del territorio circostante e di quello modenese. A partire dal 1288 Maranello, che era compreso nel distretto modenese, entrò a far parte della signoria Estense, seguendo le vicende della città dominante. Nel trentennio in cui durò la "res publica mutinensis", si ha notizia che Maranello fosse stata occupato dalle truppe pontificie nel 1326, ma già l'anno dopo il castello fu restituito a Modena. Tiraboschi affermava poi che, probabilmente attorno al 1356, Maranello fosse passata sotto il dominio dei Da Sassuolo, mentre col decreto del 22 marzo 1405 Nicolò III d'Este concedeva Maranello e il suo territorio ai fratelli Marco, Alberto e Gian Galeazzo Pio di Carpi, al tempo in cui il castello di Maranello era tenuto da Blanchinus de Gorzano. In seguito al decreto marchionale del 2 ottobre 1425 Nicolò III assoggettava nuovamente Maranello alla città di Modena, e il 14 novembre 1432 nominava Giacomo Giglioli governatore di un vasto territorio che comprendeva diversi luoghi della zona pedemontana e delle prime colline, terre in precedenza dominate dalle famiglie dei Da Sassuolo, dei Roteglia, dei Fogliani, e dei Da Gorzano. Ma già nel 1434, morto suicida a Ferrara il Giglioli, si ricostituì la podesteria di Sassuolo, comprendente anche Fiorano, Montegibbio, Nirano, Montebaranzone e Varana, mentre il territorio di Maranello tornò sotto il governo diretto della signoria Estense.<br />Nel 1464 Maranello venne eretto a capoluogo di feudo dal duca Borso con l'investitura a Teofilo Calcagnini, patrizio ferrarese, dei feudi di Maranello, Cavriago e Fusignano. Il 9 febbraio 1465 Teofilo Calcagnini, accompagnato dal padre Francesco, prese solennemente possesso del castello di Maranello, ricevendo il giuramento di fedeltà degli uomini del paese, nominando il podestà e consegnandogli le nuove insegne del castello. Quarantasei capifamiglia, denominati Sapienti, prestarono giuramento di fedeltà, tra cui certo Manzini venne nominato massaro. La giurisdizione feudale è descritta nell'investitura e comprende un territorio delimitato a nord da Montale e San Zenone, appartenenti al distretto modenese, a sud da Fogliano e San Venanzio, dominati dai Contrari, signori di Vignola, ad est da Gorzano, parte nella giurisdizione degli stessi Contrari e parte dei Rangoni, e ad ovest da Spezzano e Formigine, appartenenti ai Pio di Savoia. Dopo le vicissitudini del primo trentennio del Cinquecento, durante le quali il vicario imperiale aveva investito del feudo di Maranello Giulio Cesare Colombi, Ercole I investì di nuovo i Calcagnini, nel 1527, delle terre maranellesi, che furono da questi dominate ininterrottamente fino all'arrivo dei francesi (1796). Teofilo, creato conte palatino dall'imperatore Federico III, ebbe poi il diritto di estendere tale titolo ai suoi successori. La famiglia Calcagnini, di nobiltà ferrarese assai vicina al casato Estense, contribuiva a consolidare il dominio degli Este in un territorio che era stato fino ad allora conteso, con aspri conflitti, tra le antiche famiglie feudali locali. Il feudo di Maranello, come già quello vignolese dei Contrari, veniva a creare un territorio posto sotto il sicuro controllo dei duchi di Ferrara, tra quelli vicini, infeudati ai Pio o ai Montecuccoli, di fedeltà meno tranquilla, sottraendo inoltre al comune modenese una parte di territorio che avrebbe potuto essere sede e focolaio di ulteriori rivolte.<br />Il 10 giugno 1475 Teofilo Calcagnini approvò i nuovi statuti della comunità di Maranello, salvaguardando le antiche norme consuetudinarie che vi erano state trasfuse e regolamentando la vita della piccola comunità. Dal codice, conservato in copia autentica del 1534, redatto in modo a tratti confuso e poco coerente (cfr. ASMo, Statuti, capitoli e grazie), si evincono le norme che sancivano la vita economica e sociale del distretto maranellese. Il feudatario nominava un podestà, che amministrava la giustizia civile e penale e dalla cui approvazione dipendevano tutte le decisioni dei rappresentanti del pubblico. In questo modo Maranello, in precedenza retto con le strutture del comune rurale e dipendente dalla podesteria di Sassuolo, diveniva comunità autonoma retta da un proprio magistrato. Gli organi rappresentativi della popolazione erano il Consiglio generale, che veniva convocato per le questioni di massima importanza ed il Consiglio dei Savi, composto da nove membri che amministravano il Comune con la partecipazione del massaro (amministratore finanziario) e dei sindaci (tre eletti con funzioni di controllo della gestione della comunità secondo le regole sancite negli statuti). Vi erano poi il notaio, il messo, gli stimatori degli eventuali danneggiamenti subiti dalla popolazione, il saltaro con compiti di guardia campestre e i Guaitoni, sorveglianti dei furti (1).<br />Il podestà aveva la facoltà di giudicare, condannare, punire e multare, agendo in nome e rappresentanza del feudatario. Al feudatario venivano trasferiti i diritti di riscossione dei dazi delle taverne e luoghi di ospitalità e il dazio sulla beccheria. Per la riscossione dei tributi occorreva che la comunità procedesse periodicamente alla formazione delle boatiere e del boccatico . Il podestà era definito castellano ed esattore, a lui venivano consegnate per custodirle le chiavi, le nuove insegne del castello e le lettere patenti rilasciate dal feudatario.<br />Gli abitanti del feudo dovevano "levare et accipere salem per taxam tam a salinis dictorum nostrorum locorum et cuiuslibet eorum evolvendo ipsum precium officialibus salinarum nostrarum". Non era lecito dare o vendere senza soggiacere alle norme stabilite dall'ufficio della salina ducale. Tra le poche carte, risalenti all'epoca del governo feudale (antico regime), conservate nell'archivio comunale di Maranello, si trovano con una certa continuità, almeno dalla fine del secolo XVII, i resoconti dei massari per il pagamento dell'addizione del sale all'ufficio della salina ducale.<br />La comunità feudale di Maranello era amministrata seguendo le norme emanate dai duchi d'Este per il governo del territorio. Le nomine dei rappresentanti scelti tra quelli eleggibili, dovevano essere approvate dal feudatario al quale si inviava la copia del relativo partito comunitativo.<br />Nel registro delle deliberazioni dei consiglieri della comunità di Maranello, conservato presso l'archivio comunale alla data 8 febbraio 1632 gli "uomini di Maranello" si congregarono per trattare "negoti pertinenti al pubblico interesse" alla presenza di Mario Carandini, consigliere per sua eccellenza. Si dettavano gli "Ordini da osservarsi nell'avvenire in creare ed estahere li officiali di Maranello con altre provisioni pertinenti all'interesse pubblico per l'istesso effetto" in 19 punti (2).<br />Le riunioni dei rappresentanti della comunità si tenevano nella rocca del castello di Maranello, nel torricino detto della Ragione. Nelle pp. 1-10 del registro n. 4 dei partiti comunitativi sono riportati i resoconti dei "maneggi" del denaro della comunità effettuati dai massari che presentano l'elenco delle somme percepite dalla comunità, provenienti dalle imposizioni fiscali, e le distinte delle spese effettuate.<br />Come si evince dal registro le entrate della comunità erano costituite dalle riscossioni per collette costituite essenzialmente da esazioni sopra soldi secolari ed ecclesiastici, dal livello del mulino, dal dazio dei Follicelli, dal raspo dei Follicelli e da altro dazio dei Follicelli di Pellegrino Ambrosi. Di seguito venivano elencate le spese fatte e quelle inesigibili (partite nuove inesigibili). Tra queste ultime erano menzionati diversi proprietari per colletta, don Pellegrino Manfredini e il duca di Sora. Al massaro era solitamente "abbonato" un collo di sale che era a suo carico. La colta o colletta annuale della comunità era stabilita sopra al soldario, stabilendo una quota da riscuotersi sopra ciascun soldo d'estimo. L'eccellentissima feudale Camera forniva alla comunità sacchi di spelta, ma ne stabiliva il prezzo nel mese di agosto (dopo il raccolto).<br />Generalmente nel mese di luglio o di giugno si faceva una specie di bilancio preventivo delle entrate e delle spese dell'anno in corso. Dal 1788 si stabilì di approvare i resoconti a fine anno.<br />Con proclama dell'allora Comitato di governo degli Stati di Modena del 12 ottobre 1796 si era proceduto alla soppressione dei feudi.<br />Nella deliberazione del 13 ottobre 1796 si verbalizzava la notizia che lo stato di Modena veniva governato dalla "municipalità di Modena e da un Comitato di Governo in nome della Repubblica francese". Si determinò anche di "esporre al pubblico e segnatamente nel torrione di questa rocca il tricolorato stemma della prelodata repubblica ed ordinarono rispetto acciò la più sollecita approvazione".<br />Il 9 luglio 1801, si conserva unicamente lo squarzo del verbale, la municipalità riceveva la lettera del commissario straordinario del Dipartimento relativa alla nomina "de maggiori estimati di questo distretto" che "in diffetto del ricevitore camerale dovranno assumere le incombenze portate ai capitoli normali, quali sono incaricati per la pronta esecuzione ed uniti alla presente i quinternetti di esazione e quant'altro occorre per porre in attività l'esazione medesima come in filo al n. 1 e 2". Questi ultimi erano Girolamo Prandini, Giovanni Andrea Stradi e il sacerdote Pietro Manfredi.<br />In data 26 febbraio 1803 (cfr. serie "Protocolli d'atti", registro n. 6) si registrava l'"installamento della municipalità", secondo le disposizioni della legge del 24 luglio 1802 che dettava le norme per il governo delle municipalità. L'amministrazione municipale di Maranello era "composta dagl'infrascritti cittadini, cioè notaio Giovanni Andrea Stradi, primo amministratore, capitano Geminiano Prandini e Biagio Zanni, fu installata, nel casino del predetto Stradi, posto nella comune della Torre e per essere esso febricitante, dal cittadino notaio Carlo Alessandri, segretario provvisorio del distretto di Sassuolo. In detta amministrazione fu nominato il cittadino Alessandro Giberti in agente comunale collo stipendio annuale di modenesi lire 150, fu nominato il cittadino Giovanni Ambrosi in cursore collo stipendio mensale di lire 8 e così annuo lire 96. Fu assegnato al detto segretario l'annuale stipendio di lire 360 da pagarsi di sei in sei mesi posticipati".<br />Nel verbale del 12 dicembre 1803 veniva presentato lo stato attivo e passivo della comunità. Le passività, in ottemperanza all'articolo 133 della legge del 1802, dovevano essere "caricate" per metà sopra il censo e per l'altra metà ricavate dalla tassa personale. La tassa personale veniva formata sul ruolo delle teste descritte per l'anno precedente. Erano anche indicati i sei maggiori "estimati", in modo da far sì che tra essi fosse nominato il primo amministratore: Girolamo Prandini, Giovan Battista Amorotti, Filippo Marchisio, Giuliano Marchisio, Geminiano Costantini, Giovanni Andrea Stradi. Risultò infatti nominato primo amministratore Giovanni Andrea Stradi. Gli altri amministratori dovevano essere scelti uno tra i maggiori stimati e l'altro tra i possidenti: risultarono eletti Pietro Agazzotti, secondo amministratore municipale e Biagio Zanni come terzo. In seguito venne scelto il ricevitore dei conti municipali nella persona di Bartolomeo Iatici. Le deliberazioni prese vennero poi sottoposte, in ottemperanza alle disposizioni francesi, all'approvazione del prefetto.<br />Col piano di distrettuazione del Dipartimento del Panaro del 21 febbraio 1804 (in conformità della legge del 24 luglio 1802) l'amministrazione francese stabiliva, sulla base del numero degli abitanti, desunto dal censimento effettuato il 31 marzo 1803, la creazione di un solo comune di prima classe, Modena, di quattro comuni di seconda classe, Mirandola, Finale, Carpi e Sassuolo, e di comuni di terza classe per tutte le altre municipalità nominate. Nel territorio di Maranello, facente parte dell'ex feudo Calcagnini, si crearono: la municipalità di Torre con Gorzano, con 706 abitanti censiti, sottoposta al distretto di Modena; le municipalità di Fogliano con Santo Stefano, con 206 abitanti censiti; Maranello, con 692 e San Venanzio, con 382 abitanti, sottoposte al distretto di Sassuolo.<br />Nelle municipalità di terza classe dovevano intervenire ai consigli "tutti gli estimati di quella comune, benché altrove domiciliati, e tutti i capifamiglia non possidenti, ma però descritti nel registro civico della stessa comune, che abbiano compita l'età di 35 anni, ed abbiano uno stabilimento d'agricoltura, d'industria o di commercio nel di lei circondario, e vi paghino la tassa personale". Veniva nominato un agente comunale, scelto in genere tra i maggiori possidenti o tra chi avesse una qualche pratica di contabilità o di pubblica amministrazione. Con la distrettuazione del 1809 Maranello passò poi sotto la giurisdizione del comune di Sassuolo.<br />In seguito al ritorno del duca nello stato estense, Francesco IV emanò, il 12 gennaio 1815, un nuovo piano di distrettuazione, in seguito al quale il numero dei comuni della provincia di Modena fu ridotto a 26: le comunità di Modena e Reggio Emilia erano definite di primo rango, composte da un podestà e da otto conservatori. Le comunità che oltrepassavano i settemila abitanti erano di secondo rango, dotate di un podestà e di sei amministratori. Le comunità di terzo ragno, che erano tutte le altre, vennero rette da un sindaco e da quattro anziani, mentre nelle sezioni più popolate era nominato un agente comunale "specialmente incaricato di far eseguire le disposizione della comunità stessa ed i regolamenti di Polizia". Le nuove comunità dovevano poi ritirare tutte le carte. Per quanto concerne Maranello, come anche Torre con Gorzano, Fogliano e San Venanzio si nominò, quale rappresentante pubblico, un agente comunale dipendente dal comune di Sassuolo a cui Maranello fu assoggettato.<br />Con l'unità d'Italia, Maranello ridivenne comune autonomo.<br />Maranello si era affermato come centro di smistamento e di scambio per i territori soggetti ai Calcagnini (i quali divennero feudatari del castello di Formigine agli inizi del secolo XVII, dove posero anche la propria dimora) e gravitanti attorno alla valle del Tiepido. Se l'insediamento medievale si era attestato attorno al castello, con l'antica chiesa parrocchiale dedicata a San Biagio e gli edifici pubblici, quello moderno si era spostato sulla via Claudia, all'incrocio con la via Giardini, la strada voluta da Francesco III per mettere in comunicazione il ducato di Modena con granducato di Toscana. L'abitato maranellese, fino a oltre la metà del XX secolo, era costituito essenzialmente da case sparse, edifici colonici posti al centro dei possedimenti coltivati, sedi di fiorenti aziende agricole e ville di campagna, costruite spesso tra la seconda metà del XIX secolo e gli inizi del XX per la villeggiatura della ricca borghesia cittadina. All'incrocio tra le principali vie che attraversavano il territorio (via Claudia e via Giardini), si situarono gli edifici pubblici, la scuola, la chiesa, e in seguito il nuovo municipio, la Casa del Fascio, l'Ospizio Stradi e la stazione ferroviaria, oggi circondati da quartieri urbani densamente abitati.<br />L'odierno distretto comunale di Maranello comprende oggi le antiche comunità di Fogliano e San Venanzio (anticamente appartenenti alla podesteria di Monfestino, sotto il marchesato di Vignola, infeudata dagli Estensi ai Contrari e, dal 1577, ai Boncompagni), Torre Maina, Gorzano e Pozza. Quest'ultima, un tempo poche case all'incrocio tra la via Claudia e la strada ducale Vandelli, si sviluppò attorno alla fermata della ferrovia sul percorso Modena-Maranello, inaugurata nel 1893 e si ingrandì in nodo notevole in seguito al processo di intensa industrializzazione che ha caratterizzato tutta la zona nel secondo dopoguerra e che ha portato all'urbanizzazione, in tempi assai brevi, di vaste porzioni di terreno per secoli consegnate all'agricoltura.<br /><br /><br /><br />Note:<br />(1) Fino alla rubrica XXXVII si illustravano le norme che regolavano l'elezione degli ufficiali e la corretta amministrazione del pubblico, con l'eccezione delle rubriche XXX-XXXI, mentre dalla XXXVIII vengono enunciate le regole da rispettare relativamente alle attività economiche, commerciali ed agricole, benché intercalate da altre riguardanti nuovamente le modalità di elezione degli ufficiali. Seguivano poi le norme che regolamentavano l'imposizione dei tributi, i metodi di stima e di tassazione dei proprietari e alcune regole di ordine pubblico. La rubrica VIII definiva la figura del massaro come colui che doveva "intendere etexaminare, calcolare tutte le spese ordinarie del dicto comune così de roba come de dinari". I savi dovevano consegnargli le rendite del comune, "o per via de prestiti o in altro modo" per poter far fronte alle spese ordinarie. Le modalità della sua elezione venivano stabilite dalla rubrica XV: si convocavano tutte le persone imbussolate per le elezioni dei savi che nominavano ciascuno un possible candidato. Questi nominativi venivano imbussolati e da essi, sempre ai primi di gennaio si estraeva il massaro dell'anno. Il massaro eletto doveva poi presentare delle garanzie di ben esercitare il proprio compito. Le spese dovevano essere annotate giorno per giorno su un registro vidimato dal comune. Doveva tenere un elenco dei capi famiglia e, per ciascuno dei quali, annotarne i crediti per opere, i carreggi o le somministrazioni di beni. Il massaro riscuoteva le tasse dagli abitanti: ogni sei mesi si faceva la colta. A fine anno si redigeva il bilancio delle entrate delle colte e delle spese. Alla fine dell'anno l'operato del massaro era controllato dai tre sindaci. Alla carica di massaro potevano accedere persone di provata lealtà e di solida situazione finanziaria; egli ripartiva le spese tra i contribuenti e pagava i debiti, per i quali garantiva anche col suo patrimonio personale (si trattava di un privato fideiussore). La carica era, come detto, annuale e l'elezione si teneva nel mese di gennaio. Dall'incarico, e dai capifamiglia riuniti, erano esclusi i nullatenenti ed anche i nobili; questi ultimi anche perché non erano tenuti a prestazioni in opera e denaro a vantaggio della comunità. La "messa all'asta" della masseria avveniva secondo un rituale consuetudinario, nel terreno antistante il castello, sede del pretorio. Per tutto il tempo in cui rimaneva accesa una candela si potevano fare offerte al ribasso. L'ultimo a parlare all'esaurimento della fiamma otteneva l'incarico per l'anno entrante e per il compenso dichiarato con l'ultima offerta. Il massaro procedeva alla divisione del debito da lui stesso contratto a nome della comunità, il cui importo ed il relativo comparto della spesa, erano discussi ed approvati dal Consiglio. Alla masseria era sempre collegato anche l'appalto del sale. Le tasse da pagare erano, oltre a quelle occorrenti per le spese ordinarie o straordinarie della comunità, quelle da versare al governo estense in genere per mansioni connesse alle infrastrutture pubbliche del territorio feudale e dello stato, connesse agli incarichi di Giudice delle strade e delle acque o di giudice della vettovaglie e il pagamento della spelta. I comparti delle spese e le imposizioni fiscali sui contribuenti venivano valutate sulla base delle Bovattiere, cioè commisurate al possesso di coppie di buoi e in seguito sui Biolcatici, cioè in rapporto alle biolche di terra lavorata, stabilendo delle aliquote (soldo d'estimo). Gli incarichi di massaro, pesatore di follicelli, esattore comunitativo e di "provveditore delli trenta sacca, spelta dovuta in cadaun anno all'eccellentissima camera Calcagnini" erano affidati tramite pubblico incanto.<br />La rubrica LXXXI dello statuto del 1475 stabiliva alcune norme sulla redazione ed impianto dell'estimo. Il Consiglio doveva deliberarne la realizzazione ogni 5 anni "per quella forma et con quelli modi che sempre di è usato per lo adietro et secondo le antique consuetudine et usanza, il quale extimo non se habia a mudar se non al tempo che se farà de novo, con questo che sia licito quanto sia per le terre solamente che fossino passate de uno in l'altro et per conto alcuno per conzarlo all'estimo a cui havessino ad essere poste". Le rinnovazioni ed aggiornamenti dovevano essere fatti nel mese di gennaio. Secondo l'estimo dovevano essere pagate le "colte et ogni gravezze acaderanno et che si haranno a zettare, ma che ciaschun per la ratta del suo extimo habii a pagare come è iusto et onesto". L'incarico della redazione delle stime era appaltato dalla comunità: la rubrica XLI degli statuti stabiliva che gli appaltatori dovessero pagare tutte le gravezze e colte della comunità per tutto il tempo che si trattenevano nel distretto. Non si poteva venire ad abitare nel distretto del Comune senza espressa licenza del podestà di Maranello e conseguente iscrizione all'estimo comunitativo. La colta o colletta annuale della comunità era stabilita sopra al soldario, individuando una quota da riscuotersi sopra ciascun soldo d'estimo.<br /><br />(2) "1° Non potrà essere delli huomini né massaro et officiale di detta comunità chi non sarà padre di famiglia maggiore di venticinque anni con altri requisiti conformi il solito e ciascheduno di loro doverà giurare in mano del commissario pro tempore di fare le cose utili per il comune e tralasciare le superflue.<br />2° L'estrazione delli huomini nuovi si doverà fare dal commissario alle kalende di genaro e alla festa di San Pietro.<br />3° Si scriveranno le proposte di detto comune sul libro del comune dal canzeliere di detta comunità o da altro di commissione loro.<br />4° Le deliberazioni fatte in voce non saranno accettate né menate buone, ma si doveranno pallottare, et il partito si intenderà passato quando le palle o fave eccedano le due parti delli huomini.<br />5° Si farà una bussola di legno per questo effetto con le palle bianche o fave dentro, quale starà sempre nell'archivio della comunità nella forma di quella della città di Modena.<br />6° Non si potrà ceder le veci, se non in caso di lontananza o infirmità ad uno della fameglia e casa delli huomini, massari o sindici rispettivamente che sia maggiore come sopra.<br />7° Occorrendo trattar negotii pertinenti all'illustrissimo et eccellentissimo padrone non si baloterano e basterà qualsivoglia numero d'huomini avisati che sarano per un giorno et hora certa, derogando in tal caso a qualsiasi eccezione.<br />8° Il massaro per l'avenire farà scrivere la spesa e l'entrata della comunità sul libro che dovrà havere presso di sé e poi al tempo di rendere conto le farà notare sul libro pubblico in sommario et havuta la sua legittima assoluzione, lascerà il libretto nel Archivio della communità che haverà la sua esazione.<br />9° Potranno elleggere e confirmare il resto delle norme a debiti tempi ogni volta che facci per l'officiale che in questo si dovranno intendere col commissario fiscale acciò il servizio della giustizia non patisca.<br />10° Ogni volta che occorrerà fare una muta d'uomini e massari si dovrà loro legere la presente capitolazione acciò da tutti inviolabilmente sii osservata sotto pena di lire dodici da applicarsi a' luoghi pii.<br />11° Che il massaro non possa far mettere la colta sul libretto se non a persone intendenti per evitare li errori.<br />12° Li huomini e massari si dovranno pallottare che siano imbussolati.<br />13° Formata la muta delli huomini imbussolati si faranno dodici huomini con tre massari che a vicenda s'estrhaeranno e mancando uno o più di detti huomini e massari si estraeranno dalli sopranumerarii che saranno in bussola aparata con l'intervento del Consiglio generale.<br />14° Che il Consiglio ordinario delli dodici possa fare tutto quello che potesse fare il generale per levare li strepiti e confusioni.<br />15° Non si potranno fare radunanze e conventicole per trattare negozii del pubblico senza la presenza del commissario o suo sostituto secondo la pena contenuta di sopra.<br />16° Ogni volta che gl'huomini del Consiglio saranno chiamati per un'hora e giorno certo e non verrano non havendo causa legittima ad arbitrio del commissario incorreranno in pena di lire cinque applicate come sopra all'opere pie ad arbitrio di sua eccellenza.<br />17° Trattandosi d'interesse di qualcheduno del Consiglio generale che sono delli huomini e così i loro parenti sino in quarto grado.<br />18° Sia lecito alli huomini volendo mettere la massaria all'incanto o bollettini come parerà loro.<br />19° Che possano crescere il salario alli huomini e massari conforme a casi occorrenti. Dato dal castello di Maranello li 8 febbraio 1632, Mario Carandini consultore".
dc:date
  • secolo XIII -
ha qualificazioni relazioni Cpf
ha date esistenza
ha statusProvenienza
abstract
  • La giurisdizione territoriale di Maranello andò definendosi poco oltre la metà del secolo XV, in seguito all'infeudazione, da parte del duca Borso, nel 1464, del feudo di Maranello e sue pertinenze, al fedele consotius (compagno) Teofilo Calcagnini.<br />Nell'epoca medievale Maranello si trovò coinvolto nelle lotte tra le famiglie che si contendevano il potere a Modena, seguendone le travagliate vicende. Situato lungo la via Claudia che da Bologna giungeva fino a Piacenza e punto di partenza della strada che si dirigeva verso il Frignano, al confine tra i territori anticamente controllati dai bizantini e i domini longobardi, Maranello viene nominato in un documento del 1191, conservato presso il monastero di San Pietro di Modena e citato dal Tiraboschi . Altri documenti che citano Maranello (Maranum Araldini) li troviamo menzionati nelle opere degli studiosi dei primi anni del XX secolo. Tra il XII e il XIII secolo, benché non possediamo testimonianze certe, Maranello dovette darsi un governo comunale in linea con le vicende storiche del territorio circostante e di quello modenese. A partire dal 1288 Maranello, che era compreso nel distretto modenese, entrò a far parte della signoria Estense, seguendo le vicende della città dominante. Nel trentennio in cui durò la "res publica mutinensis", si ha notizia che Maranello fosse stata occupato dalle truppe pontificie nel 1326, ma già l'anno dopo il castello fu restituito a Modena. Tiraboschi affermava poi che, probabilmente attorno al 1356, Maranello fosse passata sotto il dominio dei Da Sassuolo, mentre col decreto del 22 marzo 1405 Nicolò III d'Este concedeva Maranello e il suo territorio ai fratelli Marco, Alberto e Gian Galeazzo Pio di Carpi, al tempo in cui il castello di Maranello era tenuto da Blanchinus de Gorzano. In seguito al decreto marchionale del 2 ottobre 1425 Nicolò III assoggettava nuovamente Maranello alla città di Modena, e il 14 novembre 1432 nominava Giacomo Giglioli governatore di un vasto territorio che comprendeva diversi luoghi della zona pedemontana e delle prime colline, terre in precedenza dominate dalle famiglie dei Da Sassuolo, dei Roteglia, dei Fogliani, e dei Da Gorzano. Ma già nel 1434, morto suicida a Ferrara il Giglioli, si ricostituì la podesteria di Sassuolo, comprendente anche Fiorano, Montegibbio, Nirano, Montebaranzone e Varana, mentre il territorio di Maranello tornò sotto il governo diretto della signoria Estense.<br />Nel 1464 Maranello venne eretto a capoluogo di feudo dal duca Borso con l'investitura a Teofilo Calcagnini, patrizio ferrarese, dei feudi di Maranello, Cavriago e Fusignano. Il 9 febbraio 1465 Teofilo Calcagnini, accompagnato dal padre Francesco, prese solennemente possesso del castello di Maranello, ricevendo il giuramento di fedeltà degli uomini del paese, nominando il podestà e consegnandogli le nuove insegne del castello. Quarantasei capifamiglia, denominati Sapienti, prestarono giuramento di fedeltà, tra cui certo Manzini venne nominato massaro. La giurisdizione feudale è descritta nell'investitura e comprende un territorio delimitato a nord da Montale e San Zenone, appartenenti al distretto modenese, a sud da Fogliano e San Venanzio, dominati dai Contrari, signori di Vignola, ad est da Gorzano, parte nella giurisdizione degli stessi Contrari e parte dei Rangoni, e ad ovest da Spezzano e Formigine, appartenenti ai Pio di Savoia. Dopo le vicissitudini del primo trentennio del Cinquecento, durante le quali il vicario imperiale aveva investito del feudo di Maranello Giulio Cesare Colombi, Ercole I investì di nuovo i Calcagnini, nel 1527, delle terre maranellesi, che furono da questi dominate ininterrottamente fino all'arrivo dei francesi (1796). Teofilo, creato conte palatino dall'imperatore Federico III, ebbe poi il diritto di estendere tale titolo ai suoi successori. La famiglia Calcagnini, di nobiltà ferrarese assai vicina al casato Estense, contribuiva a consolidare il dominio degli Este in un territorio che era stato fino ad allora conteso, con aspri conflitti, tra le antiche famiglie feudali locali. Il feudo di Maranello, come già quello vignolese dei Contrari, veniva a creare un territorio posto sotto il sicuro controllo dei duchi di Ferrara, tra quelli vicini, infeudati ai Pio o ai Montecuccoli, di fedeltà meno tranquilla, sottraendo inoltre al comune modenese una parte di territorio che avrebbe potuto essere sede e focolaio di ulteriori rivolte.<br />Il 10 giugno 1475 Teofilo Calcagnini approvò i nuovi statuti della comunità di Maranello, salvaguardando le antiche norme consuetudinarie che vi erano state trasfuse e regolamentando la vita della piccola comunità. Dal codice, conservato in copia autentica del 1534, redatto in modo a tratti confuso e poco coerente (cfr. ASMo, Statuti, capitoli e grazie), si evincono le norme che sancivano la vita economica e sociale del distretto maranellese. Il feudatario nominava un podestà, che amministrava la giustizia civile e penale e dalla cui approvazione dipendevano tutte le decisioni dei rappresentanti del pubblico. In questo modo Maranello, in precedenza retto con le strutture del comune rurale e dipendente dalla podesteria di Sassuolo, diveniva comunità autonoma retta da un proprio magistrato. Gli organi rappresentativi della popolazione erano il Consiglio generale, che veniva convocato per le questioni di massima importanza ed il Consiglio dei Savi, composto da nove membri che amministravano il Comune con la partecipazione del massaro (amministratore finanziario) e dei sindaci (tre eletti con funzioni di controllo della gestione della comunità secondo le regole sancite negli statuti). Vi erano poi il notaio, il messo, gli stimatori degli eventuali danneggiamenti subiti dalla popolazione, il saltaro con compiti di guardia campestre e i Guaitoni, sorveglianti dei furti (1).<br />Il podestà aveva la facoltà di giudicare, condannare, punire e multare, agendo in nome e rappresentanza del feudatario. Al feudatario venivano trasferiti i diritti di riscossione dei dazi delle taverne e luoghi di ospitalità e il dazio sulla beccheria. Per la riscossione dei tributi occorreva che la comunità procedesse periodicamente alla formazione delle boatiere e del boccatico . Il podestà era definito castellano ed esattore, a lui venivano consegnate per custodirle le chiavi, le nuove insegne del castello e le lettere patenti rilasciate dal feudatario.<br />Gli abitanti del feudo dovevano "levare et accipere salem per taxam tam a salinis dictorum nostrorum locorum et cuiuslibet eorum evolvendo ipsum precium officialibus salinarum nostrarum". Non era lecito dare o vendere senza soggiacere alle norme stabilite dall'ufficio della salina ducale. Tra le poche carte, risalenti all'epoca del governo feudale (antico regime), conservate nell'archivio comunale di Maranello, si trovano con una certa continuità, almeno dalla fine del secolo XVII, i resoconti dei massari per il pagamento dell'addizione del sale all'ufficio della salina ducale.<br />La comunità feudale di Maranello era amministrata seguendo le norme emanate dai duchi d'Este per il governo del territorio. Le nomine dei rappresentanti scelti tra quelli eleggibili, dovevano essere approvate dal feudatario al quale si inviava la copia del relativo partito comunitativo.<br />Nel registro delle deliberazioni dei consiglieri della comunità di Maranello, conservato presso l'archivio comunale alla data 8 febbraio 1632 gli "uomini di Maranello" si congregarono per trattare "negoti pertinenti al pubblico interesse" alla presenza di Mario Carandini, consigliere per sua eccellenza. Si dettavano gli "Ordini da osservarsi nell'avvenire in creare ed estahere li officiali di Maranello con altre provisioni pertinenti all'interesse pubblico per l'istesso effetto" in 19 punti (2).<br />Le riunioni dei rappresentanti della comunità si tenevano nella rocca del castello di Maranello, nel torricino detto della Ragione. Nelle pp. 1-10 del registro n. 4 dei partiti comunitativi sono riportati i resoconti dei "maneggi" del denaro della comunità effettuati dai massari che presentano l'elenco delle somme percepite dalla comunità, provenienti dalle imposizioni fiscali, e le distinte delle spese effettuate.<br />Come si evince dal registro le entrate della comunità erano costituite dalle riscossioni per collette costituite essenzialmente da esazioni sopra soldi secolari ed ecclesiastici, dal livello del mulino, dal dazio dei Follicelli, dal raspo dei Follicelli e da altro dazio dei Follicelli di Pellegrino Ambrosi. Di seguito venivano elencate le spese fatte e quelle inesigibili (partite nuove inesigibili). Tra queste ultime erano menzionati diversi proprietari per colletta, don Pellegrino Manfredini e il duca di Sora. Al massaro era solitamente "abbonato" un collo di sale che era a suo carico. La colta o colletta annuale della comunità era stabilita sopra al soldario, stabilendo una quota da riscuotersi sopra ciascun soldo d'estimo. L'eccellentissima feudale Camera forniva alla comunità sacchi di spelta, ma ne stabiliva il prezzo nel mese di agosto (dopo il raccolto).<br />Generalmente nel mese di luglio o di giugno si faceva una specie di bilancio preventivo delle entrate e delle spese dell'anno in corso. Dal 1788 si stabilì di approvare i resoconti a fine anno.<br />Con proclama dell'allora Comitato di governo degli Stati di Modena del 12 ottobre 1796 si era proceduto alla soppressione dei feudi.<br />Nella deliberazione del 13 ottobre 1796 si verbalizzava la notizia che lo stato di Modena veniva governato dalla "municipalità di Modena e da un Comitato di Governo in nome della Repubblica francese". Si determinò anche di "esporre al pubblico e segnatamente nel torrione di questa rocca il tricolorato stemma della prelodata repubblica ed ordinarono rispetto acciò la più sollecita approvazione".<br />Il 9 luglio 1801, si conserva unicamente lo squarzo del verbale, la municipalità riceveva la lettera del commissario straordinario del Dipartimento relativa alla nomina "de maggiori estimati di questo distretto" che "in diffetto del ricevitore camerale dovranno assumere le incombenze portate ai capitoli normali, quali sono incaricati per la pronta esecuzione ed uniti alla presente i quinternetti di esazione e quant'altro occorre per porre in attività l'esazione medesima come in filo al n. 1 e 2". Questi ultimi erano Girolamo Prandini, Giovanni Andrea Stradi e il sacerdote Pietro Manfredi.<br />In data 26 febbraio 1803 (cfr. serie "Protocolli d'atti", registro n. 6) si registrava l'"installamento della municipalità", secondo le disposizioni della legge del 24 luglio 1802 che dettava le norme per il governo delle municipalità. L'amministrazione municipale di Maranello era "composta dagl'infrascritti cittadini, cioè notaio Giovanni Andrea Stradi, primo amministratore, capitano Geminiano Prandini e Biagio Zanni, fu installata, nel casino del predetto Stradi, posto nella comune della Torre e per essere esso febricitante, dal cittadino notaio Carlo Alessandri, segretario provvisorio del distretto di Sassuolo. In detta amministrazione fu nominato il cittadino Alessandro Giberti in agente comunale collo stipendio annuale di modenesi lire 150, fu nominato il cittadino Giovanni Ambrosi in cursore collo stipendio mensale di lire 8 e così annuo lire 96. Fu assegnato al detto segretario l'annuale stipendio di lire 360 da pagarsi di sei in sei mesi posticipati".<br />Nel verbale del 12 dicembre 1803 veniva presentato lo stato attivo e passivo della comunità. Le passività, in ottemperanza all'articolo 133 della legge del 1802, dovevano essere "caricate" per metà sopra il censo e per l'altra metà ricavate dalla tassa personale. La tassa personale veniva formata sul ruolo delle teste descritte per l'anno precedente. Erano anche indicati i sei maggiori "estimati", in modo da far sì che tra essi fosse nominato il primo amministratore: Girolamo Prandini, Giovan Battista Amorotti, Filippo Marchisio, Giuliano Marchisio, Geminiano Costantini, Giovanni Andrea Stradi. Risultò infatti nominato primo amministratore Giovanni Andrea Stradi. Gli altri amministratori dovevano essere scelti uno tra i maggiori stimati e l'altro tra i possidenti: risultarono eletti Pietro Agazzotti, secondo amministratore municipale e Biagio Zanni come terzo. In seguito venne scelto il ricevitore dei conti municipali nella persona di Bartolomeo Iatici. Le deliberazioni prese vennero poi sottoposte, in ottemperanza alle disposizioni francesi, all'approvazione del prefetto.<br />Col piano di distrettuazione del Dipartimento del Panaro del 21 febbraio 1804 (in conformità della legge del 24 luglio 1802) l'amministrazione francese stabiliva, sulla base del numero degli abitanti, desunto dal censimento effettuato il 31 marzo 1803, la creazione di un solo comune di prima classe, Modena, di quattro comuni di seconda classe, Mirandola, Finale, Carpi e Sassuolo, e di comuni di terza classe per tutte le altre municipalità nominate. Nel territorio di Maranello, facente parte dell'ex feudo Calcagnini, si crearono: la municipalità di Torre con Gorzano, con 706 abitanti censiti, sottoposta al distretto di Modena; le municipalità di Fogliano con Santo Stefano, con 206 abitanti censiti; Maranello, con 692 e San Venanzio, con 382 abitanti, sottoposte al distretto di Sassuolo.<br />Nelle municipalità di terza classe dovevano intervenire ai consigli "tutti gli estimati di quella comune, benché altrove domiciliati, e tutti i capifamiglia non possidenti, ma però descritti nel registro civico della stessa comune, che abbiano compita l'età di 35 anni, ed abbiano uno stabilimento d'agricoltura, d'industria o di commercio nel di lei circondario, e vi paghino la tassa personale". Veniva nominato un agente comunale, scelto in genere tra i maggiori possidenti o tra chi avesse una qualche pratica di contabilità o di pubblica amministrazione. Con la distrettuazione del 1809 Maranello passò poi sotto la giurisdizione del comune di Sassuolo.<br />In seguito al ritorno del duca nello stato estense, Francesco IV emanò, il 12 gennaio 1815, un nuovo piano di distrettuazione, in seguito al quale il numero dei comuni della provincia di Modena fu ridotto a 26: le comunità di Modena e Reggio Emilia erano definite di primo rango, composte da un podestà e da otto conservatori. Le comunità che oltrepassavano i settemila abitanti erano di secondo rango, dotate di un podestà e di sei amministratori. Le comunità di terzo ragno, che erano tutte le altre, vennero rette da un sindaco e da quattro anziani, mentre nelle sezioni più popolate era nominato un agente comunale "specialmente incaricato di far eseguire le disposizione della comunità stessa ed i regolamenti di Polizia". Le nuove comunità dovevano poi ritirare tutte le carte. Per quanto concerne Maranello, come anche Torre con Gorzano, Fogliano e San Venanzio si nominò, quale rappresentante pubblico, un agente comunale dipendente dal comune di Sassuolo a cui Maranello fu assoggettato.<br />Con l'unità d'Italia, Maranello ridivenne comune autonomo.<br />Maranello si era affermato come centro di smistamento e di scambio per i territori soggetti ai Calcagnini (i quali divennero feudatari del castello di Formigine agli inizi del secolo XVII, dove posero anche la propria dimora) e gravitanti attorno alla valle del Tiepido. Se l'insediamento medievale si era attestato attorno al castello, con l'antica chiesa parrocchiale dedicata a San Biagio e gli edifici pubblici, quello moderno si era spostato sulla via Claudia, all'incrocio con la via Giardini, la strada voluta da Francesco III per mettere in comunicazione il ducato di Modena con granducato di Toscana. L'abitato maranellese, fino a oltre la metà del XX secolo, era costituito essenzialmente da case sparse, edifici colonici posti al centro dei possedimenti coltivati, sedi di fiorenti aziende agricole e ville di campagna, costruite spesso tra la seconda metà del XIX secolo e gli inizi del XX per la villeggiatura della ricca borghesia cittadina. All'incrocio tra le principali vie che attraversavano il territorio (via Claudia e via Giardini), si situarono gli edifici pubblici, la scuola, la chiesa, e in seguito il nuovo municipio, la Casa del Fascio, l'Ospizio Stradi e la stazione ferroviaria, oggi circondati da quartieri urbani densamente abitati.<br />L'odierno distretto comunale di Maranello comprende oggi le antiche comunità di Fogliano e San Venanzio (anticamente appartenenti alla podesteria di Monfestino, sotto il marchesato di Vignola, infeudata dagli Estensi ai Contrari e, dal 1577, ai Boncompagni), Torre Maina, Gorzano e Pozza. Quest'ultima, un tempo poche case all'incrocio tra la via Claudia e la strada ducale Vandelli, si sviluppò attorno alla fermata della ferrovia sul percorso Modena-Maranello, inaugurata nel 1893 e si ingrandì in nodo notevole in seguito al processo di intensa industrializzazione che ha caratterizzato tutta la zona nel secondo dopoguerra e che ha portato all'urbanizzazione, in tempi assai brevi, di vaste porzioni di terreno per secoli consegnate all'agricoltura.<br /><br /><br /><br />Note:<br />(1) Fino alla rubrica XXXVII si illustravano le norme che regolavano l'elezione degli ufficiali e la corretta amministrazione del pubblico, con l'eccezione delle rubriche XXX-XXXI, mentre dalla XXXVIII vengono enunciate le regole da rispettare relativamente alle attività economiche, commerciali ed agricole, benché intercalate da altre riguardanti nuovamente le modalità di elezione degli ufficiali. Seguivano poi le norme che regolamentavano l'imposizione dei tributi, i metodi di stima e di tassazione dei proprietari e alcune regole di ordine pubblico. La rubrica VIII definiva la figura del massaro come colui che doveva "intendere etexaminare, calcolare tutte le spese ordinarie del dicto comune così de roba come de dinari". I savi dovevano consegnargli le rendite del comune, "o per via de prestiti o in altro modo" per poter far fronte alle spese ordinarie. Le modalità della sua elezione venivano stabilite dalla rubrica XV: si convocavano tutte le persone imbussolate per le elezioni dei savi che nominavano ciascuno un possible candidato. Questi nominativi venivano imbussolati e da essi, sempre ai primi di gennaio si estraeva il massaro dell'anno. Il massaro eletto doveva poi presentare delle garanzie di ben esercitare il proprio compito. Le spese dovevano essere annotate giorno per giorno su un registro vidimato dal comune. Doveva tenere un elenco dei capi famiglia e, per ciascuno dei quali, annotarne i crediti per opere, i carreggi o le somministrazioni di beni. Il massaro riscuoteva le tasse dagli abitanti: ogni sei mesi si faceva la colta. A fine anno si redigeva il bilancio delle entrate delle colte e delle spese. Alla fine dell'anno l'operato del massaro era controllato dai tre sindaci. Alla carica di massaro potevano accedere persone di provata lealtà e di solida situazione finanziaria; egli ripartiva le spese tra i contribuenti e pagava i debiti, per i quali garantiva anche col suo patrimonio personale (si trattava di un privato fideiussore). La carica era, come detto, annuale e l'elezione si teneva nel mese di gennaio. Dall'incarico, e dai capifamiglia riuniti, erano esclusi i nullatenenti ed anche i nobili; questi ultimi anche perché non erano tenuti a prestazioni in opera e denaro a vantaggio della comunità. La "messa all'asta" della masseria avveniva secondo un rituale consuetudinario, nel terreno antistante il castello, sede del pretorio. Per tutto il tempo in cui rimaneva accesa una candela si potevano fare offerte al ribasso. L'ultimo a parlare all'esaurimento della fiamma otteneva l'incarico per l'anno entrante e per il compenso dichiarato con l'ultima offerta. Il massaro procedeva alla divisione del debito da lui stesso contratto a nome della comunità, il cui importo ed il relativo comparto della spesa, erano discussi ed approvati dal Consiglio. Alla masseria era sempre collegato anche l'appalto del sale. Le tasse da pagare erano, oltre a quelle occorrenti per le spese ordinarie o straordinarie della comunità, quelle da versare al governo estense in genere per mansioni connesse alle infrastrutture pubbliche del territorio feudale e dello stato, connesse agli incarichi di Giudice delle strade e delle acque o di giudice della vettovaglie e il pagamento della spelta. I comparti delle spese e le imposizioni fiscali sui contribuenti venivano valutate sulla base delle Bovattiere, cioè commisurate al possesso di coppie di buoi e in seguito sui Biolcatici, cioè in rapporto alle biolche di terra lavorata, stabilendo delle aliquote (soldo d'estimo). Gli incarichi di massaro, pesatore di follicelli, esattore comunitativo e di "provveditore delli trenta sacca, spelta dovuta in cadaun anno all'eccellentissima camera Calcagnini" erano affidati tramite pubblico incanto.<br />La rubrica LXXXI dello statuto del 1475 stabiliva alcune norme sulla redazione ed impianto dell'estimo. Il Consiglio doveva deliberarne la realizzazione ogni 5 anni "per quella forma et con quelli modi che sempre di è usato per lo adietro et secondo le antique consuetudine et usanza, il quale extimo non se habia a mudar se non al tempo che se farà de novo, con questo che sia licito quanto sia per le terre solamente che fossino passate de uno in l'altro et per conto alcuno per conzarlo all'estimo a cui havessino ad essere poste". Le rinnovazioni ed aggiornamenti dovevano essere fatti nel mese di gennaio. Secondo l'estimo dovevano essere pagate le "colte et ogni gravezze acaderanno et che si haranno a zettare, ma che ciaschun per la ratta del suo extimo habii a pagare come è iusto et onesto". L'incarico della redazione delle stime era appaltato dalla comunità: la rubrica XLI degli statuti stabiliva che gli appaltatori dovessero pagare tutte le gravezze e colte della comunità per tutto il tempo che si trattenevano nel distretto. Non si poteva venire ad abitare nel distretto del Comune senza espressa licenza del podestà di Maranello e conseguente iscrizione all'estimo comunitativo. La colta o colletta annuale della comunità era stabilita sopra al soldario, individuando una quota da riscuotersi sopra ciascun soldo d'estimo.<br /><br />(2) "1° Non potrà essere delli huomini né massaro et officiale di detta comunità chi non sarà padre di famiglia maggiore di venticinque anni con altri requisiti conformi il solito e ciascheduno di loro doverà giurare in mano del commissario pro tempore di fare le cose utili per il comune e tralasciare le superflue.<br />2° L'estrazione delli huomini nuovi si doverà fare dal commissario alle kalende di genaro e alla festa di San Pietro.<br />3° Si scriveranno le proposte di detto comune sul libro del comune dal canzeliere di detta comunità o da altro di commissione loro.<br />4° Le deliberazioni fatte in voce non saranno accettate né menate buone, ma si doveranno pallottare, et il partito si intenderà passato quando le palle o fave eccedano le due parti delli huomini.<br />5° Si farà una bussola di legno per questo effetto con le palle bianche o fave dentro, quale starà sempre nell'archivio della comunità nella forma di quella della città di Modena.<br />6° Non si potrà ceder le veci, se non in caso di lontananza o infirmità ad uno della fameglia e casa delli huomini, massari o sindici rispettivamente che sia maggiore come sopra.<br />7° Occorrendo trattar negotii pertinenti all'illustrissimo et eccellentissimo padrone non si baloterano e basterà qualsivoglia numero d'huomini avisati che sarano per un giorno et hora certa, derogando in tal caso a qualsiasi eccezione.<br />8° Il massaro per l'avenire farà scrivere la spesa e l'entrata della comunità sul libro che dovrà havere presso di sé e poi al tempo di rendere conto le farà notare sul libro pubblico in sommario et havuta la sua legittima assoluzione, lascerà il libretto nel Archivio della communità che haverà la sua esazione.<br />9° Potranno elleggere e confirmare il resto delle norme a debiti tempi ogni volta che facci per l'officiale che in questo si dovranno intendere col commissario fiscale acciò il servizio della giustizia non patisca.<br />10° Ogni volta che occorrerà fare una muta d'uomini e massari si dovrà loro legere la presente capitolazione acciò da tutti inviolabilmente sii osservata sotto pena di lire dodici da applicarsi a' luoghi pii.<br />11° Che il massaro non possa far mettere la colta sul libretto se non a persone intendenti per evitare li errori.<br />12° Li huomini e massari si dovranno pallottare che siano imbussolati.<br />13° Formata la muta delli huomini imbussolati si faranno dodici huomini con tre massari che a vicenda s'estrhaeranno e mancando uno o più di detti huomini e massari si estraeranno dalli sopranumerarii che saranno in bussola aparata con l'intervento del Consiglio generale.<br />14° Che il Consiglio ordinario delli dodici possa fare tutto quello che potesse fare il generale per levare li strepiti e confusioni.<br />15° Non si potranno fare radunanze e conventicole per trattare negozii del pubblico senza la presenza del commissario o suo sostituto secondo la pena contenuta di sopra.<br />16° Ogni volta che gl'huomini del Consiglio saranno chiamati per un'hora e giorno certo e non verrano non havendo causa legittima ad arbitrio del commissario incorreranno in pena di lire cinque applicate come sopra all'opere pie ad arbitrio di sua eccellenza.<br />17° Trattandosi d'interesse di qualcheduno del Consiglio generale che sono delli huomini e così i loro parenti sino in quarto grado.<br />18° Sia lecito alli huomini volendo mettere la massaria all'incanto o bollettini come parerà loro.<br />19° Che possano crescere il salario alli huomini e massari conforme a casi occorrenti. Dato dal castello di Maranello li 8 febbraio 1632, Mario Carandini consultore".
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è produttore di
forma autorizzata produttore
  • Comune di Maranello
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  • Comune di Maranello
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  • IT-ER-IBC
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  • Maranello
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